Vincenzo Scamozzi
Al palazzo Barbaran da Porto, a Vicenza, i geniali progetti del continuatore del Palladio (fino all’11 gennaio).
La città di Vicenza ha allestito una importante mostra dedicata ad un suo grandioso architetto, Vincenzo Scamozzi (1548-1616), continuatore dei progetti palladiani, ma anticipatore di una serie di tematiche che introdurranno il Barocco.
L’artista amava definirsi "cittadino del mondo" e non "padano"; frequenti furono i suoi viaggi di studio in Francia, Germania, Svizzera, Austria, Ungheria, o di lavoro: nel primo caso produsse un taccuino strepitoso nel formato lungo-stretto, nel percorso da Parigi a Venezia, "al fine di osservare le maniere e forme del fabricare di que’ Regni, comprenderne le strutture, le tipologie di pianta e composizione delle facciate". Gli straordinari disegni a mano libera a penna e inchiostro documentano lo spirito scientifico, la ricerca di una solida base teorica che farà del modulo l’elemento fondamentale della proporzione architettonica. Nel secondo sarà l’arcivescovo Federico Wolfango a commissionargli il nuovo duomo e il palazzo vescovile di Salisburgo.
Figlio di un impresario edile, Scamozzi già a 26 anni progetta il capolavoro assoluto, la Villa Pisani a Lonigo, considerata la più bella casa del mondo: il cubo, la semisfera e la semplicità del bugnato angolare reinterpretano la Rotonda del Palladio. Con la morte di quest’ultimo il nostro ne eredita i progetti inventando però nuove soluzioni a partire dalla straordinaria scenografia a fuochi multipli delle sette vie di Tebe, sfondo dell’Edipo Re al Teatro Olimpico.
L’asciutta geometria dei volumi chiede di pari passo un impegno nella definizione della luce, ed è in questa ottica che si misura la genialità di questo artista che fa del biancore abbacinante dell’Oratorio di San Carlo Borromeo a Lisiera, della Rocca Pisani, delle paraste ioniche di Villa Ferretti a Dolo e di quelle sedici composite nella chiesa dei Teatini a Padova o della maestosa sala centrale illuminata da quattro finestre termali in Villa Molin alla Mandria, la sua cifra stilistica.
Volte ribassate, sistemi di illuminazione con lumi ad olio per caratterizzare le prospettive, scenografie di legno a fuoco unico perché lo sguardo di Vespasiano Gonzaga coincida col punto di fuga (come nel teatro di Sabbioneta), lo studio quindi minuzioso delle fonti di luce (diretta, indiretta, "lume secondario o partecipato o proveniente di riflesso"): nella ricerca costante di un effetto di contrasto chiaroscurale sta la novità del linguaggio scamozziano.
Un accenno infine ad altri due progetti originalissimi: la sistemazione ed esposizione delle bellissime sculture antiche offerte alla Repubblica dal patriarca di Aquileia Giovanni Grimani in cui la luce, il posizionamento e la conservazione delle opere rappresentano forse il primo allestimento di tipo museale; l’altro è una sofisticata ristrutturazione e ampliamento di una torre medievale a Monselice che diventa, grazie all’invenzione di tre profonde nicchie forate, una villa belvedere.
La mostra è accompagnata da splendidi dipinti (il ritratto dello Scamozzi è del Veronese), da busti dai volti fortissimamente caratterizzati di Alessandro Vittoria e da un ottimo catalogo che rappresenta quanto di meglio ci sia su questo artista e la ragione intrinseca di una siffatta esposizione.