Mc Donald’s lascia la Valsugana
Dopo lo studio di Ingegneria Ambientale sull’inceneritore: con le consulenze accomodanti, l’Università non rischia di perdere autorevolezza? Le polemiche - palesi e sotterranee - nel mondo accademico; gli anticorpi, le contromisure.
Lo studio sull’inceneritore del Dipartimento di Ingegneria Ambientale dell’Università di Trento, così smaccatamente favorevole al grande impianto (vedi nel numero scorso Inceneritore: un’offesa per tutti) non poteva incontrare una tranquilla, acquiescente accoglienza. E difatti ha suscitato aspre contestazioni.La prima, decisiva, è venuta dall’Istituto Mario Negri di Milano, all’avanguardia in Italia nello studio delle diossine. Il documento dei professori trentini aveva introdotto una novità assoluta, rispetto alle tante relazioni degli studiosi che in questi mesi si sono avvicendati nelle conferenze informative: il ciclo del bioessiccatore inquina, anzi inquina quattro volte più di un inceneritore - affermano i docenti di Povo, appoggiandosi ad estrapolazioni al computer effettuate al Politecnico di Milano. Non è vero niente, ribatte una settimana dopo l’Istituto Mario Negri, a seguito di una ricerca sperimentale: il bioessiccatore inquina zero, le sue emissioni contengono una percentuale di diossina inferiore a quelle presenti nell’ambiente circostante.
Il colpo non è da poco: per l’autorevolezza del contraddittore, per la scientificità della metodologia (ricerca sul campo, non simulazioni al computer); ma anche perché confina tra le ipotesi fantasiose quell’inquinamento da bioessiccatore che i consulenti trentini sembravano a tutti i costi voler trovare. Sì, perché tutto lo studio di Ingegneria Ambientale, come da noi documentato nel numero scorso, sembra teso a giustificare, scontando persino delle forzature logiche, la decisione già presa dalla giunta provinciale: maxi-inceneritore ha da essere, punto e basta.
"Queste sono le consulenze del principe, in cui bisogna arrivare alle conclusioni che desidera il committente - commentava Giorgio Rigo di Italia Nostra. Il problema è cosa ci guadagna l’Università ad essere coinvolta in questo meccanismo poco virtuoso: "L’Ateneo dovrebbe essere un’istituzione di cui il cittadino possa fidarsi, riconoscendone autorevolezza e imparzialità - scrivevamo - e invece vicende come questa ne erodono il prestigio".
Queste preoccupazioni hanno percorso parte del mondo accademico. C’è stato chi ha scrollato le spalle; chi è accorso in difesa corporativa; chi ha esposto preoccupazioni; chi ha ventilato conseguenze sul lungo periodo (della serie "chi sbaglia deve pagare"). In maniera sotterranea, nelle stanze riservate. Ma anche pubblicamente: è stato il prof. Piergiorgio Rauzi, docente di Sociologia, con un’intervista su L’Adige a dichiarare che il re è nudo: "Quel pugno di professori del Dipartimento di Ingegneria civile e ambientale ha danneggiato in modo grave l’immagine dell’intera Università di Trento."
Non solo: Rauzi afferma che l’Università di Trento, visti i finanziamenti che riceve dalla Provincia, dovrebbe astenersi dal dare consulenze su temi sui quali la Giunta provinciale è già pervenuta a delle decisioni, rispetto alle quali dall’Università non richiede lavoro di studio, ma un avallo; "ed è difficile per l’Università scontentare l’erogatore".
Tralasciamo la difesa d’ufficio, che appare sullo stesso Adige il giorno dopo, a firma dell’ex preside di Ingegneria prof. Aronne Armanini, tanto violenta quanto aprioristica: "La presunzione che un gruppo di colleghi non sia in grado di esprimere un’opinione indipendente per un ente pubblico, perché l’Ateneo riceve da questo contributi finanziari è ridicola quanto infamante" (ricordiamo al prof. Armanini come un suo studio sulla diga di Valda, commissionato dall’Autorità di Bacino dell’Adige, risultasse un entusiastico sì alla diga come appunto si aspettava il committente; e come poi sia stato ridicolizzato da un contro-studio del prof. Todini della facoltà di Ingegneria di Bologna, predisposto per i comitati ambientalisti).
Insomma, il problema dell’indipendenza della ricerca, e della conseguente autorevolezza dell’Università, esiste; e non si può esorcizzarlo affermando che "Università vuol dire cervelli liberi", così è per definizione, e guai a dubitarne.
"Il condizionamento reciproco scienza-politica è un problema storico, che parte da Galileo - replica Rauzi - E va riconosciuto e affrontato. Non si può dire che non c’è perché non ci deve essere."
Ufficialmente il caso-Rauzi si è risolto con un invito del Senato Accademico al Preside di Sociologia affinché richiamasse all’ordine Rauzi. Il quale del richiamo si è ben poco curato: "Parlo da sociologo: nessuno riuscirà a convincermi che il committente non condiziona la ricerca".
Al di la delle diplomazie accademiche, il problema
esiste. C’è chi dice: "E’ la normale dialettica: un’Università può sostenere una cosa, un’altra Università può giungere ad altri risultati. E’ così che progredisce il sapere". Il problema è che non stiamo parlando di dialettica conoscitiva, bensì di pareri non neutri, di conclusioni non libere, in quanto forzatamente in linea con le aspettative dei committenti. Può l’Università ridursi al ruolo del perito di parte?
"Se questo fosse un sistema, sarebbe un boomerang spaventoso - ci risponde il rettore prof. Massimo Egidi – Se fosse generalizzato questo sospetto, dovremmo chiudere."
Il rettore affronta il tema-consulenze distinguendo: "E’ stata una delle innovazioni che ho provato a introdurre: quando i docenti svolgono il lavoro di liberi professionisti, rispondono solo a se stessi; ma non devono coinvolgere l’Università."
E questo è un primo paletto: il professore può fare come vuole le sue consulenze private (c’è una previa autorizzazione del dipartimento che riguarda soprattutto la compatibilità con il lavoro accademico), ma in qualità di libero professionista, non di universitario.
Poi c’è il lavoro di ricerca vero e proprio. A metà strada ci sono infine le "attività conto terzi": studi e consulenze che vengono discusse e autorizzate dal dipartimento, e delle cui parcelle una quota attorno al 20% viene incassata dall’Università. "In queste attività l’Università è pienamente coinvolta, e non dovrebbero quindi configurarsi come delle consulenze di parte - ci dice il prof. Carlo Borzaga, di Economia, membro del Nucleo di Valutazione interna dell’Università - Il nostro padrone non deve essere il committente, ma la verità. E noi dobbiamo mantenere la libertà di analizzare la realtà, giungendo alle conclusioni secondo scienza e coscienza, non secondo i desideri del committente."
Questo è il punto. Perché lo studio di Ingegneria Ambientale è proprio un’attività "conto terzi".
Il rettore non intende entrare nello specifico dello studio contestato. Fa un discorso generale: "Un conto terzi viene sottoposto per l’autorizzazione al giudizio del dipartimento, che è un’assemblea di una cinquantina di persone, dove c’è dibattito, dialogo, posizioni spesso contrastanti. Proprio perché la responsabilità è collettiva, e un eventuale esito non all’altezza, ricadrebbe su tutti.
Poi - e questo dovrebbe tranquillizzare anche la parte di pubblica opinione più sospettosa - c’è un secondo livello di controllo. Ed è quello a posteriori: possono sempre esserci altri dipartimenti di altre università che possono dare altre risposte. E qui sta il punto: l’eventuale parere accomodante viene contraddetto; e questo nel mondo scientifico pesa, si traduce in una grave perdita di prestigio".
Nel nostro caso lo schema proposto dal rettore sembra aver funzionato, ma a buoi scappati. E’ arrivata, pesante, la sberla dell’Istituto Mario Negri, a smascherare le manchevolezze dello studio trentino.
"In realtà finora le discussioni sui conto-terzi erano formali, non se ne avvertiva la responsabilità collettiva - afferma Borzaga - Però ora la vicenda di Ingegneria Ambientale ha messo tutti sull’allerta: i prossimi conto-terzi saranno vagliati con molta attenzione."
"Finora si è litigato sul valore delle ricerche, ma solo in funzione di come spartirsi la torta. Se un lavoro, attraverso un conto-terzi porta soldi, va sempre comunque bene - rivela Rauzi - Se ora si cambia perché si teme il discredito, bene. Basta che alla pluralità delle opinioni si dia la possibilità di esprimersi; e non prevalga la logica vagamente censoria che per esempio ha ispirato il richiamo del Senato accademico nei miei confronti.
Il punto è che i finanziamenti della Provincia sono preziosi, non dobbiamo certo rinunciarci; ma non devono nemmeno condizionare la ricerca. Cioè la Pat non deve affidare all’Università delle consulenze che dovrebbero essere dirimenti su questioni di impatto politico. E se l’Università le accetta, deve farlo sostenendo però che sono consulenze di parte; disponibile al confronto con altri studi di parte. Quello che è inaccettabile è proporsi come terzi, quando in realtà non lo si è".