In nome di Dio
Quando la fede diventa religione organizzata: che anche oggi, dall’Irlanda a Israele all’Italia multietnica, rischia di essere causa di scontri insanabili.
La religione è fede, cioè intima e profonda, anche se tormentata dal dubbio, convinzione che esista una suprema realtà ultraterrena, trascendente nel senso che è creduta come vera anche se non è percepibile dalla umana esperienza sensoriale. A tale credenza è correlata la risposta alle domande fondamentali sulla esistenza, sulla sua origine e fine, sugli scopi della nostra vita più o meno travagliata, sul destino dell’intero cosmo. Da essa deriva anche un sistema di valori e principi che compongono le regole di condotta morale.
E’ intuibile quanto sia rassicurante possedere una tale convinzione. Essa non risolve tutti i problemi che chi la nutre può incontrare nel suo cammino. Anzi talvolta può dare origine a contraddizioni laceranti e dolorose, ma più spesso è fonte di appagamenti consolatori. La religione insomma, intesa come fede, è un requisito, se vogliamo un dono, uno stato di grazia esclusivamente personale, vissuta nella più assoluta riservatezza, addirittura nella più riposta interriorità. Come tale costituisce un’esperienza unica, totalmente solitaria, persino segreta ed inviolabile.
Il guaio è che un così rispettabile sentimento storicamente ha generato le religioni organizzate. Da scelta esistenziale compiuta da ogni singola persona, la religione è divenuta un legame, un vincolo di ciascuno con i codici che la disciplinano e con le altre persone che la professano. Il termine stesso - religione - partecipa di questa sua duplice natura: deriva da religere, che appunto significa scegliere, ma anche da religare, che significa invece legare, vincolare. E’ in questo trapasso della fede da esperienza privata a vocazione pubblica e collettiva che si è verificata una metamorfosi perversa. E’ di tutta evidenza che questo processo degenerativo non è ascrivibile all’opera di Dio, ma esclusivamente a quella dell’ uomo. La religione organizzandosi si è differenziata in forme e strutture plurime, ciascuna con la propria teologia, con ritualismi distinti, con regole etiche diversificate. Se osserviamo le stesse tre grandi religioni monoteiste, benché abbiano molto in comune, vediamo che è molto di più ciò che le distingue, tanto che è, ancor oggi, piuttosto illusorio sperare in un imminente ecumenismo. E’ ben noto quanto nella storia i contrasti fra religioni o sette religiose siano stati causa di guerre lunghe e sanguinose. Ciò che turba e sorprende è che ancora nel ventesimo secolo e all’alba del terzo millennio dell’era cristiana siano i conflitti religiosi ad insanguinare molte contrade del globo.
So benissimo che sotto gli antagonismi religosi quasi sempre covano motivazioni di altra natura, specialmente economica. Ma è l’identità religiosa che conferisce alle opposte fazioni la radicalità, il fanatismo, l’irriducibilità che rende insanabili gli scontri. Pensate alla secolare guerra civile che contrappone nell’Ulster cattolici e protestanti: non vi è differenza di lingua o etnia, ed i problemi economici sono certamente ripianabili da una vera potenza che è tra le più prospere del mondo. O alle tensioni inasprite dalle diverse fedi religiose professate dalle comunità conviventi e confliggenti nel territorio dell’ex Jugoslavia. Il più drammatico teatro di crisi dei nostri giorni è ancora una volta polarizzato su questioni religiose: il trasferimento dei coloni dalla fascia di Gaza e dalla Cisgiordania o il ritorno sulla propria terra dei profughi palestinesi, sono per certo problemi difficili ma risolvibili; ciò che rende insuperabile la difficoltà di un accordo fra palestinesi ed Israele è il destino della Spianata delle moschee o del Monte del Tempio o del Muro del pianto, simboli carichi di significati sacrali in una Gerusalemme che da culla quale fu sembra incline a divenire la tomba delle religioni.
Se leviamo lo sguardo oltre i ristretti confini del nostro mondo più vicino, verso l’oriente, scorgiamo innumerevoli focolai di conflitti religiosi. E’ da quelle parti che un fanatico indù, per motivi religiosi, assassinò una persona come il Mahatma Gandhi, l’espressione più nobile e alta di un’etica laica e semplicemente umana.
Nel nostro piccolo l’ostilità verso gli immigrati extracomunitari punta ancora una volta sulle manifestazioni liturgiche della loro religione: la moschea, i riti delle sepolture, il giorno del Ramadan. E’ su questo terreno della organizzazione religiosa che nascono gli attriti.
Possiamo avanzare l’ipotesi che un mondo laico, a-religioso, cioè non senza fede religiosa ma senza religioni organizzate, sarebbe più pacifico? Il fasto e la maestosità del Giubileo appena concluso non mi pare siano valsi a fugare il sospetto che le religioni organizzate siano ancora uno dei flagelli dell’umanità.