Cosa ci aspettiamo dalla Germania
Come cambierà l’Unione Europea nei 6 mesi di presidenza tedesca? Un convegno a Trento.
Il ruolo della Germania, presidente di turno dell’Unione Europea per il semestre in corso, è stato al centro della discussione della seconda giornata del convegno “L’Unione europea tra interessi nazionali ed influsso internazionale: che cosa ci aspettiamo dalla presidenza tedesca dell’UE?”. Organizzatori dell’evento, la Scuola di studi internazionali dell’Università e l’Istituto per gli studi storici italo-germanici. Un folto e qualificato gruppo di esperti, composto da studiosi, esponenti politici e diplomatici, si è quindi interrogato sul processo di integrazione europea, concentrandosi in particolare sulle potenzialità del governo del cancelliere Merkel come catalizzatore di una spinta propulsiva verso un’Europa più unita al suo interno e più efficace nella sua azione esterna.
Ne è uscito un quadro di luci ed ombre, secondo la nota dicotomia tra ottimismo della volontà (sovranazionale e tedesca) e pessimismo della ragione (nazionale e per lo più francese).
L’adozione da parte di tutti gli stati membri dell’UE del Trattato costituzionale è parsa a tutti una necessità per dare nuova linfa al progetto europeo.
In questo tutti hanno riconosciuto la sincera intenzione tedesca di spendersi, di qui a giugno, per progredire in questa direzione. Dubbi sono però emersi da più parti sulla reale volontà politica di alcuni Paesi – in primis la Francia – di avanzare verso un’Unione ancor più sovranazionale e capace quindi di erodere ulteriormente le poche prerogative della sovranità nazionale ancora rimaste . In questo senso, due questioni in particolare meritano di essere esaminate: il riformismo istituzionale e la politica estera europea.
Il primo appare la via più adeguata per far ripartire l’UE a livello interno, sul piano dell’economia e delle riforme sociali. La seconda appare invece come lo strumento indispensabile perché l’Europa possa rimanere protagonista e competitiva nelle relazioni internazionali.
Dopo anni di immobilismo e di crescente scontento nelle opinioni pubbliche del vecchio continente, occorrono rinnovate strategie politiche e una nuova architettura istituzionale; dunque, proprio la riforma delle istituzioni sembra essere la chiave di volta per ridare slancio al processo comunitario e varare riforme economiche e sociali. In un mondo che corre sempre più in fretta, dove la competizione economica è tanto agguerrita e dove le controversie sono difficilmente risolvibili attraverso un approccio unilaterale, la cooperazione regionale pare essere la soluzione. Oggi più che mai, l’Unione (europea) fa la forza.
La Carta costituzionale europea, ratificata da 18 stati membri su 27, definisce in maniera chiara la divisione di competenze fra Bruxelles e i governi nazionali. Pone anche le fondamenta per un piano continentale in settori strategici come l’occupazione, la politica sociale, la ricerca, lo sviluppo e l’energia. In particolare la Costituzione europea creerebbe un presidente dell’UE in carica per due anni e mezzo e, al momento di votare su questioni fondamentali, istituirebbe processi decisionali più flessibili in seno al Consiglio. Queste innovazioni istituzionali puntano a dare più continuità e coerenza all’azione politica dell’Unione.
Alla luce di ciò, studiosi (Gian Enrico Rusconi, Gianni Bonvicini), politici (Umberto Ranieri, Giorgio Tonini) e diplomatici (Renato Ruggiero) si sono detti concordi sul fatto che l’obiettivo principale della presidenza tedesca deve essere la stesura, entro la fine del suo semestre alla guida dell’UE, di una road map che segni delle tappe precise attraverso le quali guidare i 27 Paesi membri fino all’adozione del Trattato costituzionale. Ciò, è l’auspicio di molti, dovrebbe verificarsi prima delle elezioni europee del 2009.
Secondo Ruggiero, già ministro degli esteri con Berlusconi ed oggi consigliere di Prodi per gli affari europei, esiste a livello europeo un ampio consenso per riprendere il cammino europeo partendo dal Trattato bocciato da francesi ed olandesi nel 2005. Ma sarà inevitabile scendere a compromessi, anzitutto col governo di Parigi, su alcune parti di quel documento. La buona volontà tedesca dovrà insomma inglobare una buona dose di realismo politico ed “offrire qualcosa alla Francia”, per dirla con Gianni Bonvicini, direttore dell’Istituto Affari internazionali di Roma.
Ciò che forse è mancato in tale dibattito è il richiamo alla presidenza tedesca nel riorganizzare e semplificare il Trattato stesso. Il vicepresidente della Commissione Affari esteri della Camera, Umberto Ranieri, ha chiarito come le élites politiche europee debbano impegnarsi in una battaglia politico-culturale per far conoscere il contenuto della Costituzione europea e sensibilizzare i popoli europei alla causa dell’Unione. Nessuno tuttavia ha ricordato che il Trattato resta un documento troppo lungo e complesso perché le opinioni pubbliche d’Europa ne colgano davvero il senso e l’utilità. Berlino dovrebbe perciò farsi promotrice, tra i suoi partner europei, di un’iniziativa per rendere più agile, più chiara e più immediata la Carta fondamentale dell’Unione.
Il riformismo istituzionale insito nel Trattato è un passaggio fondamentale anche per lo sviluppo di una politica estera europea. Il documento darebbe infatti vita ad un vero e proprio ministro degli esteri europeo, capace di riunire nella sua figura le funzioni del rappresentante della politica estera e di sicurezza dell’Unione e del commissario europeo per le relazioni esterne. Questo è esattamente ciò di cui l’UE ha bisogno per rendere più forte e credibile la sua politica estera. Nel nuovo scenario globale, dove i confini nazionali si fanno sempre più porosi e questioni un tempo prettamente domestiche divengono mondiali, la politica estera è sempre più complicata ed imprevedibile. Parlare con una voce sola è allora per l’Europa non solo opportuno, ma necessario. L’Unione deve rafforzarsi come attore globale e per farlo deve progredire, secondo Giorgio Tonini, nel suo sforzo di conciliare post-sovranità ed interessi nazionali.
In quest’ottica pare di buon auspicio che la presidenza tedesca abbia posto in cima alla sua agenda proprio la politica estera dell’UE. Nella sua analisi, il prof. Jolyon Howorth dell’Università di Yale individua le tre priorità di politica estera per il futuro prossimo dell’Europa: la politica di sicurezza e di difesa europea (Pesd), le relazioni transatlantiche, ed il rapporto con la Russia.
Il processo di sviluppo della Pesd è ormai irreversibile e gli impegni presenti e futuri spingono verso un suo perfezionamento ed ampliamento. L’UE – come ricorda pure Antonio Missiroli, Program Director dell’European Policy Centre di Bruxelles – è una realtà del peace-keeping e del peace-making in molte parti del mondo: ieri in Macedonia e nella Repubblica democratica del Congo, oggi in Bosnia-Erzegovina, domani in Afghanistan e presto anche in Kosovo. La Germania vuole in questo senso contribuire ad un’Europa che sia, allo stesso tempo, potenza civile e militare. Un attore mondiale pronto a mostrare i muscoli, se necessario, ma che continui a privilegiare innanzitutto il soft power della cooperazione allo sviluppo e delle missioni di polizia e di ricostruzione civile. Un approccio certamente diverso dall’unilateralismo militare statunitense, che negli ultimi anni ha lacerato i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico.
La Merkel vuole così sfruttare questo semestre per cercare di ritrovare un nuovo equilibrio, un rinnovato modus vivendi tra Washington e l’Europa. Il tutto mentre ad est bisogna fare i conti con Mosca, per assicurarsi gas e petrolio dalle pianure dell’Asia centrale. Anche su questo fronte Berlino dovrà cercare di avanzare sulla strada per un “patto energetico” tra l’UE e la Russia. Su tutti e tre i versanti la Germania troverà forti resistenze da parte di attori interessati a preservare posizioni di rendita o ad ottenere vantaggi di qualche genere.
In conclusione, le sfide del XXI secolo rendono urgente un po- tenziamento dell’Unione europea sia sul profilo interno che su quello esterno. Il Trattato costituzionale è complessivamente il miglior strumento a disposizione per questo scopo. Ma molti ostacoli restano sulla via verso un’Unione più politica.
E’bene non farsi troppe illusioni ed armarsi di un sano pragmatismo: essere sì ambiziosi, ma senza perdere il senso della realtà e del possibile. La Germania pare averlo capito. L’Unione Europea riuscirà sì ad avere successo di fronte a tutte queste sfide, ma solo nel lungo periodo, perché, nelle parole di Howorth, “the timing is not right yet.”