Tutti contro la riforma sanitaria
La sanità secondo Fugatti: velleitario idealismo sugli ospedali periferici “d’eccellenza” e improvvisazioni sulla medicina del territorio
Parere negativo o comunque fortemente critico da parte degli ordini professionali (medici, infermieri, farmacisti, ostetrici, tecnici di radiologia e di riabilitazione, chimici e fisici, psicologi, veterinari), delle organizzazioni sindacali dei medici, dei sindacati CGIL CIS e UIL, del Consiglio provinciale della salute, della Consulta provinciale per la salute nonché della IV commissione del Consiglio provinciale e di alcuni rappresentanti politici della stessa maggioranza.
Questa selva di negatività le ha accumulate la delibera con cui la Giunta Fugatti definisce le linee su cui dovrà riorganizzarsi la sanità trentina. Incurante di tutto questo, degli inviti a sospendere il provvedimento per consentire un reale confronto e possibili miglioramenti, il 27 agosto scorso la Giunta ha approvato la sua delibera. In sostanziale dispregio di gran parte degli enti, rappresentanze politiche e organizzazioni aderenti al mondo della sanità.
Quindi per la prima volta in Trentino e forse anche in Italia si avvia una riforma della sanità locale “contro” il parere dei sanitari. È legittimo chiedersi a cosa giovi e quali siano le motivazioni di questa forzatura.
Ma quali sono le perplessità e contrarietà rispetto al progetto della Giunta? Riguardano principalmente due ambiti: innanzitutto la creazione di un nuovo modello di organizzazione ospedaliera sintetizzata nella definizione dell'ospedale “policentrico”; e poi il tema della medicina di territorio o medicina di prossimità.
La definizione di “ospedale policentrico” la troviamo per la prima volta nel “Programma di sviluppo strategico 2021-2025 della APSS”: consisterebbe nella valorizzazione degli ospedali periferici attraverso il trasferimento di alcune attività specialistiche oggi collocate principalmente all'interno dell'ospedale Santa Chiara a Trento verso gli ospedali periferici al fine di valorizzarne il ruolo, creando delle “eccellenze” ad alta specializzazione. Con l’obiettivo di contrastare il depauperamento culturale di cui rischiano di essere affette le valli attraverso la concentrazione nel capoluogo delle attività più qualificate.
Ottime intenzioni, quindi.
Però. Va ricordato che alcune specializzazioni sono già presenti all'interno di alcuni ospedali periferici (Cavalese con ortopedia chirurgia in DH, ginecologia; Borgo e Tione con ortopedia e chirurgia; Cles con chirurgia laparoscopica e ortopedia; Arco con chirurgia, oculistica, ortopedia, procreazione assistita), e che in questi anni abbiamo avuto modo di constatare quanto tali attività spesso si siano trovate in seria difficoltà per la mancanza di personale qualificato e di specialisti.
Insomma, si fa presto e parlare di “eccellenza”, ma realizzarla è un’altra cosa: tutt’altro che peregrina è l'ipotesi che l'ospedale policentrico naufraghi innanzitutto per la cronica carenza di medici specialisti e personale infermieristico qualificato, oltre che per l'ingente costo che un simile modello comporterà nella dotazione di strumenti e attrezzature adeguate alle necessità cliniche (si tenga presente che tutta la strumentazione, a iniziare dalle strutture diagnostiche, dovrà comunque essere presente anche a Trento). Non va inoltre sottaciuto che un potenziale sotto-utilizzo di tali reparti periferici e la conseguente scarsa casistica non gioverà alla qualificazione dei medici specialisti (quindi poca attrattività, un gatto che si morde la coda) e faticherà a garantire standard di sicurezza ai cittadini bisognosi di cure.Ultima, ma non certo per i contenuti, la questione del NOT (Nuovo Ospedale di Trento), a cui nessuno fa cenno e che rischia di nascere con competenze incerte.
Quello che dovrebbe esserci
e che non è previsto
Il secondo tema riguarda il nuovo modello di medicina territoriale. Qui la cosa risulta ancora più ingarbugliata e con enunciazioni del tutto contraddittorie e comunque lontane dal dibattito che si sta sviluppando a livello nazionale all'interno della definizione delle risorse da destinare a questo fondamentale settore nel Pnrr (Piano nazionale di resistenza e resilienza ) finanziato dall'Europa. I contenuti indicati nella delibera di fatto contraddicono quanto, con spirito giustamente autocritico, il facente funzioni Direttore generale della APSS dott. Ferro ha evidenziato circa lo stato attuale della medicina del territorio in Trentino: è il settore che rappresenta da tempo la maggior criticità essendo stato in buona sostanza sottovalutato e sotto-finanziato, tanto che oggi molte realtà italiane sono più avanti di noi.
La prima contraddizione e incongruenza la troviamo con il documento presentato a metà luglio scorso da AGENAS (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) alla Cabina di regia per il Patto per la Salute che vede la presenza di tutte le regioni comprese le Province autonome. In tale documento sono indicate le scelte e gli standard minimi che dovrebbero essere rispettati dalla riforma della medicina del territorio.
Si parla di Distretti socio-sanitari, uno ogni 100.000 abitanti (standard variabile in base alla densità di popolazione e caratteristiche orografiche) che dovrebbero comprendere le “Casa di comunità”, una ogni 20/25.000 abitanti nelle aree urbane e una ogni 10/15.000 abitanti nelle aree rurali. A tali strutture dovrebbero far rifermento le aggregazioni dei MMG (Medici di medicina generale) e dei PLS (Pediatri di libera scelta), gli infermieri di comunità/territorio (uno ogni 2.000/2.500 abitanti), una Unità Speciale assistenziale composta da un medico e un infermiere ogni 100.000 abitanti, “ospedali di Comunità“ (20 posti letto ogni 50.000 abitanti), un Hospice fino a 10 posti letto inseriti nella rete cure palliative.
Nelle Case di comunità così concepite troveranno collocazione, oltre ai medici generali e ai pediatri, anche le équipe multiprofessionali, come personale di continuità assistenziale, specialisti ambulatoriali interni (SAI), infermieri e diverse figure sanitarie e socio-sanitarie. La presenza medica dovrà essere garantita 24 ore per 7 giorni su 7 e quella infermieristica 12 ore per 7 giorni su 7. Ancora, ospiterà il Punto unico di accesso (PUA) sia sanitario che sociale, un punto prelievi, un ambulatorio per i programmi di screening, servizi diagnostici finalizzati al monitoraggio della cronicità, servizi ambulatoriali per patologie più frequenti (cardiologo, pneumologo, diabetologo, ecc), servizi infermieristici per la prevenzione e promozione della salute, i servizi domiciliari di base, la partecipazione della comunità attraverso le associazioni di volontariato.
Il fulcro del territorio, secondo tale modello, sarà quindi rappresentato dalle Case di comunità, per la cui realizzazione il Pnrr destina l'importante cifra di 2 miliardi.
Questo a livello nazionale. A Trento si è ispirato a tali indicazioni il gruppo di lavoro nominato dalla APSS e coordinato dell'esperto a livello nazionale dott. Trimarchi, che ha predisposto un documento dal titolo accattivante “Cubo di Rubik”. In tale progetto vengono indicati modelli e modalità organizzative della medicina di territorio in Trentino sostanzialmente diverse rispetto a quelle indicate nella delibera. Si parla di organizzazione territoriale e di reti cliniche (case della salute, ospedali di comunità) di interdisciplinarietà, di lavoro di équipe con un approccio più centrato sul tema salute che sulla malattia e con una impostazione centrata sulla medicina di vicinanza, sulla medicina di iniziativa, sulla prevenzione, sul welfare community.
Una medicina del territorio che non si riduce quindi solo alla ridefinizione del ruolo che dovrà avere il medico di medicina generale e con lui anche del pediatra, ma nella creazione e definizione delle équipe territoriali con la presenza delle varie professionalità (lavoro di équipe, presa in carico, continuità assistenziale), negli interventi a sostegno della domiciliarità più estesi e qualificati, nel potenziamento dell'Adi e cure palliative, nel nuovo ruolo delle RSA e delle comunità.
Tutto questo nella delibera della Giunta provinciale non c'è o, se presente, viene accennato in modo molto limitativo e frutto ancora di una visione ospedale-centrica e in parte di semplice contenimento degli investimenti.
Insomma, una riforma “malamente” deliberata, con il respiro molto corto e con poca visione del futuro e dei temi futuri della salute del cittadino; cui vogliamo sperare si riesca a porre rimedio.
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Renzo Dori è presidente della Consulta per la salute