Con Microsoft e oltre, la ricerca in Trentino
L’arrivo di Bill Gates: le motivazioni, gli interrogativi, le prospettive. E dall’altra parte il distretto tecnologico, le ricerche sull’idrogeno... Dopo le illusioni del passato, siamo sulla strada giusta?
Entusiasmo sui giornali, soddisfazione all’Università e nel mondo politico, qualche mugugno nei bar ("Anche a Bill Gates andiamo a dar soldi, adesso?"). Queste le reazioni del Trentino all’accordo con la Microsoft per l’annuncio della prossima apertura di un centro di ricerca Microsoft-Università a Trento.
Vediamo le cose con calma, cercando di fare un quadro complessivo della politica della ricerca in Trentino, su cui il dibattito si è invece arenato su una questione a nostro avviso di scarso interesse (se l’Itc debba essere Ente funzionale della Pat oppure diventare Fondazione a capitale pubblico).
Partiamo dai dati del nuovo Centro: sarà una joint-venture Microsoft-Università di Trento, con 40% di finanziamenti privati, 60% dallo Stato e dalla Provincia, per un totale di 15 milioni di euro per i primi tre anni.
"Tale tipo di collaborazione rientra in pieno nella nostra strategia" - ha affermato il ministro alla Ricerca Letizia Moratti, firmataria per lo Stato dell’accordo. "Trento costituisce per Microsoft il primo mattone di una sua nuova linea di pensiero, ‘Euroscience’, in cui la cultura informatica si sposa con altre scienze, a Trento con la biologia - ci dice l’assessore alla ricerca tecnologica Gianluca Salvatori.
Vediamo meglio le implicazioni di tutto questo, e i problemi che si aprono.
Lo sbarco di Microsoft in quel di Povo è effettivamente un evento di prestigio: che il massimo produttore mondiale di software abbia scelto Trento fra tutte le altre possibili piazze per il primo centro Europeo dopo Cambridge, per di più antesignano di una nuova strategia, è indubbiamente qualificante. "Anche per noi. - ci dice un ricercatore dell’Irst, istituto non coinvolto nell’operazione - Oggi abbiamo difficoltà a rapportarci con realtà industriali estere d’avanguardia: ‘Non ci fidiamo dell’Italia’ - dicono. ‘Beh, Bill Gates di noi di Trento si fida’ - potremo ora rispondere".
Appunto: perché Bill Gates, noto marpione, ha scelto Trento? "Non per i contributi" - rispondono tutti, Microsoft compresa; e infatti 3-4 milioni di euro per la casa di Seattle sono bruscolini (e poi avrebbe potuti metterli anche Formigoni per avere il centro a Milano).
"Sono venuti a Trento perché qui hanno trovato l’ambiente e le competenze, e non altrove" - sostiene l’assessore Salvatori.
Concordiamo. Quando due mesi fa - unici nella stampa locale - riferimmo (Al Teatro Sociale è di scena la scienza) dell’importante convegno internazionale al Teatro Sociale organizzato congiuntamente da Microsoft e Università di Trento "Converging sciences" (proprio sull’ibridazione fra campi scientifici diversi, in primis informatica e biologia), rimanemmo colpiti da una parte dall’autorevolezza con cui il prof. Corrado Priami dell’Università di Trento dirigeva un dibattito così altolocato (ricercatori e manager da tutto il mondo, e decisori politici dell’Unione Europea), dall’altra dall’evidente (e inaspettata per chi scrive) consonanza proprio con Microsoft, lì rappresentata dal numero uno in Europa, Umberto Paolucci. "Nel campo delle applicazioni dell’informatica alla biologia siamo in effetti all’avanguardia" - ci confermò il rettore Davide Bassi.
C’è poi un altro aspetto, l’ambiente; inteso non solo come bella città e bei panorami, ma come importanza attribuita alla ricerca. "Voi siete una Provincia che investe in ricerca il 6% del proprio Pil - ha ricordato a Praga la Moratti, ministro di un paese in cui il leader del maggior partito d’opposizione (Fassino) promette, una volta al governo, di "rovesciare l’attuale tendenza" dedicando alla ricerca "il 2% del Pil"! Insomma, il Trentino è tre volte più avanti dell’Italia: e non dell’Italia com’è, bensì come sarebbe secondo i migliori auspici.
Poi ci sono gli interrogativi, che a nostro avviso non riguardano il mancato coinvolgimento dell’Irst. Di una maggior credibilità trentina, come abbiamo detto prima, l’istituto di Povo non potrà che avvantaggiarsi. Come pure dell’afflusso di cervelli: non crediamo alla logica delle parrocchiette chiuse, ai timori tipo "ci portano via i migliori"; più idee, più esperimenti, più talenti circolano e si confrontano, meglio per tutti.
Il primo interrogativo riguarda invece un possibile abbraccio troppo soffocante con Microsoft. Una casa dai grandi meriti, ma anche dalle tentazioni monopoliste preoccupanti. E in effetti sconcerta che nel coro degli osanna, nessuno abbia fatto presente il ruolo non sempre commendevole o propulsivo della casa di Seattle. Che oggi, per alcuni versi, funge da tappo allo stesso sviluppo dell’informatica.
Nei numeri scorsi (vedi Software libero, perché piace a tutti. Anche alla PAT?) abbiamo trattato del software libero, "open source", dei suoi vantaggi, della filosofia sottesa, e della sua possibile adozione da parte della Pat. Ma software libero e Microsoft sono antitetici, anzi il primo è nato come antidoto alle storture monopoliste della seconda: non è che ora la Provincia, pappa e ciccia con Bill Gates, rimetta l’open source in soffitta?
"Assolutamente no. - ci assicura l’assessore Salvatori - Anzi, ribadisco che dovremo fare dello sviluppo del software libero un vero terreno d’impegno".
Ma questo è solo un primo aspetto; il rapporto con Microsoft porta ulteriori implicazioni. "La filosofia dell’Università non può essere quella della Microsoft, né di qualsiasi industria - ci dice Paolo Tosi, professore associato alla Facoltà di Ingegneria e per anni curatore su QT della rubrica "Scienza e fantascienza" - Scopo dell’Università è la cultura, scopo dell’industria è il profitto. Ora non solo si può, ma si deve lavorare assieme: però tenendo sempre presente che le rispettive finalità, pur conciliabili, sono diverse".
Questo potenziale conflitto si concretizza nella questione - ancora! - dei brevetti. L’Università tende alla massima circolazione delle idee attraverso le pubblicazioni scientifiche, i convegni, ecc; l’industria tende alla loro privatizzazione, e al conseguente esclusivo sfruttamento.
"A Trento Microsoft non si aspetta di acquisire brevetti, ma di mettere a punto tecniche di cui chiederà di usufruire, ma non in maniera esclusiva, ma aperta, appunto open source - ci risponde Salvatori.
E’ una rivoluzione?
"E’ l’apertura di un nuovo fronte. Microsoft si è resa conto della necessità di cambiare: aprendosi alle altre comunità scientifiche, che però pretendono un regime di libertà".
Forse è così. Da una parte, a Praga, Bill Gates, alla stessa domanda, ha però dato una risposta più ambigua,: "I brevetti? Vedremo caso per caso". D’altra parte però forse è vero che per Gates c’è, come dice Salvatori, "la necessità di cambiare". Se grazie a Bush è riuscito a chiudere il contenzioso americano sulla propria posizione di monopolio; se grazie a Berlusconi (che non ha rinnovato il posto a Mario Monti, commissario europeo alla concorrenza) il contenzioso europeo si è ammorbidito, è peraltro vero che l’open source Linux, sta mordendo i polpaccia Microsoft. E soprattutto la nuova frontiera scientifica, che Bill Gates sembra voler aprire, richiede un altro approccio. Pensiamo alle ricadute che il Centro di Trento potrebbe dare: anzitutto nello studio della biologia, e quindi nell’elaborazione di tecniche informatiche che permettano, ad esempio, di progettare farmaci ad personam; ma poi anche nel percorso inverso, nell’assunzione, da parte dell’informatica, degli schemi della biologia, avvicinando i meccanismi logici dei computer ai processi naturali ("Ritorna l’utopia dell’Intelligenza Artificiale" - commentano all’Irst).
Qui il gioco, per una grande azienda, può valere la candela: essere attori di tali innovazioni può dare posizioni di vantaggio che non abbisognano di rigide esclusività. Anche perché la storia di Microsft è complessa. Ricordiamo che se Bill Gates fece vincere i suoi - non eccelsi - prodotti, l’indigesto MS-Dos prima e l’instabile Windows poi, è perché rispetto alla più avanzata ma più esclusiva concorrenza della Apple, non solo riuscì a proporre prezzi dimezzati, ma autorizzò copie e clonazioni: di modo che l’informatica si espanse per il globo, con il Dos suo linguaggio universale, e i MacIntosh relegati a strumenti per una setta di appassionati.
Può essere che oggi Gates ritenga di potere/dovere rigiocare la carta dell’apertura. Molti indizi su come ha avviato il progetto Euroscience tendono ad avvalorare questa ipotesi. Certo, dipenderà anche dal tipo di rapporto che si instaurerà con i suoi nuovi partner. E fra essi, l’Università di Trento.
Ovviamente il rapporto con Microsoft non esaurisce la ricerca in Trentino. Il punto è: in che modo il nuovo centro si inserisce nel sistema complessivo? E ancora: è bene che ci sia una preminenza della ricerca nell’informatica?
Ci era giunta voce di contrasti, in Università e nei centri di ricerca, attorno alle priorità: informatica o distretto delle tecnologie ambientali?
Apriamo una parentesi: al presidente della Provincia Dellai va pubblicamente riconosciuta, anche da chi come noi non è tenero nei giudizi su vari aspetti del suo operato, la concreta attenzione (volontà di investire) su ricerca e istruzione, un effettivo riconoscimento del sapere come risorsa prioritaria. Una cosa non scontata: basti pensare al fastidio che il precedente presidente, Carlo Andreotti, pubblicamente esplicitava quando si parlava di Università. Dunque Dellai, in sede di presentazione di bilancio della Provincia, ha fornito le linee generali della strategia della ricerca trentina. Possiamo definirla una strategia "variabile", nel senso che si è definita in corso d’opera, adattandosi per cogliere le opportunità, come appunto quella della Microsoft. E forse va bene così. Essa si articola in ricerca di base e ricerca industriale. Della prima fanno parte quelle che lo Stato definisce "piattaforme tecnologiche" su alcuni filoni particolarmente importanti. La bioinformatica è uno di questi, e il centro trentino con la Microsoft è un segmento importante della relativa piattaforma tecnologica (e infatti vi concorrono, al 60%, i finanziamenti di Stato e Provincia).
Poi c’è il secondo livello, la ricerca industriale, articolata in "distretti tecnologici", dove sono più prossime le ricadute sulle imprese e sul mercato.
Ora, ci può essere un conflitto tra i due settori? "No - ci risponde deciso l’assessore Salvatori - Abbiamo le spalle abbastanza larghe per investire non su un solo filone, ma su due o tre".
"Nessuna conflittualità - conferma il rettore Davide Bassi - Anzitutto fra informatica e tecnologie ambientali ci sono settori di contatto, come la domotica (applicazioni di informatica avanzata alle abitazioni n.d.r.). Ma poi sono le nostre stesse dimensioni che ci consentono più linee: non siamo un centro di ricerca con 30 addetti, noi ne abbiamo 500".
Ma di cosa si occuperà il distretto tecnologico? Il progetto viene dall’assessore Salvatori, che parla di "tecnologie ambientali e delle energie rinnovabili". Dellai invece, sia in Consiglio Provinciale, sia in successive interviste, ha tirato il freno: "Stiamo ragionandoci… le tecnologie ambientali sono una delle opzioni…" e via cincischiando. A noi sembra l’effetto che la parola "ambiente" sembra regolarmente provocare sul Presidente: un immediato attacco di allergia.
In realtà il distretto ambientale sembra molto ben motivato. "Anzitutto per l’immagine che il Trentino ha già, e può implementare: fuori provincia siamo percepiti come una terra dove c’è equilibrio, creatività nel rapporto con l’ambiente. E’ un capitale che conviene sfruttare" - dice Salvatori. Ma soprattutto già esiste un lavoro di ricerca in corso nell’Università e fuori, "e un certo numero di imprese che già si occupano di energie rinnovabili, a tutto campo, nell’idrogeno, nel solare, nell’idroelettrico, oppure nella bioedilizia - insiste Salvatori. "Stiamo lavorando molto sulle energie rinnovabili - ribadisce il rettore Bassi - Come pure gli studi sul legno e altri materiali: è un ambito di ricerca in cui le nostre possibilità di intervento sono molto ampie".
Da una nostra prima indagine risulta che ad Ingegneria si lavora sull’energia eolica; sull’efficienza energetica di vari dispositivi come ad esempio le celle fotovoltaiche; le fuel-cell (ossia batterie) alimentate ad idrogeno; a Fisica sulla produzione e utilizzazione dell’idrogeno; sulla distruzione di inquinanti gassosi attraverso tecnologie al plasma; a Ingegneria civile sull’efficienza energetica nella costruzione degli edifici…
"A questo lavoro nelle facoltà scientifiche, nel distretto si potrebbero aggiungere le competenze, notevoli, di quelle umanistiche - ci dice Paolo Tosi - Nuove tecnologie comportano una serie di nuove problematiche, economiche, giuridiche, sociologiche (pensiamo all’accettazione e al coinvolgimento sociali e relativi effetti) che è bene siano studiate in parallelo al lavoro strettamente tecnico".
Proprio allo scopo di promuovere gli studi e le applicazioni relativi alle energie rinnovabili è nato un consorzio tra Università e aziende private (prima, la Marangoni), il consorzio IdEA (Idrogeno, Energia, Ambiente): "Questi macchinari sono stati acquistati con il contributo di IdEA" - ci spiegano alla facoltà di Scienze.
Ci si occupa di studi sul solare, sulle energie da biomasse e - centrale - l’idrogeno. "Permette di conservare l’energia prodotta dalle fonti rinnovabili come il solare, e poi di erogarla senza inquinare: dalle fuel-cell esce acqua - ci spiega il direttore del Dipartimento di Fisica prof. Antonio Miotello - Per questo è visto a livello mondiale come combustibile del futuro".
Ma questo è forse motivo di perplessità. Se è un settore in cui, con colossali investimenti, si impegnano migliaia di ricercatori in tutto il mondo, ha senso che Trento entri in questa competizione?
"E’ il rischio dell’Italia, rimanere indietro - ci risponde Miotello - Però dobbiamo cercare di recuperare, non abbandonare il campo. Anche se non si arriva primi, bisogna avere una cultura del settore per non essere tagliati fuori. E poi in certi segmenti possiamo pensare di arrivare noi ai brevetti. Il fatto che Usa e Giappone siano più avanti, non ci spaventa: al livello a cui siamo, possiamo confrontarci e competere. Le nostre ricerche sono pubblicate sulle loro riviste. E quando alcuni mesi or sono ho partecipato in California a un convegno sull’idrogeno organizzato dai governi italiano e americano, la relazione sull’attività dell’Italia l’ho tenuta io, ed ha incontrato significativo interesse presso i colleghi americani."
Distretto tecnologico dunque: parola che comporta un rapporto col territorio. Sono bubbole? No, se si lavora seriamente, e nel Comune di Isera possiamo vederne un primo, significativo esempio in un progetto che vede la collaborazione tra ente pubblico, università, consorzio privato, impresa hi-tech.
Si tratta dell’energia termica ed elettrica necessaria al nuovo asilo nido, che viene fornita da 600 mq. di pannelli fotovoltaici, cioè dal sole. Fin qui non c’è molto di nuovo. Il punto è che l’energia solare è intermittente (giorno\notte, sereno\nuvoloso) e va quindi immagazzinata per poter essere utilizzata quando serve, in genere quando non c’è sole (il riscaldamento d’inverno, la luce elettrica quando è buio).
E qui entra in gioco l’idrogeno: la quota di energia che non viene consumata subito produce idrogeno attraverso l’elettrolisi dell’acqua (scomposta in ossigeno, che viene disperso nell’aria, e idrogeno) a sua volta immagazzinato in contenitori e utilizzato, quando c’è la richiesta, nelle fuel-cell (batterie ad idrogeno) per produrre calore ed elettricità. Insomma, con questo schema l’asilo è energeticamente autosufficiente e non consuma niente, o meglio utilizza solo il sole, fonte gratuita e perenne.
Poi, l’impianto è più complesso. E’ collegato alla rete elettrica ("della nostra municipalizzata, siamo l’unico Comune che l’ha mantenuta" afferma con orgoglio il sindaco Carlo Rossi), cui d’estate fornirà energia, e da cui d’inverno ne prenderà; alimenta le celle ad idrogeno non solo con il sole, ma anche con un impianto a metano, per poter permettere ai ricercatori che seguono l’esperimento di confrontare sul campo i due procedimenti. Il tutto viene materialmente realizzato da una società di Rovereto, la ELMA Electronic Machining, in collaborazione con il Dipartimento di Fisica dell’Università e il Consorzio IdEA.
Il progetto, vincitore del Premio per l’Ambiente 2004 (premio regionale, ma i progetti in concorso erano 87), chiaramente si regge solo su contributi pubblici, statali e provinciali, che dovrebbero coprire il 90% dei costi: 500.000 euro per l’impianto fotovoltaico, 700.000 per quello dell’idrogeno, compresa la gestione per quattro anni e la sostituzione con nuovi più avanzati macchinari quando disponibili. "Non ci guadagniamo. Ed è chiaro che era più semplice installare una caldaia e pagare le bollette della luce e del gas. - ci dice la vicesindaco Enrica Rigotti, che in Comune ha supportato il progetto – E’ un discorso di sensibilizzazione della popolazione verso queste tematiche, e la volontà di favorire la ricerca".
Infatti è evidente che costi così elevati non sono concorrenziali. Ma la ricerca (e la sua applicazione pratica sul campo) vuole proprio migliorare alcuni punti critici: "Il rendimento dei pannelli fotovoltaici, cioè la percentuale di energia solare trasformata in elettrica, attualmente, per i modelli in commercio, è intorno al 10%, decisamente troppo bassa - ci dice il prof. Miotello - E per le fuel cell, che hanno invece buoni rendimenti, bisogna abbattere i costi, oggi eccessivi, anche attraverso l’impiego di nuovi materiali".
Questa ci sembra la strada per il Trentino; anche se magari il singolo progetto può arenarsi, non trovare sbocchi, o con Bill Gates finisce che non si va d’accordo e la Microsoft si rivela un partner sbagliato come con altri già successo.
Ma la direzione complessiva è giusta, ci sembra di poter serenamente rispondere a chi nei bar si chiede se è il caso di dare soldi anche a Bill Gates.