I commercianti non si arruolano
Percorsi paralleli delle associazioni dei commercianti: l'ex potentissima Unione, oggetto dei giochi politici dei culi di pietra, perde personale qualificato e iscritti; l'ex derelitta Confesercenti, che punta sulla tutela sindacale, aumenta sedi e associati.
Avevano fatto una grande, bella reception nella nuova sede: chi entrava si rivolgeva al bancone, la signorina si informava per citofono e faceva attendere sulle poltrone. Non ha funzionato: hanno dovuto sbaraccare tutto e ritornare a un ingresso più informale. "Perché questa è la nostra filosofia: l’associazione è dell’associato, che non deve sentirsi un estraneo, un ospite, o una pedina in un ingranaggio."
Saranno magari frasi un po’ demagogiche queste che ci dice Paolo De Carli, segretario della Confesercenti. Eppure questo, dei rapporti con la struttura dell’associazione, è uno dei punti cardine, uno degli snodi sempre difficili nelle associazioni di categoria; e al contempo uno degli elementi del successo della Confesercenti. Successo evidenziato dai dati: una sede di 200 mq. nei primi anni ’90, poi il trasloco a Trento Nord, l’espansione, fino alla nuova sede in via Maccani, 1.500 metri; e così i soci, in continuo aumento fino agli attuali duemila (vedi grafico).
Questa dinamica ha anche motivazioni politiche. Quindici anni fa la Confesercenti raggruppava i (pochi) operatori del terziario orientati a sinistra; nel Trentino democristiano non riusciva neanche a fare il solletico al colosso Unione Commercio, contigua al potere doroteo.
Poi la dupice svolta: la Confesercenti si svincola dall’abbraccio (minoritario) con la sinistra; l’Unione Commercio non ha più la sponda democristiana e diventa terreno di caccia dei culi di pietra, il ceto di professionisti della poltrona, che con l’imprenditoria del terziario non hanno nulla a che fare.
Abbiamo già descritto le gesta della coppia Gianni Bort-Mario Oss, il tandem di culi di pietra da alcuni anni impadronitisi, con un fortunato colpo di mano, dell’Unione Commercio(Sono arrivati alla cassaforte e Dietro Malossini e la Compagnia delle Opere). Sinteticamente: usare il potere e i soldi dell’Unione (ricordiamo che l’associazione dei commercianti è proprietaria della Seac, la ricca società di software alla cui presidenza Oss si è subito installato) per giocare la partita sul piano della politica, per avere ulteriore potere.
Tutto questo ha due effetti. Il primo è il disinteresse verso i problemi della categoria: chi briga per posti nelle banche, intrecci politici, commistioni politico-affaristiche con Comunione e Liberazione o la Compagnia delle Opere, non ha poi né tempo né voglia di seguire i problemi dei bottegai o dei baristi. E così l’Unione è sempre meno un sindacato: non svolge adeguata tutela sindacale, non segue le leggi provinciali (urbanistiche, di settore); urla ma, come vedremo, non svolge alcun ruolo nella definizione di riforme basilari come la Bersani. In teoria dovrebbe svilupparsi la Servizi Unione (società per la gestione paghe, assistenza fiscale e burocratica, ecc.), ma lasciata a se stessa, langue anch’essa; nelle valli (di Non, di Sole, Valsugana) si è registrata una fuga di dipendenti, ed è personale qualificato che ha un rapporto fiduciario con i clienti: quando se ne va, si porta dietro una porzione di clientela.
Il secondo effetto è la disaffezione degli associati, che giustamente non capiscono perché dovrebbero fornire le basi di progetti politici che non li coinvolgono né li convincono.
In questi giorni, Bort e Oss hanno sponsorizzato l’avvio della campagna elettorale di Ivo Tarolli, parlamentare del centro-destra: alla manifestazione, nell’elegante Sala del Falconetto, non erano presenti dieci persone. "Il commerciante, alla sua associazione chiede di essere un sindacato, non un partito" - ci dicono dall’interno della stessa Unione.
Tutto questo ha conseguenze pesanti. Negli ultimissimi anni, un’emorragia di diverse centinaia di iscritti, con intere categorie che sono passate armi e bagagli alla Confesercenti (le Guide e Accompagnatori turistici con 70 associati e l’Associazione Ricevitorie con un centinaio), mentre anche i nuovi imprenditori prediligono l’associazione concorrente.
Le differenze vere emergono quando si affrontano i problemi veri, il che in Trentino, significa competitività del settore. La legge Bersani, che ha liberalizzato il commercio in tutta Italia, è stata recepita in Trentino con gli usuali ritardi di questo difficile momento dell’Autonomia. Ma soprattutto è stata vista come un pericolo, un’insidia; e si è tentato di vararne una versione stravolta, che avrebbe ampliato il divario di concorrenzialità rispetto al vicino Veneto.
La Confcommercio a livello nazionale si è scagliata contro la riforma, il presidente Billè si è esibito in un tour di protesta in pullman, che naturalmente è approdato anche a Trento; dove ha trovato accoglienze trionfali da parte dei culi di pietra, ma freddissime dalla base, che giustamente sospettava in questa opposizione durissima delle strumentali motivazioni politiche; e che viceversa si chiedeva se non era proprio un’accorta liberalizzazione lo strumento per attrezzarsi nei confronti della grande distribuzione internazionale. E analogamente in Trentino: l’Unione ha ripetutamente lanciato grida di sdegno per le bozze di riforma partorite a Piazza Dante, ma non ha mai presentato uno straccio di progetto credibile. Dando l’impressione di cercare di ovviare con il frastuono alla mancanza di idee.
La Confesercenti invece è apparsa (anche in seguito a una campagna con tanto di inserzioni pubblicitarie) come il baluardo della piccola distribuzione, contrapposta alla grande. E forse è una posizione che può rendere nell’immediato; ma siamo sicuri che sia lungimirante?
"E’ una visione un po’ distorta - ci risponde De Carli - Abbiamo elaborato due tendenze. Da una parte a distinguere all’interno della grande distribuzione: non in termini di metri quadri, ma di proposta del prodotto. C’è una grande distribuzione legata al territorio, al prodotto della zona, come da noi Sait, Poli, Orvea; e ce n’è un’altra, quella multinazionale dei discount, che deprime il prodotto, banalizza il consumo e lo porta verso il basso. Con la prima si possono sviluppare intese, progetti comuni; con la seconda ovviamente no.
C’è poi il discorso delle opportunità della Bersani. Secondo noi si deve passare dal principio ‘mettiamo le regole per tutelare il piccolo’ al suo contrario: ‘togliamo le regole per tutelare il piccolo’. Le grandi aziende mettono in gioco meccanismi che le regole le aggirano; il piccolo imprenditore invece deve poter sfruttare in pieno la sua inventiva, la sua passione, senza ostacoli di tabelle merceologiche, licenze, e anche orari. E così sulle svendite: fatti salvi alcuni limitatissimi periodi come quello natalizio, o gli avvisi-truffa, siamo dell’opinione che sia bene che ognuno faccia la politica commerciale che vuole."