Scuole private, il referendum
Laicità, pluralismo, scuola per tutti: i perchè di una battaglia per un referendum che si può (facilmente) perdere.
La riforma dell’istruzione trentina non piace a tutti. Di sicuro non entusiasma i sindacati, in particolare la UIL, che si è fatta promotrice di un referendum che mira ad abrogare alcuni articoli della legge: “La riforma - spiega Vincenzo Bonmassar, segretario della UIL Scuola - in alcuni suoi punti crea delle forti perplessità. Stiamo parlando del comma 7, articolo 35 (sulla creazione di un sistema integrato di scuole pubbliche e private, n.d.r.) e dell’articolo 76” (finanziamenti per le scuole private, n.d.r.).
In origine il referendum andava a toccare anche altri articoli (22 e il 24) fortemente contestati proprio dalla Uil (vedi “Scuola trentina uguale scuola parrocchiale?” su QT del 29.10.2005), in quanto in ogni istituto subordinavano il Collegio Docenti a un Consiglio d’Istituto fortemente caratterizzato dalle realtà territoriali: in sostanza le scuole rischiavano, soprattutto nelle periferie, di essere pesantemente condizionate dalle comunità locali, rispetto alle quali esso non fungeva più da avanguardia culturale, ma da rimorchio. Da noi interpellato (“Scuola: l’assessore risponde”, QT del 23 dicembre 2005) lo stesso proponente assessore Salvaterra riconosceva la necessità di cambiare per lo meno la formulazione di quegli articoli; che invece rimanevano inalterati. Ci pensava poi il governo centrale (i rapporti con Roma non sono evidentemente tutti da buttare), forse sollecitato dallo stesso quesito referendario, ad invitare la Giunta a modificarli.
Insomma, un indubbio risultato positivo è stato raggiunto. Rimangono in piedi dunque i quesiti sulle scuole private (o paritarie). E su di essi i referendari puntano i piedi: ”Il nostro obbiettivo è quello di una maggiore trasparenza e magari un parziale cambio di rotta. – afferma Bonmassar - Perché allo stato attuale è evidente che la riforma elimina il pluralismo nelle scuole e crea istituti di appartenenza”.
Vediamo i due aspetti, trasparenza e pluralismo, cui ne aggiungiamo un altro, scuola di classe (usando un termine di altri tempi).
La trasparenza riguarda un valore terra terra, i soldi (che notoriamente spesso si nasconde tra le pieghe dei discorsi di quelli che troppo parlano di valori). Nei bilanci provinciali, i finanziamenti agli istituti paritari finiscono sotto la voce del diritto allo studio. Il problema è che sotto questa dicitura vanno a finire anche i finanziamenti per le scuole pubbliche e quindi è impossibile capire in quale misura la Provincia finanzia le scuole private. Anche il testo della legge Salvaterra è molto vago al riguardo: “Destinatari dei finanziamenti sono studenti ed istituzioni paritarie.” Nulla di più sui requisiti che bisogna avere per ottenere tali finanziamenti, né tanto meno sui limiti di questi finanziamenti. Per provare a capire possiamo quindi solo basarci sui casi singoli, come quello del Liceo Internazionale Arcivescovile di Rovereto, dove sono stati spesi 10 milioni di euro per la ristrutturazione dei locali, interamenti finanziati dalla Provincia (tutto questo mentre l’antistante liceo pubblico Rosmini non vedeva il becco di un quattrino).
Proprio l’esempio di Rovereto, che ha costituito un piccolo boomerang per Salvaterra (che ha dovuto fare un passo indietro, e rinnegare, almeno a parole, la strada intrapresa), ci fa capire le insidie del concetto di “sistema integrato”. E qui ci si connette al discorso del pluralismo nelle scuole e alle possibilità di scelta.
Partiamo da un discorso generale. La scuola statale, nei sessant’anni di storia della Repubblica, ha funzionato spesso male, strozzata da una cronica mancanza di risorse e bloccata da politiche non sempre illuminate. Un merito grandissimo le va comunque riconosciuto: la scuola statale è stata, soprattutto negli ultimi trent’anni, da quando cioè sono state abbattute tutta una serie di barriere, un fertile terreno di incontro tra le diverse componenti della nostra società; le libertà di accesso e di insegnamento, sanciti dalla Costituzione, hanno permesso a ragazzi provenienti da ambienti sociali e culturali diversi la condivisione di spazi ed esperienze comuni.
Per questo, tanto più oggi, in una società ormai plurietnica e plurireligiosa, è fondamentale preservare il ruolo centrale della scuola pubblica, come momento di confronto tra le culture. Questo è il pluralismo vero, cui viene contrapposto un pluralismo fasullo, la possibilità (pagata dallo Stato) di iscrivere lo studente ad una scuola monoculturale. Con il che vengono messe formalmente sullo stesso piano le scuole plurali al loro interno con quelle monoculturali, che poi godono di ulteriori propri finanziamenti.
Il discorso si aggrava ulteriormente con l’ipotesi Salvaterra di sistema integrato, che vieta i “doppioni” (in pratica il principio per cui, come appunto nel caso del Liceo di Rovereto, dove c’è un istituto privato non ne serve uno pubblico): con il che si penalizza non solo lo studente che non ha le risorse economiche per iscriversi alla scuola privata, ma anche quello che non vorrebbe iscriversi ad un istituto inevitabilmente orientato (circa il 90% delle scuole private in trentino sono di natura confessionale).
Con il che il principio costituzionale, sancito dall’art. 33 (“Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”) viene ribaltato.
Lo studente che vorrebbe andare a una scuola pubblica, plurale, non può farlo, a meno di ripiegare su un indirizzo sgradito o una sede lontana.
C’è poi un ulteriore aspetto, di grave impatto sociale. Il ruolo dell’ente pubblico rischia di mutare, passando dall’impegno nel compiere il suo dovere di istituire scuole, a quello di semplice regolatore di un mercato dell’istruzione. Con un rischio conseguente: la dequalificazione della scuola pubblica.
ELEMENTARI | Iscritti | Stranieri | % Stranieri |
---|---|---|---|
Statali | 25346 | 2639 | 10,41% |
Non statali | 1066 | 16 | 1,50% |
Totale | 26412 | 2655 | 10,05% |
MEDIE | |||
Statali | 14589 | 1671 | 11,45% |
Non statali | 912 | 5 | 0,55% |
Totale | 15501 | 1676 | 10,81% |
SUPERIORI | |||
Statali | 17702 | 629 | 3,55% |
Statali Corsi Serali | 1215 | 126 | 10,37% |
Non statali | 1454 | 24 | 1,65% |
Formazione Professionale | 4252 | 678 | 15,95% |
Totale | 24623 | 1457 | 5,92% |
Essa infatti è penalizzata dal doversi far carico di quegli studenti scomodi, come handicappati ed extracomunitari, che sono rifiutati dagli istituti privati. Le cifre (vedi tabella) sono illuminanti: la percentuale di studenti stranieri nelle scuole private è irrisoria. E la realtà è sicuramente ancor più cruda: gli stranieri nelle scuole private sono stranieri “per bene”; perché queste scuole nascono come scuole “per bene”.
“Alle condizioni attuali – ci dice il sociologo Piergiorgio Rauzi - si sta creando una spaccatura nella società: chi ha i soldi si iscrive alle scuole private (ben finanziate ed orientate), chi invece non ha le risorse/i requisiti è costretto ad essere relegato in una scuola pubblica che gioca semplicemente il ruolo di ammortizzatore sociale, un po’ come accade negli Stati Uniti. Sta già avvenendo una forte dequalificazione della scuola pubblica. Gli studenti più abbienti, i borghesi e gli aspiranti borghesi, nella maggior parte dei casi scelgono la scuola privata. Questo è un prodotto del conformismo sempre più diffuso, anche nella Chiesa. Si assiste ad un sempre più diffuso moralismo ed ossequio per la gerarchia, mentre servirebbe una riflessione. Mi torna in mente un episodio di quando insegnavo, appunto in un istituto privato, negli anni ’60. Uno studente mi disse che per lui la religione è come una pianta ornamentale in un salotto: non può mancare. Ecco, forse è questo che si pensa ad oggi ed è questo l’indirizzo dato dagli istituti privati”. Il che ci rimanda ad un altro problema: ma la Chiesa, nell’istituire con soldi pubblici le scuole per i ricchi, che ruolo vuole svolgere nella società?
Resta un interrogativo molto pratico. Il referendum non rischia di essere un boomerang, se non si raggiungono le firme richieste (almeno 8.000 in 90 giorni, a decorrere dal 28 febbraio), oppure se il referendum si tiene e poi non si raggiunge il quorum? E’ facile prevedere che la Chiesa, i partiti cattolici, quelli benpensanti, i politici laici e magari sporcaccioni ma opportunisti, saranno tutti lì a predicare l’astensione. Non si rischia il bis del referendum sulla fecondazione assistita, che lanciò il card. Ruini come il politico italiano più gettonato?
“Questo pericolo esiste – risponde Franco Ianeselli della segreteria della Cgil – Noi pensiamo che i referendum si facciano per vincerli, e quindi quando attorno a loro si riesce a costruire un’ampia alleanza nella società. Per questo ufficialmente non appoggiamo la raccolta delle firme. Però nel merito dei quesiti la nostra condivisione è totale. E se si arriverà alla consultazione, vedremo la maniera più opportuna per segnare questa nostra convinzione”.
Di altro avviso è Bonmassar: “Cosa vuole dire ‘boomerang politico’, ripercussioni negative? Si può arrivare a una situazione peggiore di quella attuale? Questa tesi è immobilista e non costruisce un punto di partenza per intervenire sull’esistente. Certo che vincere il referendum è impresa improbabile, se no non ci sarebbe bisogno di impegnarsi. Si consideri che la legge in questione ha disegnato un Trentino “ancillare” e che la scuola è un addendo di questo progetto. Tutto ciò è passato in sordina e la democrazia, invece, richiede voci forti e proporzionate all’importanza dei temi. E l’istruzione è uno dei temi più delicati e centrali della società civile.”
“Può essere che si perda. Ma non è questo il punto – ci risponde il consigliere provinciale Mauro Bondi (DS), che in aula non ha approvato la legge della sua maggioranza – Purtroppo questi temi stanno passando in sordina. C’è una preoccupante, penosa acquiescenza culturale al debordare, in ogni dove, della Chiesa; e un’iniziativa come il referendum ha rimotivato persone che da questa deriva si sentono umiliate”.