Il sonno della ragione genera mostri/2
Crisi della Regione: che fare?
Credo fosse il 1994 quando un mio articolo dallo stesso titolo è apparso su questo giornale (ancora nella vecchia forma non patinata). Il mostro era allora l’euregio Tirol dal volto secessionista.
Già dalla fine degli anni Ottanta era cominciata ad emergere la crisi della Regione. Chi scrive ha fatto parte del Consiglio regionale dal 1989 e può raccontare (e comunque ne esistono per gli interessati e gli storici le testimonianze nei verbali delle sedute del Consiglio) il progressivo decadimento dell’organo. Il sintomo più evidente è stato nella scorsa legislatura la crisi continua ma senza chiarezza delle maggioranze, con gli altri partiti ostaggio delle giravolte della SVP fra la Lega Nord e i quasi ex-democristiani, mentre in questa si è arrivati nel Consiglio all’imbarbarimento dei rapporti politici e personali e allo scadimento della qualità del dibattito a litigio da osteria.
Nei primi anni Novanta ancora era possibile un dibattito in parte colto e intelligente, un reale confronto di posizioni. Forse l’ultimo confronto vero è stato sul tentativo di sostituire alla chiusura della vertenza sudtirolese a livello internazionale un ritorno indietro ad un vecchio mai esistito Tirolo tedesco. Il progetto è stato sconfitto, ma non si può dimenticare non tanto le posizioni estreme di alcuni, ma piuttosto il silenzio codardo dei più. Anche il duro confronto sulla pensione alle casalinghe, osteggiata in primo luogo da donne, Wanda Chiodi e chi scrive in prima linea, per ragioni economiche e di giustizia sociale oggi dimostratesi giuste, aveva dei contenuti forti.
Come spesso accade, sul corpo morente si sono avventati gli avvoltoi. Ma anche dal suo interno i vermi hanno fatto il loro mestiere. E ciò che c’è di buono - persone colte e settori eccellenti all’interno dell’amministrazione e voci attente e indispensabili nei luoghi della cultura, - hanno finito per ritirarsi, impauriti e intimiditi dal peggio che è avanzato ed ha imposto i suoi metodi e i suoi uomini e donne. Ora c’è chi vuole una catastrofe nel motto: muoia Sansone con i filistei. Ma più che di Sansone, qui c’è bisogno della madre vera nel giudizio di Salomone, cioè di qualcuno che riesca a mettere il proprio amor di partito da parte per far valere la causa della vita del bambino-istituzione. Invece tutti, quasi senza distinzione, sono disposti a farlo tagliare in due.
Il problema non è solo la Regione. La democrazia si esprime nelle istituzioni democratiche. Finché non si riesce a cambiarle, esse devono essere rispettate. A partire da coloro che le rappresentano, sia nel governo che nell’assemblea legislativa. Pena un rischio per la democrazia.
Oggi chi ha a cuore la democrazia dovrebbe mettere mano con fermezza alla Regione: dall’interno, attraverso le misure di trasparenza e regolamentazione dell’attività amministrativa che sono state così ostinatamente respinte negli ultimi due anni e mezzo dalla giunta regionale; e dall’esterno, attraverso l’individuazione di percorsi che portino alla riforma, fra cui vorrei segnalare per il suo buon senso (qualcosa di molto raro nella politica regionale di oggi) quello proposto da Vincenzo Passerini e Walter Micheli. L’immobilismo, quando c’è una crisi profonda, si dimostra il metodo per dare ragione agli avversari: si ricordi l’esempio dell’Austria, dove la paralisi imposta dalla politica della Große Koalition ha portato i razzisti di Haider al governo di uno stato ora meno democratico.
E’ facile destabilizzare le istituzioni quando in chi fa politica prevalgono gli interessi di partito o il proprio personale tornaconto.
E specularmente è normale che quando la politica non è più confronto di idee e proposte prevalgano coloro per i quali il bene pubblico non è l’obiettivo da perseguire.