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QT n. 4, aprile 2021 Seconda cover

La salute pubblica contro Big Pharma. Si può vincere?

Vaccini, brevetti, contratti, proprietà intellettuale. I temi sollevati dalla pandemia e dalle furbate delle multinazionali

Vaccino Covid-19

Tutto ruota attorno ai vaccini: la salute, l’economia, l’istruzione, la speranza di un ritorno a una vita sociale normale.

Eppure si è sconcertati. Non tanto per le resistenze di una piccola percentuale di popolazione che ha tramutato in religione i pur comprensibili timori verso gli effetti degli antidoti. Ma per l’inaspettata carenza di farmaci, da mesi attesi come ultima, provvidenziale ancora di salvezza.

Quando poi si viene a sapere che i suddetti farmaci, acquistati dall’Unione Europea a centinaia di milioni, non vengono consegnati a noi, bensì prendono altre destinazioni, lo sconcerto diventa totale. Anche perché le istituzioni europee si dimostrano timidissime nel chiedere, o meglio, nel pretendere, il rispetto dei contratti (peraltro malamente) stipulati.

La questione involve temi di grande momento. Anzitutto il tema centrale messo in primissimo piano dalla pandemia: il ruolo del pubblico, dello Stato. Dei limiti dei diritti di ognuno quando contrapposti al benessere di tutti. E pertanto dei limiti alla libertà d’impresa. Non solo: nell’odierno contesto, quanto l’iniziativa privata risponde alle esigenze del momento e quanto invece quella pubblica.

Abbiamo assistito alla Caporetto della sanità privata, incentrata sui prestigiosi ospedali “d’eccellenza” inermi di fronte al contagio. Non è forse il caso di affrontare il tema dell’industria farmaceutica, arroccata dietro alle logiche del massimo profitto e protetta da lobby compiacenti?

Affrontiamo questi discorsi con il prof. Roberto Caso, professore di Diritto Privato Comparato all’Università di Trento e presidente dell’Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta (AISA).

Anzitutto, professore, siamo “in una guerra”, si dice spesso, vale a dire in una situazione emergenziale. E in guerra il governo, se del caso, interviene per far produrre alla Fiat carri armati, non cabriolet. Eppure abbiamo visto, e continuiamo a vedere, in tanti, storcere il naso di fronte ad interventi dell’autorità statale tesi a contrastare speculazioni: si sono registrate critiche a Mario Draghi e alle sue pressioni europee per azioni più risolute nei confronti delle Big Pharma inadempienti. C’è un problema legislativo, per cui i governi hanno le mani legate? Oppure un problema di mentalità, di soggiacenza alla cultura del liberismo più sfrenato?

“C’è un problema legislativo che riflette una mentalità e un pensiero politico dominante. In Italia il problema legislativo è la mancanza di una legislazione efficace che consenta di intervenire sospendendo o restringendo la proprietà intellettuale per ragioni di tutela della salute pubblica. Altri grandi paesi europei (ad esempio, la Germania e la Francia) sono dotati di leggi di questo genere”.

Gli interventi di cui si parla riguardano il blocco dell’esportazione di vaccini prodotti in Europa, finchè non siano stati rispettati gli obblighi contrattuali con l’Europa stessa. Insomma, se tu con noi hai un contratto per 100 milioni di vaccini, non puoi produrli in casa nostra, consegnarcene 20 milioni e vendere gli altri 80 a chi ti pare. Può essere una strategia efficace?

“Non credo che il blocco delle esportazione sia una soluzione efficace. La chiusura delle frontiere sembra più una misura simbolica che sostanziale. I vaccini si basano sull’assemblaggio di materie prime e componenti provenienti da diversi paesi. Il blocco delle esportazioni rischia di innescare un circolo vizioso di ritorsioni e contro-ritorsioni in grado di paralizzare la produzione. Una paralisi tanto più grave per aree geografiche e paesi come il nostro che non hanno autonomia produttiva in campo vaccinale. In ogni caso, come tutte le misure a valle del problema, non è risolutiva. Serve una strategia a monte. Occorre ripensare il rapporto tra pubblico e privato nella produzione di dispositivi medici, farmaci essenziali e vaccini, ridando al pubblico, come era nel passato recente (fino agli anni ‘70 del secolo scorso), il ruolo dominante”.

Concretamente, cosa si dovrebbe fare ora?

“La proposta dell’AISA chiede di introdurre anche in Italia la licenza obbligatoria dei brevetti per ragioni di salute pubblica (cioè la concessione - imposta ma ricompensata - da parte della Big Pharma della licenza ad altri soggetti, che produrranno loro i vaccini, n.d.r.). Tutti i grandi paesi hanno meccanismi giuridici del genere. Nella scorsa legislatura si era provato a introdurre la norma a seguito dell’epidemia di epatite C, ma la proposta è rimasta lettera morta. Una volta introdotta la norma sulla licenza obbligatoria per ragioni di tutela della salute pubblica, essa può rappresentare una leva di potere contrattuale dello Stato nei confronti di Big Pharma. Se Big Pharma non rispetta i contratti, scatta la licenza obbligatoria. Si tratterebbe di una misura più persuasiva del blocco delle esportazioni. Si romperebbe quindi l’attuale situazione per cui il potere decisionale è nelle mani di chi ha l’esclusiva della tecnologia: non decide il singolo paese o l’Unione Europea, decidono i titolari della proprietà intellettuale. Penso sia giunto il momento per Unione Europea e Stati di decidere di riprendere il controllo della tecnologia e il potere decisionale”.

C’è chi sostiene che siano proprio i brevetti ad ostacolare l’accesso ai vaccini…

“I brevetti sono per definizione ostacoli, barriere. Sono monopoli, esclusive sull’uso e sulla produzione della tecnologia vaccinale. La teoria classica del brevetto lo definisce un monopolio temporaneo che funziona da incentivo all’innovazione. Gli investimenti di rischio nell’innovazione vengono ricompensati grazie al potere del titolare del brevetto di poter fissare il prezzo da monopolista, al riparo della concorrenza. Il brevetto è destinato a essere pubblicato, dunque tutti possono accedere ai documenti brevettuali per studiare l’invenzione. La narrazione apologetica del brevetto esalta il carattere pubblico dei documenti brevettuali in contrapposizione al segreto commerciale. Con un piccolo dettaglio: la domanda di brevetto e la descrizione dell’invenzione vengono pubblicati dopo 18 mesi (un tempo infinito in epoca di pandemia). C’è poi un altro aspetto: la descrizione dell’invenzione è svolta tatticamente, facendo in modo di rispettare formalmente il requisito di legge che impone la descrizione stessa, ma omettendo i dettagli che possono portare a riprodurre l’invenzione. Il problema non sono solo i brevetti ma anche i segreti commerciali e il know-how che stanno alla base della produzione del vaccino. Di fatto il brevetto non è un’alternativa al segreto commerciale ne è invece un elemento complementare. Non è però solo una questione economica. La proprietà intellettuale, i brevetti, i segreti commerciali non influiscono solo sui prezzi dei farmaci. Come ho rilevato, spostano il potere decisionale dallo Stato alle imprese”.

Si potrebbe realizzare un vaccino libero europeo?

“Certamente, sì. Abbiamo università e centri di ricerca all’avanguardia. È superfluo ricordare che BionTech è azienda tedesca, ma ha fatto l’accordo con Pfizer, azienda statunitense. Servirebbero investimenti pubblici nella ricerca della tecnologia e nella sperimentazione clinica. La tecnologia sarebbe pubblica e aperta rendendo impossibile il brevetto (il brevetto può essere chiesto fino a quando la tecnologia è tenuta segreta; la pubblicazione della tecnologia distrugge il requisito della novità e impedisce di chiedere il brevetto). Alle imprese spetterebbe la produzione e la vendita come si fa per i farmaci generici rispetto ai quali i brevetti sono scaduti”.

A che punto è il vaccino italiano, di ReiThera?

“Non ho informazioni approfondite. Leggo sulla stampa che è in fase di sperimentazione clinica. Il ministro Speranza ha sostenuto nella conferenza stampa governativa del 26 marzo che sarà pronto in autunno. Ma la dichiarazione non è chiara e non si capisce su quali dati sia fondata. Soprattutto non è chiara quale sia la politica brevettuale. Le prime fasi di elaborazione del vaccino e sperimentazione sono state lautamente sovvenzionate con fondi pubblici (il dato risulta anche dal sito web di Reithera). C’è un brevetto? Chi è il titolare? Come verrà gestito il brevetto? La trasmissione Report ha sostenuto che Reithera ha brevettato il vaccino ed è controllata da una società svizzera. Oxfam ed Emergency hanno recentemente chiesto al Governo italiano di intervenire affinché Reithera rinunci al brevetto”.

E il vaccino trentino cui lavorava il Cibio?

“Non ho capito a che punto siamo. Si susseguono dichiarazioni contradditorie del Rettore Collini e dei professori del CIBIO. Pare che un primo filone di ricerca basato su un brevetto dell’Università di alcuni anni fa e ceduto a una società privata, la Biomvis, sia stato chiuso. Mi piacerebbe sapere cosa vuole fare l’Università di Trento di un’eventuale tecnologia vaccinale. La vuole rendere pubblica o la vuole brevettare? E se l’università segue la strada del brevetto, come intende gestirlo? Lo vuole cedere in esclusiva a un’impresa privata? O vuole licenziarlo in via non esclusiva a più imprese? A pagamento o gratuitamente? A quali imprese? L’Università di Trento è un’università pubblica che opera in base a fondi pubblici. Un eventuale vaccino inventato dall’Università di Trento dovrebbe essere pubblico e aperto, di tutti. E ciò che vale per l’Università di Trento, vale per tutti le università pubbliche e gli istituti come gli IRCSS (Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico). Ad esempio, l’Istituto Mario Negri presieduto da Silvio Garattini ha una politica di non brevettazione.

Purtroppo, la valutazione di Stato della ricerca in Italia equipara i brevetti ad altri risultati (o ‘prodotti’ come vengono chiamati nel linguaggio burocratico) della ricerca come le pubblicazioni scientifiche. Per un ricercatore di una università italiana avere all’attivo un brevetto è come aver scritto un libro. Un’assurdità che è uno dei tanti segni dell’aziendalizzazione delle università”.

La pandemia può fornire l’occasione per ripensare i limiti alla proprietà intellettuale, senza che siano compromessi gli investimenti in ricerca?

“Certamente, sì. Si deve ripensare la proprietà intellettuale e il libero mercato. Ci dobbiamo confrontare con sfide ecologiche durissime e prepararci a eventuali prossime pandemie. La ricerca pubblica deve avere un ruolo di primo piano nella produzione dei farmaci essenziali come i vaccini. La scienza aperta deve diventare la regola: pubblicazioni, dati, tecnologie devono essere condivise a livello mondiale. Occorre trasferire tecnologia ai paesi più poveri e in via di sviluppo. I vaccini devono diventare beni pubblici dell’umanità. Tutto il contrario di quello che si sta facendo adesso: una guerra scatenata da egoismi di gruppi e individui, una guerra alimentata dal profitto e dalle mire espansionistiche delle potenze mondiali. Come tutte le guerre, purtroppo, non è destinata a finire bene”.

Vaccini e multinazionali: un altro punto di vista

Ci aveva colpito, sull’argomento vaccini e multinazionali, un intervento sul blog “Orizzonti Internazionali” tenuto da docenti di Studi internazionali e ospitato su il Dolomiti, un intervento polemico con il “protezionismo vaccinale” imputato al governo Draghi. Ne discutiamo con l’autore, il prof. Stefano Schiavo, Direttore della Scuola di Studi Internazionali di Trento e docente a Economia.

Lei parla di “protezionismo vaccinale” nel caso delle 250.000 dosi di AstraZeneca ad Anagni destinate all’Australia e bloccate da Draghi. Ma non si tratta di un contenzioso con gli altri stati, bensì con le aziende farmaceutiche che non rispettano i contratti stipulati?

“C’è evidentemente un problema di scarsità di offerta, di produzione. È molto probabile che le aziende abbiano sottoscritto accordi per numeri di fiale che non sono poi in grado di produrre. Il punto è che se ognuno cerca di rifarsi bloccando la circolazione delle merci non risolve il problema a monte, l’inadeguata produzione. L’Italia poi non si troverebbe in una posizione favorevole, in quanto si situa all’interno di una filiera internazionale, in cui fasi diverse della produzione sono localizzate in stati diversi, e noi dovremmo sempre importare ed esportare materie prime e componenti”.

Il discorso però riguarda le multinazionali. Che prima firmano contratti, poi sembra che le merci le rivendano ad altri che offrono prezzi migliori. Le sembra giusto subire questi comportamenti?

“Certamente no. I contratti sono stati scritti in una situazione di emergenza quando i vaccini non erano ancora approvati, il che ha portato a clausole blande sulle responsabilità a seguito di effetti sui vaccinati, e nei casi di inadempienza (sono stati sottoscritti impegni vaghissimi, come fare ‘il massimo sforzo possibile’). Ora si scoprono 29 milioni di dosi; è evidente che c’è un problema di rispetto degli accordi come pure di non perdere credibilità facendosi prendere in giro. D’altronde è anche vero che a inizio pandemia si sono erette una serie di barriere per aumentare le disponibilità domestica di dispositivi sanitari, materie prime e anche prodotti agricoli. Adesso di fronte a un comportamento fraudolento indubbiamente bisogna battere un colpo, la situazione si configura in maniera più complessa di quanto appariva quando avevamo scritto quel post; però ribadisco che il blocco del commercio non può essere la soluzione”.

C’è chi dice che la soluzione dovrebbe essere la licenza obbligatoria dei brevetti per ragioni di salute pubblica, cioè la concessione - imposta ma ricompensata - da parte della Big Pharma della licenza ad altri soggetti, che produrranno loro i vaccini.

“Non credo che l’ostacolo oggi siano i brevetti, bensì la capacità di produrre vaccini. Il vaccino non è un prodotto molto redditizio: un antidoto che (sperabilmente) debella una malattia è molto meno redditizio di un farmaco che ne cronicizza un’altra: per questo in molte hanno abbandonato tali produzioni. Che d’altronde non sono semplici, è quindi problematico riprenderne la produzione dall’oggi al domani. Insomma, ci vuole tempo”.

Ma è da un anno che siamo in questa situazione, e ancora siamo impreparati?

“È certo che è importante attrezzarsi, per avere i risultati tra alcuni mesi e poi tra un anno. Dobbiamo attrezzarci, come Italia…”.

O come Europa?

“Senz’altro. Sono obiettivi che con il supporto pubblico si possono raggiungere”.

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