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QT n. 13, 26 giugno 2004 Cover story

Quale rettore per quale università?

Le consulenze addomesticate per compiacere la Provincia; l’internazionalizzazione, la macroregione alpina e i rapporti con l’Università di Innsbruck; l’obbligo a sfornare tanti laureati e la qualità delle lauree. Temi caldi e domande scomode ai candidati alla poltrona di rettore.

Dopo il lungo tira e molla Egidi sì/Egidi no, cui ha costretto l’inaspettata riluttanza del rettore a lasciare il posto a fine mandato (Il rettore con le ventose), nell’ateneo trentino si è aperta la corsa per la massima carica. Sei i candidati, grande l’attenzione della stampa, numerosi anche se non affollatissimi i dibattiti nelle Facoltà.

Di fatto, da una parte il Trentino sta sentendo sempre più come cosa propria, e molto importante, l’Università. Dall’altra l’Ateneo da tempo ha superato l’iniziale, lunga fase di minorità (università piccola, decentrata, poco prestigiosa), per trovarsi a dover gestire un successo vistoso e riconosciuto (le Facoltà sempre al vertice delle classifiche, rapporti internazionali estesi e prestigiosi). Però con una salutare preoccupazione di fondo: riusciremo a restare in questa posizione? Non saremo risucchiati in quella mediocrità che sembra riservata alle università piccole e senza una storia secolare?

La corsa al rettorato sembra aver sortito questo primo positivo risultato: aver aperto un dibattito ampio e critico sulla situazione dell’Ateneo, dibattito che altrimenti, con la permanenza del pur meritevole Egidi, semplicemente non ci sarebbe stato. Ed è in fondo questa l’esigenza che porta ai limiti dei mandati, la necessità di far periodicamente circolare aria, idee, persone nuove. Con buona pace dei sostenitori ad oltranza del rettore uscente (presenti, a dire il vero, più nella società trentina che nell’ateneo), per i quali après Egidi le déluge, sotto forma di scontro lacerante tra i presidi. Figuriamoci.

Dunque, nel dibattito è stata messa molta carne al fuoco. Anche troppa. "Tutti parlano di eccellenza ovviamente - ci dice un po’ disincantato un professore - Questi sono i programmi. Poi chi sarà eletto farà quel che potrà...".

Per non contribuire anche noi a discorsi generici, abbiamo focalizzato solo tre punti, che ci sembrano discriminanti: il rapporto Università-Provincia, ossia scienza-potere, che qui da noi ha assunto il peloso aspetto delle consulenze (vedi Università: il potere e le consulenze); quale internazionalizzazione, e in particolare che tipo di rapporti interregionali con le università di Bolzano e Innsbruck (vedi Innsbruck chiama Trento); infine, il rischio dell’università facile, conseguente all’imperativo ministeriale "laureateli prima!" (vedi Università trentina: la tentazione della laurea facile).

Abbiamo ristretto anche il campo degli interlocutori, a quelli che riteniamo i candidati con chances vere (degli altri parliamo brevemente nella scheda Gli altri candidati): i professori Toniatti e Bassi, cui avrebbe dovuto aggiungersi il preside di Ingegneria Zandonini, che però non è riuscito a mettersi in contatto con noi.

Due parole di presentazione. Roberto Toniatti, preside di Giurisprudenza, non può contare su una ampia base elettorale nella propria facoltà; gode però di vasta stima, e soprattutto gli si riconosce la capacità di avere polso, autonomia ed equilibrio nei suoi frequenti rapporti con il potere politico. Punto a sfavore: le chiacchiere sulla sua adesione alla massoneria, i rapporti con il potente ex-rettore di Bologna Roversi Monaco, barone massone e trombone, il tutto tradottosi in qualche eccesso di favoritismo nell’incentivare le carriere del personale del proprio giro.

Davide Bassi, preside di Scienze, gode anch’egli di stima per la propria competenza, non solo nel proprio campo, ma anche nell’organizzazione e gestione della macchina universitaria. E’ descritto come persona corretta ma di carattere deciso, non facile. Da alcuni gli vengono imputate responsabilità nella contorta e discutibile vicenda della (per ora sulla carta) facoltà di bio-tecnologie e connessi studi sugli Ogm; ne parliamo più avanti.

Il primo punto che poniamo in discussione è il secolare rapporto scienza\potere, a Trento tradottosi nei rapporti con la munifica Provincia di Trento, che talora sottobanco richiede consulenze addomesticate. Il caso più clamoroso è stato quello della consulenza sull’inceneritore, contestata a livello scientifico e sbugiardata dai fatti stessi.

Il preside di Scienze, Davide Bassi

E’ stato il prestigio dell’insieme dell’università a uscirne male, con il suo sapere disponibile a uniformarsi ai desideri del committente. Si è giunti al punto di dire che "le consulenze della Pat non devono essere affidate all’Università di Trento, troppo influenzabile". Un pessimo risultato. Come pensa che l’università dovrebbe gestire il problema consulenze?

Bassi: "Quando sono stato eletto preside mi sono dimesso dai Comitati Provinciali di cui facevo parte: non c’era alcuna incompatibilità, ma l’ho ritenuto opportuno. Il che non vuol dire che i docenti della nostra università non debbano fornire consulenze: certo, è meglio se non è il singolo a farlo, bensì i dipartimenti, l’Università in quanto tale. E le polemiche cui lei si riferisce sono nate da consulenze di singoli professori; ma l’Università non può impedirle, può solo chiarire che la responsabilità non è dell’istituzione, bensì della singola persona. Infine, quando si tratta di consulenze su temi caldi, credo sia meglio affidarle fuori provincia."

Toniatti: "Non condivido il giudizio sulla perdita di prestigio. Certo, tutte le consulenze su questioni locali si prestano particolarmente ad essere contestate; ma non credo che siano più contestate perché gli studiosi sono della nostra Università. Poi bisogna vedere se le consulenze di cui si parla siano state contestate sul piano scientifico o non invece su quello politico; da come ho seguito la vicenda, non mi sembra che ne sia stata messa in dubbio la scientificità."

Il preside di Giurisprudenza, Roberto Toniatti

Evidentemente lei non è informato. La consulenza sull’inceneritore è stata radicalmente contestata nelle sue basi, anche da altri autorevoli Istituti scientifici. Se mi permette, la sua mi sembra una sottovalutazione del problema, l’Università dovrebbe nel suo insieme valutare la propria correttezza nei rapporti con l’opinione pubblica...

Toniatti: "Teniamo presente che ogni consulenza, essendo un parere, è sempre contestabile. Poi però entra in gioco un altro fattore. Porto la mia esperienza: se la Giunta Provinciale mi chiede di verificare la fondatezza giuridica di un’attività, è chiaro che si aspetta una risposta positiva; ma io non vado a rovinarmi la reputazione fornendogliela ad ogni costo. E così penso anche dei miei colleghi.

Poi vanno distinte le responsabilità: quando è il singolo professore a fornire un parere, o quando è un Dipartimento o l’Università in quanto tale ad essere interpellata."

Un altro punto controverso è stato il centro di ricerca sulle bio-tecnologie, operazione congiunta Università/Istituto di San Michele, sponsor la Pat; accusato di volere, in realtà, prima studiare e poi produrre i famosi OGM. "Se lo facessero, i trentini sarebbero pazzi, ci castreremmo con le nostre mani…" - ci rispose allora il prof. Bassi (Biotecnologie a Trento: c'è da averne paura?). E il rettore Egidi ci assicurò che assieme al progetto bio-tecnologie sarebbe stato istituito, come momento di dibattito e controllo scientifico, un corso di laurea in bio-etica. Di tutto questo è andato avanti poco; e quel poco in una direzione pessima: la Pat ha istituito una Commissione provinciale per lo studio delle problematiche in materia di bioetica i cui componenti però, sono tutti studiosi legati a filo doppio con la produzione degli Ogm. Insomma, le volpi a guardia del pollaio. Ne parliamo con il prof. Bassi.

Bassi: "Il dibattito scientifico sulle scienze della vita è di fronte a problematiche molto più sconvolgenti: smontare e rimontare esseri umani, mescolare materia inerte e vivente, creare materia vivente da quella non vivente; rispetto a questi problemi gli Ogm sono secondari. Il nostro progetto sulle scienze della vita si é dovuto arenare per il blocco nazionale alle assunzioni dei docenti".

Saranno una piccola cosa rispetto alle altre problematiche, resta il fatto che è sugli Ogm che oggi c’è il grande business, in cui qualcuno forse vuol fare entrare anche il Trentino. E parallelamente è scomparso dall’orizzonte anche il corso di laurea in bio-etica.

Bassi: "Oggi è un problema far andare avanti i corsi di laurea già attivati. Prima di aprirne di nuovi dovremo mettere a regime gli attuali. Quando finirà l’attuale blocco delle assunzioni, penseremo - e in un’indispensabile logica interfacoltà - agli studi sulla vita, che non potranno esserci senza i paralleli studi sulla bioetica, sui quali già si sta lavorando sia a Giurisprudenza sia a Sociologia".

Resta il fatto che l’unica iniziativa che sta andando avanti è il Comitato per la Bioetica della Pat. Formato solo da sostenitori degli Ogm (vedi OGM: la PAT finanzia il suicidio del Trentino).

Bassi: "Quella è un’iniziativa, del tutto autonoma, della Provincia".

Come? E’ un campo di lavoro che avete in comune, e i funzionari non laureati della Pat nominano studiosi universitari senza sentire l’Università?

Bassi: "Io ribadisco che la mia Facoltà non è stata interpellata. La Provincia, attraverso i suoi enti, ha alle dipendenze fior di studiosi in grado di rapportarsi autonomamente con tutte le istituzioni che ritengono opportuno".

Il prof. Bassi evidentemente allude all’Istituto Agrario di San Michele. Ne viene comunque fuori un bel quadretto dell’autonomia della Provincia Autonoma, che autonomamente decide di pasticciare in un campo delicatissimo.

Sul più generale problema dei rapporti Provincia-Università abbiamo interpellato anche il prof. Toniatti.

Toniatti: "Si tratta di due autonomie, ed è importante capirne la complementarietà. Nel mio programma l’Università non è destinata ad esaurirsi nel sistema trentino, ma è utile che faccia parte del sistema trentino della ricerca e dell’istruzione. Noi ora siamo un’istituzione statale; con la Provincia dobbiamo negoziare, concertare, per vedere quali sono le rispettive priorità, e se possono essere fatte coincidere. Un esempio: se la Pat ci chiede una facoltà di medicina, rispondiamo di no. Ma invece si possono attivare delle Scuole (fatte di dottorati di ricerca, lauree specialistiche, master) che vengano incontro a specifiche aspettative del territorio."

Dal territorio è immediato passare al suo complementare, l’internazionalizzazione, che in questi anni è stato un atout dell’Università trentina. Ma quale internazionalizzazione? Secondo quali direttrici? E anche qui: con quali rapporti con il territorio? Quali rapporti, per iniziare, con Innsbruck, desiderosa (vedi servizio sul numero scorso) di coltivare relazioni speciali con Trento, che invece finora la ha un po’ snobbata rivolgendosi direttamente più a nord, alla Germania?

Toniatti: "Vedo molto positivo un potenziamento dei rapporti con Innsbruck, nell’ottica macro-regionale. D’altra parte esiste anche un interesse della nostra Università verso gli atenei del mondo tedesco; e questi rapporti è giusto che non siano filtrati da Innsbruck. C’è stata in fondo una politica dei due forni, probabilmente saggia; abbiamo forse finito con il trascurare il forno Innsbruck, e invece dovremmo dare maggior continuità a questi rapporti; magari riprendendo le riunioni congiunte tra i due Senati accademici, come facevamo anni fa.

In generale la nostra internazionalizzazione sarà bene che si esplichi a tutto tondo: dipende da dove troviamo una reciproca disponibilità. Finora l’abbiamo trovata, molto ampia, nelle università tedesche, ora si sta aprendo Parigi 13, abbiamo trovato interlocutori validi nei Balcani. E, senza dimenticare gli Usa, in futuro dovremo aprirci anche all’Asia e all’Africa, nell’ottica, se vogliamo etica, della solidarietà internazionale, da parte del Trentino, un territorio ex-povero".

Non c’è il pericolo della dispersione delle iniziative?

Toniatti: "C’è. Saranno iniziative progressive, da attivare con gradualità. Un punto a favore è che ci sono diversi professori che singolarmente curano i rapporti con questo o quel paese".

Bassi: "C’è stata una prima fase in cui l’apertura internazionale doveva servire ad allacciare rapporti e far conoscere un’Università altrimenti sconosciuta. Oggi questa fase è superata, il nome ce l’abbiamo; ora gli scopi sono altri: costruire una rete internazionale di alleanze per attrarre e mettere insieme risorse; mettere questa rete a disposizione del resto del Trentino, aziende, Musei, enti pubblici. In quest’ottica vedo tre dimensioni: la prima è quella del nostro territorio regionale di riferimento, che va da Verona al Tirolo, con le quattro università dei capoluoghi. Ecco quindi l’importanza dei rapporti con Innsbruck, che oggi - superati i veti politici - è possibile sviluppare appieno. Ho ottimi rapporti personali con il prorettore Tilman Märk, a capo del Centro di Ricerca per i rapporti con l’Italia (vedi coverstory sull’ultimo numero di QT, n.d.r.). La seconda dimensione è l’Italia e l’Unione Europea, le cui università penso dobbiamo mettere sullo stesso livello, in quanto dobbiamo abituarci a considerare un sistema universitario europeo piuttosto che italiano. Infine la terza dimensione, i paesi non europei, e non solo quelli ricchi, a cominciare dall’America Latina: abbiamo già attivato Erasmus Mundus verso questi paesi, con soggiorni di studenti, e poi collaborazioni e scambi di professori".

L'ultimo problema che trattiamo è il rapporto quantità/qualità dei laureati. Le disposizioni ministeriali degli ultimi anni fanno sempre più dipendere i finanziamenti dalla "produttività", ossia dalla percentuale di iscritti al primo anno che poi si laurea, e a quella che si laurea nel tempo previsto. Di qui una serie di profonde modifiche che hanno investito l’Università (e quella di Trento non fa eccezione) con un conseguente aumento della "produttività" (vedi Il nuovo imperativo: laureiamoli prima).

Più studenti si laureano, e ciò è un bene. Ma il livello della preparazione, a detta di molti, è inferiore. Si è fatta la laurea breve, passando dai 4 anni alle due lauree da 3 e 5 anni. Ma per avere la preparazione di prima occorrono i 5 anni, e ancora non bastano. Insomma, si rischia di aver allungato i tempi, invece di averli accorciati. E per di più si stanno deprimendo le possibilità degli studenti migliori, che non si trovano stimolati in corsi troppo semplificati.

Toniatti: "E’ uno dei grandi problemi che abbiamo di fronte. La riforma 3+2 ha avuto un impatto più incisivo di quanto ci attendevamo e il rischio è effettivamente, per fornire una preparazione adeguata, di dover passare ai 5 anni e più. Si tratterà, da parte di noi docenti, di adattare meglio l’insegnamento, cosa che non può avvenire in un periodo breve. In ogni modo non andremo alla svendita della qualità. Quello che possiamo fare è differenziare l’offerta didattica tra i frequentanti e non-frequentanti, che in genere sono lavoratori. Per questi ultimi, corsi diluiti in più di tre anni, con offerte particolari, come i corsi serali e la didattica a distanza.

Per quanto riguarda gli studenti migliori, non credo ci sia molto da fare: le loro richieste sono in genere burocratiche: rivendicano riconoscimenti (crediti, ecc.) per le attività che svolgono in più. Credo invece che noi dovremmo incentivare il gusto dell’apprendere per l’apprendere".

Bassi: "L’abbassamento della qualità è un pericolo mortale, in cui l’Università sta cadendo in pieno. Soprattutto se si fa strada l’idea che la laurea triennale debba essere data a tutti, che la parola ‘selezione’ sia proibita. Penso invece che dobbiamo dare agli studenti delle opportunità, non un titolo garantito. Per questo dobbiamo muoverci su due livelli: 1) invece di abbassare il livello generale, dobbiamo fornire più servizi ed elaborare progetti specifici per gli studenti più deboli, a iniziare dagli studenti-lavoratori; 2) dobbiamo elaborare progetti avanzati per gli studenti più dotati: ci sono giovani che sono talenti naturali e che noi, annoiando, possiamo solo rovinare; dobbiamo invece saperli stimolare".

Qualche altro punto importante?

Toniatti: "Bisogna andare verso un’interdisciplinarietà che superi le divisioni tra facoltà, con le scuole di specializzazione e i dottorati congiunti; dobbiamo trovare la maniera di far dialogare le scienze naturali e quelle sociali. Per esempio noi a Giurisprudenza stiamo studiando il bio-diritto.

Un altro punto, correlato con questo: nella riunione di oggi di presentazione di noi candidati, c’erano 40 professori; io ne conoscerò sei. Non è un bene per un ateneo piccolo come il nostro, che proprio nelle possibilità di relazioni deve trovare un momento di forza. Per questo si deve riprendere il discorso della residenzialità dei docenti, che era stato accantonato perché Trento era piccola e poco attrattiva: ora non è più così, e quindi lo si può richiedere. Anche se è impopolare".