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Regione di ieri e di domani

Si parla tanto e solo di metodo, nella riforma della Regione. Quando il punto vero è il merito, quale Regione vogliamo. Il fondo di Ballardini inizia ad affrontare il problema.

Trento, manifestazione autonomistica dell'ASAR in piazza Italia.

Il discorso sul metodo è certamente di fondamentale importanza. Ma non esaurisce il problema. Anzi, a concentrarsi troppo sulle procedure e sui meccanismi più adeguati per risolvere il problema c’è il rischio di smarrire l’oggetto, cioè il contenuto vero della matassa che si vuole sbrogliare.

Mi riferisco al problema della Regione, cioè del terzo Statuto che, mi pare, ormai da tutte le parti si invoca come necessario. L’unica unanimità che esiste è sul punto che questa Regione, così come è ora, è non solo inutile, ma persino dannosa. Perciò urge decidere che farne: abolirla o riformarla!

Quando fu promulgato il primo Statuto, quello del 1948, le sue motivazioni erano chiare e forti: l’accordo Degasperi- Gruber obbligava la Repubblica a concedere alle popolazioni di lingua tedesca una autonomia speciale, e nel Trentino era vivo e palpitante un movimento popolare che aveva rinverdito l’antica tradizione autonomistica. La costituente credette di dover rispondere a queste due rivendicazioni parallele attribuendo i poteri dell’Autonomia alla Regione, soluzione che conteneva anche il malcelato proposito di usare la dimensione regionale per mettere le briglie alla minoranza sudtirolese.

Da questa ultima riposta intenzione, che si rese manifesta nella gestione del primo Statuto, si generò per contrasto l’altrettanto forte e chiara pulsione dei primi anni ’60, che in Alto Adige si manifestò anche con atti di terrorismo, la quale condusse al varo del secondo Statuto del 1972. Nei dieci anni della sua gestazione non fu solo il gruppo sud tirolese a pretenderlo, ma anche la popolazione di lingua italiana venne maturando una convinta adesione al nuovo modello come è testimoniato dall’opera del sottoscritto e di Carlo Scotoni per la sinistra e di Alcide Berloffa e Bruno Kessler per la DC. La procedura prescelta fu la Commissione governativa detta dei 19, organo consultivo nel quale si svolse il minuzioso negoziato politico e tecnico, ma in essa furono versati progetti e volontà chiari e forti.

Oggi dove sono tali progetti e volontà chiari e forti? Oggi il bisogno di fare qualcosa nasce da uno scenario di macerie, che negli ultimi avvenimenti ha trovato soltanto l’accidente rivelatore, ma che nelle sue premesse era presente da molto tempo. Da quando le forze dominanti nelle due Provincie non hanno saputo o voluto fecondare quel seme istituzionale unitario che era rimasto deposto nel residuo organismo regionale.

Il mancato uso dei poteri ordinamentali che erano rimasti in dote della Regione ha portato alla sua fatale atrofia.

Io credo che un organismo regionale con la dimensione territoriale che comprenda le due Provincie debba essere conservato. Però bisogna trovarne le motivazioni chiare e forti necessarie a giustificarlo.

Non basta l’idea di una regione che sia "cerniera" o "ponte" fra due mondi. Sono nozioni generiche ed astratte, tanto più in un’Europa che, malgrado il governo Berlusconi, è destinata ed una inarrestabile integrazione. Tanto meno una riformata Regione può trovare la sua ragione d’essere nella esigenza di tutelare la minoranza di lingua italiana residente in provincia di Bolzano: non ha mai svolto una tale funzione e quando, nei primi anni, ha tentato di farlo, ha provocato il proprio fallimento.

La motivazione vera per la sopravvivenza di una Regione vitale va riconosciuta nella esistenza di una affinità tipica riscontrabile nelle popolazioni delle due provincie, determinata dalla comune storia, dall’uniformità ambientale, dall’analogia economica e sociale, dall’omogeneità religiosa e culturale. Esiste questa affinità? O i tempi moderni l’hanno cancellata? Altra motivazione può essere anche solo di mera convenienza, per attribuire, in una dimensione raddoppiata maggior forza alle due Provincie. Tale motivazione può risultare anche più persuasiva dell’altra.

In ogni caso ciò che conta anzitutto è verificare se tali motivazioni sono condivise.

Come? Attraverso un referendum o una convenzione costituente?

Io credo che le regole della democrazia siano rispettate anche quando la volontà generale è rappresentata dalle minoranze attive di una comunità. Così è sempre stato nelle democrazie rappresentative e la democrazia diretta resta un’eccezione. Si potrà fare anche un referendum, ma su proposte precise.

Chiediamo agli elettori se vogliono questa Regione? O quale altra? Per formulare un progetto occorre, piaccia o non piaccia, tastare il polso della SVP.

Durnwalder e Dellai ai vertici della Regione morente possono simboleggiare la nascita di una nuova Regione.