La Resistenza: il DNA dell’Italia moderna
II "25 aprile" è la festa di molti ma non di tutti. La Resistenza dopo oltre 50 anni non è ancora patrimonio comune della coscienza nazionale. Da un Iato ciò è naturale: il giorno dei vincitori non può essere quello dei vinti.
Dall'altro lato però il fatto è significativo di una identità storica ancora debole, di una coscienza democratica incompiuta. La guerra partigiana infatti e il folgorante epilogo del 25 aprile 1945 hanno restituito a tutti gli italiani, anche ai vinti, la libertà e la democrazia. E' motivo di preoccupazione che dopo mezzo secolo una parte degli italiani stenti ancora a riconoscere come pro-pri i valori fondamentali della Repubblica di cui sono cittadini. Dovrebbe essere chiaro a tutti, e invece non lo è, che la Resistenza è il principio di individuazione e di legittimazione della società italiana. Ogni individuo si distingue da un Iato per il suo inconfondibile D.N.A., e ciò accade in un certo senso anche per i popoli. II D.N.A. storico politico dell'Italia moderna, del suo esserci ("Dasein") concreto qui e ora in Europa, è la Resistenza come fatto militare, come evento politico, come tensione morale ("Streben"). Nel mezzo secolo che è trascorso dalla fine della guerra si è fatto molto poco perché questo concetto entrasse nella coscienza collettiva. La Resistenza è stata politicamente emarginata e istituzionalmente imbalsamata nei lunghi anni del dominio democristiano: non è entrata nelle scuole, è rimasta un fatto marginale nella letteratura e nel cinema di massa.
Sono invece passate nel senso comune alcune formulazioni che stravolgono la verità, per esempio quella della inutilità della lotta partigiana.
Gli Alleati avrebbero certamente vinto la guerra anche senza la Resistenza, ma è altrettanto vero che i partigiani li hanno aiutati a vincere. Durante i 18 mesi che vanno dal settembre 1943 all'aprile '45 i partigiani combattenti furono mediamente 100.000: contro di loro furono impiegate 10 divisioni tedesche e 5 divisioni di fascisti repubblichini, sottratte quindi ai fronti di guerra contro gli Alleati. Le forze partigiane ebbero 45.000 morti e 20.000 feriti, cifre che dimostrano senza bisogno di commento la durezza dello scontro militare.
Ma la Resistenza comprende anche il no degli internati in Germania, il rifiuto dei reclutati per il lavoro, la grandezza eroica degli scioperi di Torino e Milano. Si tratta di un bilancio complessivo splendido, che mette la Resistenza italiana sullo stesso piano di quella jugoslava e francese.
Ma è sul piano politico che la Resistenza esprime il suo valore precipuo e la funzione catartica. Essa non era un percorso obbligato. Dopo il collasso e la disgregazione dell'8 settembre 1943, gli italiani avrebbero potuto adagiarsi nell'aspettazione passiva, nell'attesa inerte della fine della guerra. E invece non aspettano, si organizzano, da moltitudine disperata e dispersa tornano ad essere un popolo senza investiture dall'alto, lottano contro i tedeschi invasori e contro i fascisti, stranieri in patria. Il miracolo di un popolo che rinasce avviene per autonoma iniziativa della società civile.
Nessuna istituzione statale, dopo la vergogna dell'8 settembre, poteva mandare appelli credibili. L'appello efficace parte infatti da associazioni private, quali erano i partiti antifascisti clandestini, e da singole persone. Il popolo italiano accoglie l'appello, lo fa suo, unisce le energie degli strati operai, contadini e intellettuali, combatte la guerra di liberazione. Guerra non tradizionale, non dinastica né statale: non ha come obbiettivo conquiste territoriali o supremazie economiche, ma unicamente il ritorno alla libertà. In sintesi la Resistenza dei 18 mesi partigiani è una "guerra politica", evento senza precedenti, fenomeno del tutto nuovo e originale nella storia nazionale. Non ci sono cartoline precetto, né comandi dall'alto. La Resistenza è un fenomeno spontaneo che si auto-organizza e si auto-alimenta, unico protagonista il popolo.
La punta dell'iceberg è costituita dalle brigate combattenti e dalle formazioni gappiste, ma dietro c'è la base della piramide formata dalla maggioranza degli italiani.
La "guerra politica" della Resistenza, che ha restituito all'Italia le libertà democratiche, è il miracolo laico che ha impresso il principio di individuazione e di legittimazione, da cui sono nate la Repubblica e la Costituzione: quello che ho definito il D.N.A. dell'Italia moderna, grazie al quale la democrazia ha resistito per mezzo secolo alla strategia della tensione, alle trame golpiste e all'inquinamento della corruzione.
In questo senso è sbagliato parlare d resistenza tradita o di Resistenza fallita, anche se possono essere comprese le motivazioni che vi stanno dietro. E' più corretto, se mai, parlare di Resistenza incompiuta, in un duplice senso. Da un lato vi è uno scarto tra evento storico e coscienza collettiva: il processo appunto non è compiuto e si fa strada faticosamente. Sotto questo profilo è significativo che persino Alleanza Nazionale nella ufficialità del recente congresso abbia riconosciuto almeno a parole per bocca dell'on. Fini il valore della democrazia e la funzione fondativa dell'antifascismo.
Dall'altro lato, alcune norme fondamentali della Costituzione, figlia diretta della Resistenza, sono ancora inapplicate. Resistenza incompiuta dunque, ma che conserva intatto il suo valore propulsivo e deve continuare a essere indicata come insostituibile punto di riferimento nel mutare delle vicende.