Il martirio di Margherita Cogo
Nell'attuale disastro della politica trentina, la presidente della Regione è un'aliena: vorrebbe dimettersi (addirittura!) solo perchè la sua Giunta è immobile e delegittimata. Ma non è facile...
E’ stata una decisione personale quella di Margherita Cogo di presentare le dimissioni da presidente della Giunta regionale. Decisione presa su due piedi, senza consultare nessuno, visto il degrado della situazione.
Degrado che aveva portato le ultime sedute del Consiglio regionale a un clima da corrida, con insulti che volavano da una parte all’altra, a fornire amplissima messe per i pezzi di colore dei giornalisti presenti. Il tutto aggravato dal fatto che non si assisteva a scontri – magari aspri, magari incivili – tra posizioni politiche contrapposte, bensì, gratta gratta, a beghe tra consiglieri singoli o provvisoriamente consorziati in mutevoli gruppi di interesse (magari pomposamente chiamati "aggregazioni" o addirittura "partiti").
La crisi della Giunta Cogo non è di oggi. Dalla nascita non è riuscita, se non in un paio di occasioni, ad assolvere il proprio compito: che è quello di riformulare la Regione, altrimenti agonizzante. Le proposte di riforma infatti, non sono riuscite ad approdare in aula.
Come mai? La risposta del centro-sinistra è nota: sono le destre che fanno ostruzionismo. Il che è vero: la destra (Alleanza Nazionale) si oppone fieramente a una rivisitazione del ruolo della Regione, che vede come ultimo baluardo allo strapotere Svp in provincia di Bolzano; gli altri del centro-destra – al di là delle chiacchiere - si oppongono invece per partito preso, perché non vogliono che il centro-sinistra faccia alcunchè.
Ma se questo è vero, è altrettanto vero che la pur poderosa maggioranza regionale non fa niente per farsi valere. Quando la minoranza pratica l’ostruzionismo, la maggioranza dovrebbe rispondere serrando le file, e procedendo con le sedute ad oltranza (come ha esemplarmente dimostrato Berlusconi con la legge sulle rogatorie). Invece il centro-sinistra regionale (come quello provinciale del resto) prende l’alibi del minacciato ostruzionismo degli avversari, per andare in vacanza: non solo non fa nessuna seduta notturna, ad oltranza ecc, ma è il primo a chiedere sospensioni e rinvii.
Al fondo di questo atteggiamento c’è una totale indifferenza verso le riforme. Quando non ostilità: a tanti consiglieri trentini, l’idea di spogliare di competenze l’attuale Regione, per farne un’altra, non va giù. E quindi i rinvii vanno benissimo.
E questo fa imbufalire la Svp, che da anni si ritiene presa in giro dai trentini, che ad ogni inizio di legislatura sottoscrivono patti per rivedere la Regione, per poi mettersi regolarmente a boicottare le leggi conseguenti.
In questa situazione si è inserita la nomina ad assessore regionale della prof. Caterina Dominici. Recentemente subentrata al defunto assessore Casagranda, Dominici con la sua aria naïve, si è subito presentata come una macchietta, una parodia del politico arrivista. Voltaire, se non sbagliamo, affermava che l’ipocrisia è un omaggio alla virtù: io faccio porcherie, ma me ne vergogno, e quindi le incarto in maniera che non appaiono tali. Bene, Dominici rompe il tabù: esplicitamente dichiara di essere disponibile a tutto, pur di avere una seggiola. Con la massima sfrontatezza: io sono qui solo per occupare una poltrona, e non c’è nulla di cui debba vergognarmi. Quindi, iscritta a Forza Italia (dopo una vita spesa a vagare per tutti i partiti) si dichiara pronta a entrare nel centro-sinistra, ma unicamente se le viene dato un assessorato.
La ribalda ingenuità della professoressa non ha certo scandalizzato i marpioni della politica, li ha solo divertiti. Ed ecco Dellai pronto a utilizzare la nuova possibilità: acquistiamo il voto in Consiglio della Caterina, dandole una seggiola. Non in Provincia, la lady è troppo impresentabile, e poi la Pat è un posto di potere vero, la novellina si accontenti; ma un posto in Regione sì, tanto la Regione non conta niente. E così da Dellai e dai Ds (su cui torneremo) viene imposto alla Cogo di prendersi la Dominici. La Cogo subisce.
A questo punto entra in gioco la Svp. Alla quale va benissimo che la Regione venga considerata, nel concreto, dai trentini un’immondezzaio, cui conferire la spazzatura. Del resto proprio la Svp scientemente schiera in Regione i suoi uomini peggiori, da Pahl a Atz (sui quali ci sarebbe da scrivere un libro): con il fine di delegittimare l’istituzione.
La Svp quindi non pone sulla Dominici problemi politici (la signora è disposta a tutto), né di coerenza o presentabilità. Però vede nella posizione della Cogo, e più in generale di Dellai, che ha assoluto bisogno di piazzare la Dominici per fare la propria Giunta, un’estrema debolezza. Che cinicamente pensa di sfruttare. Quindi in aula boccia la Dominici, e dice alla Cogo: la tua assessora passa, solo se tu accetti un immediato svuotamento della Regione, senza aspettare il più complessivo riordino, che tanto è di là da venire.
La Cogo non accetta. E solennemente, in aula dichiara di dimettersi.
Il fatto spiazza tutti. Spiazza la Svp, che intendeva sì tirare la corda, ma non romperla. Spiazza Dellai, che era riuscito a ridisegnare una nuova maggioranza nella sua Giunta, tenuta insieme con lo scotch; e il mancato apporto della Dominici (niente seggiola, niente voto) manda tutto all’aria. Spiazza i Ds: che hanno sposato l’immobilismo, nulla deve turbare le giunte, è inconcepibile che proprio dal proprio interno qualcuno metta in crisi "gli assetti" (leggi: le poltrone).
Ha quindi inizio un’azione convergente: Dellai telefona a Dürnwalder, e entrambi telefonano alla Cogo. Ma no, ti sei sbagliata, quello della Svp non era un ricatto, fai conto che non ci sia più. E dal partito arrivano gli ordini: "Non fare i capricci, non osare rompere il giocattolo che ti abbiamo affidato".
Cogo non sa che pesci pigliare. Finisce con il ritenere sufficienti le spiegazioni di Dürnwalder, e in una conferenza-stampa annuncia che la Svp ha fatto marcia indietro, e quindi lei congela le dimissioni. La stampa giustamente la ridicolizza.
A questo punto la presidente dimissionaria elabora una posizione più sensata. Mi presento dimissionaria al prossimo Consiglio Regionale, e pongo i punti programmatici (il percorso delle riforme) che ritengo imprescindibili: se attorno a questo si trova una maggioranza, ritiro le dimissioni, altrimenti, se ci sono preclusioni verso la mia persona, o incertezze sul programma, le confermo.
Giusto? Così sembrerebbe. Ma non per il suo partito.
Abbiamo già osservato come i Ds, dopo la batosta della Jumela abbiano abbandonato ogni velleità programmatica. Non abbiano più obiettivi politici; ma solo personali, le poltrone.
In questa nuova visone della politica, la Cogo che si dimette perché la sua Giunta non fa niente, è una variabile impazzita, una "ragazzina capricciosa". Che per di più mette a repentaglio il bene supremo: le poltrone degli altri.
Si è poi aggiunta una nuova convinzione (elaborata per giustificare i continui cedimenti): gli elettori non voterebbero chi governa bene, ma chi si presenta compatto. E allora non è importante che la giunta Cogo sia nulla-facente e quella Dellai faccia poche cose e vergognose; è importante che non si litighi, che la coalizione si presenti concorde. Quindi l’ordine è mandare giù i rospi e sorridere (che è poi una variante di quanto fatto finora: mandar giù i rospi e mugugnare). Una convinzione balzana - frutto della necessità di trovarsi un qualche alibi - che postula due cose: che fine ultimo della politica non sia il buon governo, ma la vittoria elettorale, cioè la poltrona; e che gli elettori siano stupidi, facilmente intortabili agitando all’infinito lo spauracchio degli avversari cattivi.
In questo contesto Margherita Cogo, che non è stata una presidente della Regione memorabile, ma che vorrebbe fare qualche riforma, e per questo è disposta a litigare e magari – addirittura! – rimetterci la sedia, è "una ragazzina capricciosa".
Come finirà?