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QT n. 6, 23 marzo 2002 Servizi

“…e in Regione mi faccio il feudo”

Lo sconcertante quadro emerso dalle commissioni d’indagine della Regione

Una vera e propria enclave all’interno della pubblica amministrazione regionale ad uso esclusivo e privato di alcuni assessori. Esentata da ogni obbligo di rispetto della legalità e delle più banali procedure amministrative. Finalizzata ad una gestione del potere in forma quasi feudale.

Leggendo attentamente le relazioni presentate dalle commissioni d’indagine istituite in Regione, quella interna voluta dall’ex Presidente Cogo e le due costituite dal Consiglio sui fatti di Mosca e Budapest, emerge un quadro preoccupante dello stato di abbandono in cui versa l’amministrazione regionale, oggetto d’impavide scorribande ed assalti alla diligenza da parte del politico di turno.

E’ proprio il disastro complessivo, ben più che le scorrettezze sui singoli episodi, ciò che le tre commissioni hanno messo in luce. Quasi che il furto di tre auto blu a Budapest, ma soprattutto l’arresto di un funzionario regionale a Mosca, siano stati soltanto degli scivoloni, in sé neppure tanto gravi, di un sistema in realtà marcio sin nelle fondamenta.

Cerchiamo di capire il perché.

Anzitutto, è stato creato un quadro legislativo che sembra fatto apposta per facilitare il clientelismo. Le leggi in base alle quali la Giunta regionale distribuisce contributi pubblici sono molto vaghe nelle finalità e non prevedono sufficienti criteri per selezionare i beneficiari delle contribuzioni. In pratica, è l’assessore di turno che si trova a poter decidere cosa, quanto e come finanziare, con totale assoluta discrezionalità. Pertanto, per ottenere il contributo, è necessario farsi amico l’assessore, magari promettendogli il voto.

Siamo di fronte ad un errore del legislatore? Tutt’altro. Una delle leggi finite sotto la lente delle commissioni è la numero 10 del 1988, riguardante la promozione dell’integrazione europea. A questo riguardo è interessante andarsi a rileggere il libro di Vincenzo Passerini "Euregio, il ponte o il muro", che la commissione Mosca ha allegato alla propria relazione. In quel volume si ricostruisce il dibattito consiliare avvenuto tra il ’94 e il ’95 sulla modifica di quella legge. Pur di fronte all’accesissima opposizione delle sinistre, che denunciavano i rischi di quanto sarebbe potuto accadere e che è poi regolarmente accaduto, l’allora maggioranza regionale cancellò in maniera quasi scientifica, dal testo del 1988, ogni regolamento ed ogni controllo sull’erogazione dei contributi. Sopravvissero solo due vincoli: l’obbligo della Giunta di presentare annualmente, al Consiglio, un rapporto sull’attività svolta ed un programma per l’anno successivo, e l’istituzione di un comitato tecnico consultivo, col compito di analizzare le domande formulate alla Giunta. Ma né l’una né l’altra di queste disposizioni sono mai state rispettate.

L’altro pilastro sul quale si fonda il feudo clientelare è la scientifica destrutturazione dell’amministrazione. Ogni pubblica amministrazione dovrebbe essere costruita con una logica a piramide, al fine di chiarire la distinzione delle responsabilità e la corretta catena di comando: ciascun dipendente dovrebbe avere un diretto superiore, che a propria volta risponde ad un superiore più alto in grado e così via, fino ai massimi dirigenti che rispondono agli assessori e, questi, al Presidente della Giunta. Le competenze dell’ente andrebbero poi ripartite in maniera chiara tra gli assessori ed ulteriormente ripartite, a scalare, tra i vari uffici.

In Regione no. Le competenze sulle leggi incriminate erano assegnate a scavalco tra più assessori, mentre vi erano singoli uffici che rispondevano a più dirigenti. Il funzionario arrestato a Mosca, che non ha alcun incarico dirigenziale, rispondeva addirittura direttamente all’assessore Grandi. E la delibera del convegno di Mosca, predisposta da questo funzionario, venne firmata da un dirigente diverso da quello cui il funzionario sarebbe dovuto dipendere.

Una grandissima confusione amministrativa, dunque, che ha reso di fatto impossibile ogni controllo.

Infine c’è l’esautorazione della Ragioneria, l’ufficio che ha il compito di vistare gli impegni di spesa assunti con le delibere, prima che esse siano approvate dalla Giunta.

La Ragioneria dovrebbe controllare non soltanto la disponibilità dei fondi a bilancio, ma anche che gli impegni di spesa corrispondano davvero alle finalità della legge cui fanno riferimento. Questa azione di controllo non può però essere esercitata se l’assessore porta la delibera in Giunta il giorno stesso della riunione dell’esecutivo, fuori dall’ordine del giorno della seduta. Ebbene: la percentuale delle delibere approvate "fuori sacco", ossia non iscritte all’ordine del giorno, è più che raddoppiata a partire dalla scorsa legislatura.

A tutto questo si aggiunga poi la mostruosa crescita, a partire dalla scorsa legislatura, dei fondi stanziati in bilancio proprio sulle leggi "clientelari", il dilagante nepotismo col quale in Regione si gestisce il personale dipendente, i criteri partitocratici coi quali si formano le Giunte regionali e la mancanza di un’opinione pubblica regionale in grado di controllare.

E il quadro è completo.