Fugatti regala la sanità ai privati?
La preoccupante proposta di costruire in project financing un nuovo ospedale a Cavalese
L’ospedale di Fiemme ritorna al centro del confronto politico nelle valli dell’Avisio. È dal 1988 che la Provincia attua nei confronti del nosocomio una politica di logoramento e svuotamento delle funzioni, della qualità dei servizi, senza per questo potenziare la medicina territoriale.
Le polemiche attorno all’Ospedale hanno anche segnato clamorosi esiti politici. In modo del tutto inatteso la Democrazia Cristiana nel 1990 perdeva il controllo dei maggiori comuni di Fiemme, proprio in seguito al tentativo di ridurre drasticamente i posti letto.
Gli attacchi più decisi l’ospedale li subiva con la giunta Rossi, con l’assessorato alla Sanità affidato a politici del PD, prima Donata Borgonovo Re e poi Luca Zeni. Allora si mise il chiavistello al punto nascite, ma contemporaneamente servizi essenziali quali chirurgia, ortopedia, medicina, radiologia e il laboratorio analisi venivano declassificati, o perdevano i primariati e direttori, o vedevano la loro mission operativa finire sotto il controllo dell’Ospedale di Trento. Su Questotrentino avevamo anticipato come una simile strategia sanitaria avrebbe portato alla scomparsa politica della sinistra in valle (QT febbraio 2017 e ottobre 2018), come è avvenuto.
Oggi si conferma aperto un nuovo capitolo che abbiamo anticipato sul numero di ottobre scorso valutando il perché delle dimissioni da Scario della Magnifica Comunità di Fiemme di Giacomo Boninsegna. Si riparte dal tentativo, segreto, della PAT di acquisire i terreni del fondovalle fra Masi e Lago di Tesero, in parte di proprietà della Magnifica Comunità (acquisizione dalla Provincia nel dicembre 2019, le date sono importanti) e in parte di privati, allo scopo contattati da Boninsegna. Ora cominciano ad aprirsi sviluppi più interessanti. E probabilmente preoccupanti.
L’ex Scario Boninsegna aveva detto in modo esplicito che avrebbe chiarito i motivi delle sue dimissioni, ma il personaggio assomiglia a Matteo Renzi. Anche Renzi aveva promesso trasparenza sulle motivazioni che lo hanno visto in piena crisi politica del nostro paese andare ad inchinarsi alla presenza del sultano arabo, ritenuto il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi e responsabile della guerra contro uno dei paesi più poveri del pianeta, lo Yemen: ma finora il suo silenzio è tombale. Come rimane cucita la bocca di Boninsegna, che non riferisce quali fossero i dirigenti provinciali, o quali le imprese, che avevano sollecitato il suo interessamento nella vendita delle proprietà del fondovalle. È un’operazione fatta nell’interesse generale? Più facile supporre che siano predominanti gli interessi privati.
Una ditta di Lavis, la MAK dei fratelli Mirko e Andrea Pellegrini, ha presentato, per conto di una associazione temporanea di imprese, un progetto di project financing per la costruzione di un nuovo ospedale. Lo ha confermato il presidente della Giunta provinciale di Trento Fugatti, incontrando alcuni sindaci di Fiemme. Sembra che Fugatti sul tema abbia trovato ampio sostegno nella quasi totalità dei sindaci di Fiemme e Fassa, dei due Presidenti (o commissario nel caso di Fiemme) delle Comunità di valle, del Presidente del Consorzio delle Autonomie locali. Fra i sindaci dell’alta valle di Fiemme e di Fassa si parla perfino di entusiasmo (Predazzo è il paese di Boninsegna). Uno solo a voce ha avanzato dei dubbi, anzi, diretta contrarietà, una voce autorevole, il sindaco di Cavalese Sergio Finato.
Fra i consiglieri provinciali locali è raggiante di gioia il leghista Gianluca Cavada con il suo collega fassano Luca Guglielmi, più cauto Piero Degodenz, di Unione per il Trentino.
La ristrutturazione naufragata
Fugatti non ha spiegato molto. Perlomeno non ha chiarito a quali funzioni debba rispondere un nuovo ospedale, né perché ritiene realistica la proposta di invadere gli spazi liberi del fondovalle. Ha anticipato che se fallisce il piano A è pronto un piano B. Ma ad oggi nessuno conosce né un piano né l’altro. Si è invece preso del tempo (90 giorni), come è solito fare quando non sa decidere, cioè spesso, per valutare i pro e i contro dell’operazione proposta da privati, affidandone i compiti ai tecnici del NAVIP (Nucleo per la valutazione degli investimenti pubblici). Certo è che da tempo il presidente ha fatto sparire dal bilancio provinciale i 32 milioni di euro che la precedente giunta provinciale aveva stanziato per potenziare l’attuale ospedale di Cavalese.
Attraverso un concorso pubblico era uscita vincitrice la proposta dello studio milanese Roberto Ravegnani-Morosini. Eravamo nel 2018; prima di allora nel 2010 e poi ancora nel 2015, si erano avviati altri tentativi di ristrutturazione, naufragati causa problemi e fallimenti delle ditte aggiudicatarie degli appalti. Fatto sta che a Cavalese il pronto soccorso è sempre in cronica emergenza, le sale chirurgiche sono in sofferenza in merito alle esigenze di sicurezza, le camere per i ricoverati sono inadeguate, in più reparti il personale è costretto a lavorare in spazi angusti (in laboratorio analisi in estate si superano i 28 gradi), e ad oggi non esiste una entrata e uscita sicura per malati Covid e altri pazienti. Non c’è dubbio alcuno: visto come vanno le cose, sembra proprio che qualora la giunta provinciale scelga di investire in un nuovo ospedale la popolazione di Fiemme dovrà fare riferimento per qualche decennio alla vecchia struttura, come abbiamo già detto, totalmente inadeguata.
Cosa significherebbe un nuovo ospedale in località Masi-Lago? Prima di tutto bisognerebbe modificare i piani regolatori di due comuni, operazione possibile con circa un anno di tempistica, volendo essere ottimisti. Ma come ovvia conseguenza andrebbe modificato il Piano Urbanistico Provinciale, con tempi minimi valutabili in due anni, sempre rimanendo ottimisti, e così si arriverebbe alla scadenza dell’attuale mandato politico della maggioranza che governa il Trentino. Su questo aspetto è lecito chiedersi a cosa serva la pianificazione del territorio quando poi le scelte su strutture strategiche vengono imposte da interessi privati. Tra deroghe sconcertanti e simili proposte, sembra che la pianificazione abbia perso senso, proprio nella Provincia che si era imposta sul tema, fin dal 1967, all’avanguardia nazionale.
In secondo luogo nel fondovalle un problema di sicurezza idrogeologica risulta evidente anche ai non esperti. Siamo in prossimità di un’area di ricorrente esondazione torrentizia, il terreno che costeggia l’Avisio è costituito per lo più da materiale di riporto o alluvionale, quindi particolarmente instabile. I cambiamenti climatici stanno rendendo i fenomeni atmosferici sempre più catastrofici e frequenti. Risolti questi aspetti non proprio marginali (e a spese di chi, se saranno risolvibili), ci si dovrà chiedere che senso abbia un nuovo ospedale costruito su un sedime oggi totalmente libero da infrastrutture, che ospita il più fertile orto forestale delle Alpi (perché la Magnifica Comunità dovrebbe liberarsi di una struttura tanto strategica che ha appena acquistato dalla Provincia?).
Dal punto di vista climatico, l’area è il luogo più freddo della valle, straordinario campo di lavoro per fotografi interessati alle fantasiose e irripetibili variazioni dei cristalli delle diverse brine, una zona per cinque mesi all’anno quasi priva dell’irraggiamento solare. Mentre la vecchia struttura (1951) occupa la prima periferia di Cavalese, è esposta al sole dal mattino fino alla sera, offre ai malati e a chi vi lavora un paesaggio incantevole, sia verso nord, le Pale di San Martino e il gruppo del Lagorai, che verso sud, la valle dell’Avisio e Cembra. Anche questi sono aspetti importanti per valutare la localizzazione di una casa di cura: chi aveva scelto il luogo 70 anni fa era stato lungimirante. La bellezza e la luce aiutano a guarire.
Altri aspetti riguardano il progetto di potenziamento del 2018, messo in archivio dalla giunta Fugatti senza alcuna spiegazione pubblica, o perlomeno sparito: prevedeva una spesa di 32 milioni di euro. Il nuovo ospedale costerebbe, si dice, 30 milioni di euro. Sembrano pochi? Fosse anche realistica la cifra, quanto costerà demolire la vecchia struttura visto che risulta impossibile destinarla ad altra funzione causa la rigidità dei moduli che la compongono? Cosa sorgerà al posto del vecchio ospedale, un’area ricreativa a parco verde o forse è pronta una speculazione della quale non si conoscono i termini?
La giravolta della Lega
Eppure la Lega nel 2017-2018 era più volte salita in massa da Trento, accompagnata dalla locale senatrice Elena Testor e dal consigliere dell’associazione Fassa Luca Guglielmi per difendere l’ospedale pubblico e tutte le sue funzioni. Gli stessi personaggi oggi sposano la possibilità concreta del passaggio dalla sanità pubblica a quella privata, come in Lombardia e come nel vicino Veneto, dove un ospedale costruito con il project financing, quello di Mestre, oltre ad aver sbaragliato in rialzo tutte le previsioni di spesa iniziali, oggi, nella gestione, presenta carenze che l’ente pubblico non riesce a recuperare (per pulire le particolari vetrate si deve chiamare una ditta francese). In pratica è sempre più evidente come Fugatti governi per procura sostenendo in ogni campo i suggerimenti di Zaia e Fontana. Alla faccia della Autonomia trentina!
C’è poi l’esperienza del Not. Era stato il peggior Dellai, negli anni dell’ubriacatura liberista, a voler intraprendere per il Nuovo Ospedale di Trento la via allora in voga del project financing. Ben presto si erano visti i primi disastrosi risultati, al punto che si era cercato di tornare indietro, combinando ulteriori pasticci. Ed ora, nonostante quell’esperienza, nonostante il generalizzato fallimento della finanza di progetto, Fugatti vuole tornare da capo, a Cavalese? Nonostante che il Covid abbia irrevocabilmente sentenziato la totale inadeguatezza della sanità privata?
Troppe ombre alimentano sospetti
Accanto a questi dubbi, è importante analizzare il metodo adottato da Fugatti. Lamentava un centrosinistra opaco sul piano della trasparenza? Il suo metodo è carico di nerofumo: nessun cittadino sembra avere diritto di conoscere cosa si stia decidendo. Nel gennaio 2020 incontrava di nascosto i sindaci di Fiemme illustrando loro questa possibilità, raccomandando il massimo riserbo. Infatti solo nell’agosto si veniva a conoscenza del fatto perché lo Scario, vogliamo pensare in modo ingenuo, stava contattando i proprietari dei terreni per venderli alla società proponente. Con imbarazzo e forte di una assoluta reticenza, lo Scario veniva portato alle dimissioni, seguite recentemente anche da quelle del regolano di Predazzo. Solo ora si viene a conoscere almeno parzialmente l’idea di affidare la costruzione di un nuovo ospedale ad una impresa tramite un progetto di finanza, mai illustrato nei contenuti, nemmeno ai sindaci ci è stato confermato. Come conseguenza diretta, sembra che anche i residenti delle tre valli dell’Avisio debbano rimanere all’oscuro di tutto. Una partita gestita nella massima segretezza non può che alimentare sospetti.
Quali interessi nasconde l’operazione? È possibile che il manovratore, l’ombra nera che grava sull’ipotesi, risulti essere un potente e spregiudicato ex assessore provinciale? Perché si intraprende questa strada che porterà progressivamente ad una possibile privatizzazione della sanità trentina, sul modello lombardo-veneto? Forse non sono ancora sufficienti le cifre annuali che la Provincia affida alle cliniche private provinciali, ora si vuole far prevalere il principio del mercato e della concorrenza all’interno dell’intero servizio pubblico. Un passaggio che toglierebbe alle amministrazioni territoriali ogni possibilità di contrattazione sui reali bisogni delle popolazioni in materia sanitaria e assistenziale.
Perché Fugatti non si è sentito in dovere di spiegare agli amministratori pubblici, e in primo luogo ai cittadini di Fiemme e Fassa, i contenuti dei due piani A e B qualora effettivamente esistano? Quali sono i dirigenti provinciali già coinvolti in questa ormai lunga e complessa vicenda? Forse rispondere a queste domande permette di comprendere perché alcuni servizi siano stati centralizzati affidandoli a pochi alti dirigenti. Poi rimane il dubbio sugli aspetti speculativi. Qualora si cambiasse destinazione logistica all’ospedale, cosa ne sarà dell’area, strategica dal punto di vista paesaggistico e urbanistico, sul quale insiste l’attuale?