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Poi non stiamo a lamentarci

Le preoccupazioni dell'Europa per le elezioni italiane. La loro legittimità; in quanto a essere fondate, purtroppo...

"Spazzatura" - commenta sprezzante Silvio Berlusconi un articolo dell’Economist a lui dedicato. Qualche giorno dopo disdegna di rispondere alle gravi accuse rivoltegli da El Mundo, un periodico spagnolo vicino al suo amico Aznar, per non abbassarsi - dice - a queste "polemiche da lavandaia".

Fermiamoci qui. Ci sarebbe dell’altro, perché anche altre autorevoli testate europee si sono occupate di lui in questi ultimi tempi, esprimendo giudizi niente affatto lusinghieri. Ci bastano questi due, l’ Economist, rivista liberal-conservatrice inglese, e El Mundo, espressione di quella Spagna che egli ossessivamente cita ad esempio. Il primo lo giudica "inidoneo a governare l’Italia", il secondo lo accusa di imponenti frodi fiscali consumate ai danni dello Stato iberico. Giudizi assai severi, che per il vero non aggiungono nulla a quello che noi da tempo abbiamo maturato attorno a questo personaggio. La novità sta nel fatto che ora è l’intera opinione pubblica europea, anche quella che non ha simpatie per la sinistra, ad esprimere una valutazione allarmata per l’ipotesi che la destra italiana, questa destra, possa vincere le elezioni del 13 maggio.

E’ legittima questa interferenza nelle cose di casa nostra?

C’è chi lo ha contestato o manifestato una certa irritazione per essa. Eppure a me pare che sia assolutamente normale. Non c’è la globalizzazione?

Ricordate cosa scrivevano i nostri giornali su Bush durante le elezioni presidenziali negli Stati Uniti? E comunque non siamo nell’Unione Europea, cioè in una comunità di Stati che, pur non essendo ancora ridotti ad unità politica, sono fra di loro intrecciati in una fitta rete di relazioni economiche e normative, tanto da farci considerare, già adesso ed ancor più nel prossimo futuro, in una stessa barca? E non fu il governo spagnolo, non - badate - un giornale, a sollevare il caso Haider quando entrò a far parte del governo austriaco, con una minaccia di sanzioni mai attuata, ma che valse certamente ad isolare il leader carinziano tanto che, nelle recenti elezioni di Vienna, ha subito uno smacco significativo? Ai confini degli Stati europei dunque non ci sono più le dogane per riscuotere i dazi sulle merci in transito, e sono cadute anche le barriere di non interferenza politica. Io credo che sia un buon segno!

Ma vi è una ragione di più per spiegare e giustificare l’attenzione che gli osservatori europei riservano al Bel Paese. Noi siamo la patria delle anomalie, nel bene e nel male. Negli anni Venti del secolo scorso abbiamo inventato il fascismo che, esportato in Germania, ha dato fuoco all’intero continente. Nei decenni del secondo dopoguerra sullo stivale ha prosperato il più grande partito comunista di tutto l’Occidente, ed ha governato, unico caso nel mondo non islamico, un partito para-confessionale, cioè con legami dichiarati con la Chiesa. Negli anni Novanta un intero ceto politico, che aveva convertito la pratica della corruzione in normale sistema di governo, è stato spazzato via dalla furia lungamente trattenuta di una repressione giudiziaria purificatrice. Ed ora siamo alle prese con un parvenu miliardario, padrone del più potente mezzo di manipolazione delle coscienze, che ha trasformato la sua azienda in un partito di massa, e con gli stessi metodi con i quali ha accumulato la sua fortuna, tenta la scalata al governo della Repubblica. Non vi sembra che basti per tenerci sotto osservazione?

Siamo troppo contigui ormai, e quindi è ragionevole la preoccupazione che le nostre turbolenze possano contagiare anche altre parti dell’intera comunità. Anche perché queste nostre anomalie non provengono dal profondo sud, dalle regioni ove allignano mafia e camorra, ma dalla regione più ricca e prospera. Questa Lombardia che ha espresso, in questi ultimi decenni, Craxi, Bossi e Berlusconi. E Formigoni. Anche il primo cavaliere aveva preso le mosse da Milano!

Io non voglio drammatizzare. So che la storia non si ripete, e se lo fa la prima volta assume le forme del dramma e la seconda quelle delle farsa. Ma non ne sono del tutto sicuro. Su Il Giornale (il quotidiano della famiglia Berlusconi) del 30 aprile scorso, vi era un articolo di Carlo Pelanda nel quale ho letto le seguenti testuali parole: "La decisione è stata quella di delegare a Berlusconi tanto potere per il semplice fatto che in Italia devono essere fatti cambiamenti di enorme portata e difficili. Il nostro Stato non è organizzato verticalmente e non fornisce al capo del governo gli strumenti istituzionali necessari per governare. Ciò va compensato con una concentrazione, temporanea, di potere politico." Temporanea per quanto, venti anni ? Non vi sentite i brividi lungo la schiena?

Questo Carlo Pelanda sarà anche un servitore sciocco. Ma poi non potremo lamentarci che non ci avevano avvertiti. Lo ha fatto anche quel vecchio bolscevico che risponde al nome di Indro Montanelli.