Referendum e famiglia
E’ triste constatare come il dibattito politico, e spesso anche quello semplicemente culturale, tenda ormai inevitabilmente ad una radicalizzazione delle posizioni e alla ricerca della contrapposizione dura, bruciando la possibilità di un confronto produttivo, capace di riconoscere o almeno rispettare le ragioni dell’altro e di aiutare la formazione di convinzioni mature nell’opinione pubblica. Poco importa se questa tendenza comporta la sistematica caricaturizzazione della posizione che si vuole contestare, quasi a convincere che da una parte ci sono tutte le ragioni, la coerenza, la moralità, e dall’altra la mala fede, l’inganno, il pregiudizio.
Il referendum sul finanziamento delle scuole private paritarie non sfugge a questa tentazione, mentre sarebbe bello che, anche a prescindere dall’esito che avrà, esso riuscisse a diventare l’occasione di riflettere su aspetti importanti della vita sociale. Proprio con questa intenzione, vorrei proporre qualche considerazione sul tema della famiglia. Molti interventi sottolineano il fatto che essa è depositaria del diritto-dovere dell’educazione dei figli e quindi, quasi a inevitabile corollario, del diritto di essere messa in grado di scegliere senza ostacoli, la scuola che essi frequenteranno.
Senza disconoscere la centralità della famiglia nel processo formativo, a me sembra che altrettanto importante sia l’interesse della collettività di favorire l’incontro, pluralistico e critico, dei giovani con le varie realtà esperienziali e con le diverse proposte culturali che incontriamo nella comunità civile; per conoscerle, per non averne paura e per diventare gradualmente capaci di fare scelte personali consapevoli. In un tempo storico in cui è decisivo che cresca la capacità di rispettare le diversità, di apprezzarne i valori, di convivere senza ignorarsi ed anzi impegnandosi nella ricerca di soluzioni condivise ai problemi complessi che il mondo globalizzato ci pone, mi pare giusto che le istituzioni pubbliche promuovano i luoghi dove questo incontro più facilmente può avvenire. Mi parrebbe quindi giusto e vorrei che, nel rispetto della libertà di iniziativa di chiunque, gli enti che rappresentano l’intera comunità sociale tendessero, migliorando costantemente la qualità del servizio, a orientare il più possibile verso l’utenza della scuola pubblica, dove strutturalmente, sia nella componente dei docenti che in quella delle famiglie e dei ragazzi, il pluralismo costituisce il campo e il contesto in cui avvengono gli incontri, i confronti e la crescita comune.
Trovo inoltre insopportabile il fatto che, in questo tempo di crisi e di trasformazione delle relazioni interpersonali, sulla famiglia si faccia in troppe occasioni tanta retorica. L’esperienza concreta di ciascuno di noi e la stessa cronaca quotidiana ci può dimostrare come la famiglia sia in molte situazioni uno straordinario e insostituibile luogo di crescita, di scambio di affetto, di protezione, di cura, di solidarietà e generosità e come in altri casi possa invece trasformarsi in luogo di chiusura, di oppressione, di negazione dell’autonomia, di incubazione di patologia e perfino di violenza psicologica e fisica. Questa contraddittorietà nulla toglie al valore decisivo, nella vita di ognuno, delle relazioni famigliari e di convivenza, ma dovrebbe suggerire prudenza e attenzione nel discuterne i problemi, ammettendo che le famiglie hanno bisogno di aprirsi alla dimensione sociale e collettiva. Così come i servizi pubblici che ci siamo dati per rispondere ai bisogni emergenti, per esempio sul piano sociale, sanitario, scolastico, debbono talvolta, saper oltrepassare la soglia di casa per suggerire, consigliare, correggere.
Riflettendo su questi argomenti, mi è tornata in mente una poesia, che andava per la maggiore qualche decennio fa e che ho conosciuto frequentando i gruppi e le comunità di base del mondo cattolico del postconcilio. L’autore è Kahlil Gibran, scrittore medioorientale, cristiano maronita, vissuto nei primi decenni del ‘900:
"I tuoi figli non sono figli tuoi
sono i figli e le figlie della vita stessa.
Tu li metti al mondo, ma non li crei.
Sono vicini a te, ma non sono cosa tua.
Puoi dar loro tutto il tuo amore, non le tue idee,
perché essi hanno le loro proprie idee.
Tu puoi dare dimora al loro corpo, non alla loro anima,
perché la loro anima abita nella casa dell’avvenire,
dove a te non è dato di entrare, neppure col sogno.
Puoi cercare di somigliare a loro, ma non volere
che essi somiglino a te,
perché la vita non ritorna indietro e non si ferma a ieri.
Tu sei l’arco che lancia i figli verso il domani."