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QT n. 5, 10 marzo 2001 Servizi

Porfido: gli effetti collaterali

Cave di porfido: dal Far West alle regole. E ritorno.

Lunedì 19 febbraio, dopo la pausa invernale, è ripreso con i soliti problemi l’attività nelle cave di porfido: mercato contratto, concorrenza da Sudamerica e Cina, caduta del 6% dei prezzi ed una giacenza di materiale lavorato per circa 30 miliardi.

Nuvola di polvere silicea sopra Lases (autunno 1986)

Da oltre 50 anni il porfido è la croce e la delizia di gran parte della valle di Cembra: delizia per i benefìci distribuiti a tutti gli abitanti, croce perché, come tutte le medaglie, anche questa ha il suo rovescio: esplosione di mine, viavai di camion, polvere, rumore assordante, asportazione incontrollata di milioni di metri cubi di roccia, scarti di lavorazione e relativi gravoni che si mangiano prati e boschi, frane (Graon 1986, Slavinac 2000)

Ancora 30-50 anni fa nessuno protesta o ha da ridire su questi effetti collaterali e nelle cave di Albiano, Lases, Fornace, S. Mauro era Far West: il porfido rende bene, basta sparare qui o là qualche mina, cubettare con un martello e il prodotto è pronto per essere venduto. Tanti sognano di diventare proprietari di una cava, qualcuno ci riesce, qualcun altro si arricchisce con l’indotto e molti emigrati rientrano in valle, da sempre la più povera del Trentino assieme alla Vallarsa.

Non servono grandi tecnologie: si scava un cunicolo di qualche decina di metri, si fa una cianca cioè una curva secca per impedire alla mina di sfiatare, si collocano 30-40 quintali di esplosivo e si dà fuoco alla miccia: il terreno sussulta e un pezzo di montagna si accascia con fragore. Più la mina è grossa, più materiale viene giù frantumato e non occorre perder tempo a perforare tanti buchi. Quasi senza controlli, si spara ad ogni ora, 2-4 volte a settimana e si lavora tutti i giorni, sabati e domeniche comprese.

Ogni tanto una mina mal predisposta fa canon ed i sassi schizzano via per centinaia di metri attorno. Poco male se capita fuori dal paese oppure se il cunicolo è orientato verso il bosco, ma a volte la fretta ci mette lo zampino e "l’effetto canon" scaglia i sassi sull’abitato. Nessuno però alza la voce più di tanto: in pochi anni il porfido ha regalato a molti la casa, ha portato l’acqua corrente, permesso di mandare i figli a studiare a Trento, di vedere la tv. Basta emigrare, portare le vacche al mont, mungere o andare col broz per legna: adesso si ordina gasolio per telefono.

Ma si sa, una comodità tira l’altra e la gente inizia a provare insofferenza per il rumore, le vibrazioni, la polvere, le esplosioni, le crepe nella casa e sassi. La scoperta del rovescio della medaglia fa serpeggiare i primi mugugni sicché quando il 24 aprile 1978 un macigno di 50 chili arriva dalla cava Veneri-Casagranda con un volo di 260 metri a 40 metri dalla casa di Pio Ferrari di Lases, qualcuno decide di non starci più e tenta una causa denunciando il fatto al pretore.

Non succede niente: nel giro di un anno e mezzo la denuncia va in archivio e tutto si chiude con una semplice multa da 250.000 lire.

Ormai il disagio, ancora solo sussurrato, è una percezione diffusa e se ne fa interprete un certo Vigilio Valentini di Lases, un grintoso trentenne il cui padre è morto come molti altri di silicosi lavorando il porfido. Egli intende porre in primo piano le questioni della sicurezza dell’abitato, del disagio dei cittadini, delle necessità di regolamentare l’attività, di dare al Comune un ruolo più incisivo nella gestione dell’oro rosso.

Il 18 giugno 1978, con un esposto-denuncia al pretore di Trento, fa presente come una mina fatta esplodere senza preavviso abbia scosso in modo notevole le case del paese, al punto che molte persone si sono precipitate in strada scambiando i sussulti del terreno per un terremoto. Denuncia anche la mancanza di controllo da parte degli uffici di vigilanza della Provincia.

Altri cittadini affidano le loro lamentele ai giornali, come l’architetto Sevignani, allora residente ad Albiano, che il 7 settembre ’79 scrive su L’Adige: "Due recentissimi scossoni durati dai 5 ai 10 secondi con fortissima vibrazione dell’edificio in cui abito si sono avuti nei giorni 19 luglio e 23 luglio ‘79. Chiedo che le autorità competenti provvedano immediatamente a controllare e a limitare le cariche di esplosivo per evitare che simili scossoni possono causare danni alle persone che all’abitazione oltre allo spavento".

L’assessore all’industria del tempo, Bazzanella, riferendosi ad una mina di 37 quintali fatta brillare il 26 luglio 1979, tranquillizza però dichiarando: "Il brillamento è stato eseguito in conformità ad un dettagliato decreto dettante le norme da rispettare. Ha assistito il capo del distretto minerario postosi presso l’abitato. Egli afferma che vi sono state vibrazioni di entità appena più che apprezzabili. Recatosi successivamente alla piana nella zona abitata più prossima allo sparo, ha constatato che i proprietari non si erano accorti dello sparo. [..] il buon risultato è dato dal corretto uso di micro ritardi elettrici che hanno lo scopo specifico di ridurre l’ampiezza dalle onde elastiche indotte al suolo".

Peccato non la pensino così numerosi abitanti del paese, che il 13 agosto scrivono al pretore di Trento per denunciare il disagio sofferto dai cittadini e le scosse subite dalle case, alcune delle quali mostrano vistose crepe. La lettera si conclude con un auspicio: "Ci si augura che la magistratura di Trento intervenga una volta per tutte ed in modo tempestivo per dare le indispensabili disposizioni in materia di sparo in modo da tutelare il cittadino ed evitare il ripetersi di disagi cui sono soggetti abitanti ed abitazioni".

Le ditte si difendono accusando i contestatori di esagerazioni prive di riscontro nei fatti, ma in ogni caso una qualche regola ormai si impone da sé e nell’ 82-83 viene regolamentato l’uso dell’esplosivo.

Ormai però gli argomenti di Valentini hanno fatto breccia nei pensieri di molti, tanto che nell’85 viene eletto sindaco di Lases.

Gli effetti di un crollo di materiali dalla cava Veneri-Casagranda (dicembre 1986)

Lo scontro coi "porfidari" si accende subito. Nell ’89 modifica in senso restrittivo l’impiego di esplosivo nelle cave situate a meno di 500 metri dall’abitato: spari di mine e lavorazioni sono autorizzate esclusivamente tra le 7 di mattina e le 18 di sera; sabato e domenica divieto assoluto di qualsiasi attività, eccetto casi di necessità ben motivata di rispetto dei tempi di consegna. D’ora in poi i camion non potranno più scaricare sui piazzali materiale porfirico alle 5 di mattina e la gente potrà dormire senza sentire il ta-ta-ta ossessivo dei macchinari spaccapietre.

L’Amministrazione comunale è inflessibile nel far rispettare l’ordinanza: la ditta Paolazzi (la stessa denunciata per lo sparo mine del 23 novembre 2000, il giorno prima dell’evacuazione di Lases) lavora alle sei di mattina provocando rumore e disagio a chi dorme: il sindaco manda i carabinieri a verificare. Lo scontro si fa via via più duro: sempre la ditta Paolazzi è diffidata dal depositare materiale di scarto fuori dagli spazi non autorizzati ed è invitata a bonificare il terreno mediante terra e semina di erba. Ciliegina sulla torta, il Consiglio comunale "osa" alzare i canoni di concessione, fin lì i più bassi della zona del porfido.

Le ditte della zona non ci stanno e ancor meno accettano l’aumento dei canoni di scavo che, a loro dire, le metterebbe fuori mercato, ma il Comune non molla: il porfido deve essere una ricchezza ed un beneficio per tutti. Tentano anche la via del TAR, ma i loro ricorsi vengono regolarmente respinti. Non mancano minacce e attentati: durante una seduta di giunta la macchina di un assessore è data alle fiamme da ignoti, altri consiglieri ricevono lettere con minacce ed alcuni candelotti vengono esplosi a scopo intimidatorio vicino alla casa di un assessore comunale

Ma la giunta comunale tiene duro ed i canoni di concessione portano nelle casse comunali anche più di un miliardo all’anno, trasformato in servizi alla gente, scuola, teatro, aula magna, municipio nuovo, acquedotto e bonifiche di discariche, cave esaurite e dell’area del lago. In 10 anni (1985/95) di laboriosa attività il Comune di Lona-Lases, con un impegno finanziario di 13 miliardi per il 60% erogato dalla Provincia e per il rimanente derivato dalle entrate dei canoni, cambia volto.

Per un confronto sui canoni del porfido, mentre a Lases nei primi anni ‘90 il canone per metro cubo di roccia estratta è di circa 6.500 lire, ad Albiano resta sulle 2.500. Se anche lì lo avessero fatto pagare come a Lases, in dieci anni il Comune di Albiano avrebbe incassato circa 20 miliardi in più da trasformare in servizi agli abitanti. Solo a Fornace il canone è leggermente superiore a quello di Lases per via della migliore qualità del porfido.

Nei primi anni ‘90 migliorano anche i rapporti con le ditte che, per ridurre la polvere, asfaltano i piazzali e le strade di accesso alle cave, ma i criteri di estrazione restano gli stessi.

Maggio-luglio 1991: sassi proiettati in seguito ad alcuni spari di mine sulla casa di un abitante di Lases, a circa 200 metri dalla cava.

Finché nel maggio-giugno ’91 cade su Lases una vera grandinata di sassi: uno di 2,4 kg sparato dalla cava di Monte Gorsa-Ronchi arriva in mezzo al paese ed altri, dopo un volo di 200 metri, finiscono a ridosso della casa di un certo Fausto Mattivi. Immediato l’intervento del sindaco Valentini che, l’11 luglio 1991, impone con ordinanza alle ditte "Paolazzi, EPOL, Beber, Sottopietra, Ronchi e Elit l’immediata cessazione di qualsiasi attività di sparo mine sui rispettivi lotti autorizzati e concessi per il periodo di 30 giorni a partire dalla data notificazione della presente". Chiede alle forze dell’ordine di vigilare sull’osservanza e fa presente ai titolari delle cave che il mancato rispetto della delibera porterà alla revoca della concessione.

Piantina delle traiettorie dei massi proiettati sopra l'abitato di Lases (estate '91)

Lo scontro si allarga ad altri fronti, come quello riguardante l’ampiezza dei gradoni che fino agli anni ‘80 erano alti ognuno fino a 50 ed anche 80 metri (quello della Veneri- Casagranda): obiettivo dell’amministrazione è abbassarli a non più di 15-20.

Infatti, più è basso il gradone, meno servono mine grosse, si sollevano meno nuvole di polvere di silicio che ricadono sull’abitato di Lases, si riducono le vibrazioni che lesionano le case, si può intervenire con il martello pneumatico o con il forcone in ferro e si diminuisce lo scarto che va in discarica. L’Ufficio Minerario provinciale interviene d’autorità con un proprio progetto per lo sparo di mine: prevede per le ditte prospicenti l’abitato di Lases la stesura di un piano di tiro redatto da un tecnico con esperienza nel settore minerario, cui compete anche seguire le operazioni di caricamento e brillamento della mina ed il rilascio, a fine operazione, di una certificazione di conformità.

Impone, allo scopo di ridurre l’effetto terremoto, di caricare la mina non più in pochi e grossi fori, ma in un numero ben maggiore, dal diametro limitato e con micro ritardi tra lo scoppio di una carica e l’altra, in modo da frazionarne la potenza in una serie di detonazioni minori. Fa obbligo infine di coprire con una rete metallica l’area della mina e prevede che la popolazione sia informata dello sparo con 24 ore di anticipo ed i più prossimi alla cava addirittura avvisati personalmente mezz’ora prima.

Con questo protocollo a regime, la qualità della vita cambia decisamente: vibrazioni limitate, ridotti fragore e polvere, vita più tranquilla. Non c’è più pericolo né per le case né per le persone e, a difesa dal rumore, sulle macchine cubettatrici e piastrellatrici vengono installati i pannelli fonoassorbenti.

Ma, si sa, la gente si abitua in fretta agli agi e dimentica i disagi. Queste regole infatti hanno un costo e quando si tocca il portafoglio non ci vuol tanto a mettere da parte anche le migliori intenzioni. Nei Comuni del porfido, il dio denaro conta più di polmoni puliti, di sonni tranquilli, di sicurezza del territorio e di vivibilità ambientale e così a Lona-Lases, alle elezioni comunali del ’95, l’Amministrazione Valentini è costretta a lasciare il posto a quella dell’attuale sindaco Roberto Dalmonego, sostenuto dal settore porfido, meno sensibile ai problemi dell’ambiente e della vivibilità dei residenti.

Il fatto è che sul porfido c’è una sorta di complicità fra troppi abitanti e i cavatori: per tutti è una manna e in molti poi è ancora viva la memoria storica della fame della valle, quando distillare sgnapa de strabauz era una delle poche attività redditizie.

Il nuovo corso si avverte subito: nel ’98 ritorna l’uso di esplosioni potenti e si allenta il divieto di lavoro notturno, come quando,il 21 maggio ’98, sul piazzale della ditta del cavalier Casagranda (imponibile ’99: 358 milioni), una pala meccanica lavora tranquillamente alle quattro di mattina. Seguono nuovi esposti alla magistratura, ma la gente fa spallucce convinta si tratti di invenzioni messe in giro da qualcuno, e di fronte alle perplessità sollevate sul rischio Slavinac, acuito da mine ed infiltrazioni d’acqua, ribatte che non sono certo quelle a mettere in moto la frana, e poi l’acqua si infila tra i sassi e scivola via per conto suo.

Il Servizio Minerario in dicembre interviene monitorando con il sismografo alcune mine, ma i valori di vibrazione risultano di 0,32 mm/sec, praticamente fuori dalla percepibilità umana che è di 1 mm circa. Tra la gente gira voce che le ditte sapessero della perizia e si fossero comportate a modo nei giorni delle prove caricando le mine nel rispetto del regolamento. Solo un pettegolezzo naturalmente, ma significativo un commento sentito in paese: "Magari le mine fossero tutte così! Sembrava un petardo!"

Secondo un altro perito però la velocità delle onde in zona potrebbe arrivare ai 10 mm e 18 hertz: chi e per conto di chi allora racconta frottole?

La perizia comunque serve agli enti preposti ai controlli, Giunta provinciale in testa, a chiamarsi fuori: tutto è in ordine e non ci sono rilievi da fare, si può procedere tranquillamente. Sembra di sentire l’assessore Bazzanella...

Emblematica la denuncia presentata da alcuni abitanti di Fornace (anni 1997/2000) alla magistratura di Trento contro l’esplosione di mine a 50 metri dalle case di Maso Saro in una cava della ditta Pisetta (di cui è socio anche il sindaco di Fornace Marco Stenico), denunce confermate nella pericolosità dal perito del Tribunale, ma rimaste senza seguito.

Comunque i giorni 24-25 novembre 2000, data dell’evacuazione di Lases a causa dello "Slavinac", sono stati giorni di grande angoscia per tutti: frana sulla statale, frana nel lago con effetto Vajont, polvere, vibrazioni, ecc. ridiventano temi dominanti con accuse, contraccuse, difese, rimandi di responsabilità. I costi diretti per le casse provinciali sono già arrivati al miliardo e per il progetto di messa in sicurezza della frana serviranno altri 2 miliardi di lire di soldi pubblici.

Poi arriva il gelo invernale, la frana rallenta e un po’ alla volta si dimentica tutto.

Semmai adesso c’è il rischio che qualcuno chiuda ancor più gli occhi se cavatori, operai, trasportatori, operatori dell’indotto oppure i loro familiari, per tener testa alla crisi che si paventa ormai ogni anno, si concederanno da sé deroghe agli orari, alla quantità di esplosivo, all’altezza dei gradoni.

A vigilare su tutto, il 27 novembre 2000, è sorto un comitato spontaneo definitosi "Comitato-Slavinac" con un sottotitolo significativo: "no ad un mondo di frane" (frane a tutto campo: inquinamento dell’aria, delle acque, del sottosuolo, distruzione del tessuto sociale, del disagio giovanile ecc), il quale intende seguire a livello pubblico l’intera vicenda porfido perché - ne sono convinti i promotori - non c’è da fidarsi troppo.

Il Comitato, in stretto contatto con centri universitari e appoggiato da tecnici e geologi, organizza incontri con responsabili della Giunta provinciale, con la Protezione civile, i Servizi Calamità e Geologico e il mondo sociale, dal sindacato, alla Chiesa, all’ambientalismo (WWF, Italia Nostra, Legambiente).

Infine, con volantini, informa la popolazione sui risultati ottenuti e sullo stato del monitoraggio della frana.

Dal canto suo, il Comune di Lona-Lases rimane in silenzio, non informa pubblicamente come aveva promesso le famiglie di Lases, dalle quinte fa trapelare che tutto è tranquillo, che la frana non si muove, accusa quelli del Comitato di inutile allarmismo, di non rappresentare la popolazione, di volere la chiusura delle cave: un vecchio ritornello preso a prestito dai cavatori di 15 anni fa. Eppure non sono ancora passati tre mesi dalla grande paura.