Bolzano: la mina sotto l’apartheid
Il sistema sudtirolese della separazione etnica in crisi. Per la protesta, pur estrema, di persone isolate. In realtà...
Che Eugen Galasso sia un professore lo si intuisce a prima vista: pallido, un po’ emaciato, lo sguardo timido, il gestire delicato. Che una tale persona, fragile solo all’apparenza, possa mettersi a fare uno sciopero della fame contro le divisioni etniche in provincia di Bolzano è una cosa bizzarra, ma non incredibile: dopotutto Galasso, che anche fisicamente ricorda Gandhi, può fungere benissimo da agnello sacrificale, l’idealista che inutilmente si schianta contro i mulini a vento.
Il fatto clamoroso è che Galasso non si è schiantato.
Con lui, e con un’altra persona ancor più anomala, Miguel Martina, un bel ragazzone di Taranto dai modi bruschi, che vive a Trento e si catapulta a Bolzano, con il loro gruppetto del Moet (Movimento obiettori etnici) sono dovuti venire a patti in tanti: soprattutto l’onnipotente SVP, ma anche il governo di Roma.
Come mai? Come mai, dove non è riuscito un personaggio dello spessore di Alex Langer, che pur aveva un ampio movimento dietro di sé, riescono oggi ad avere ascolto, a ottenere risultati personaggi isolati? Sul tema centralissimo nella società sudtirolese, e fondante del potere Svp: la separazione etnica.
Vediamo brevemente i fatti. Il maggio dello scorso anno, alle elezioni comunali di Bolzano il Moet presenta una lista provocatoria, formata esclusivamente da candidati non in regola con le norme dell’apartheid: non residenti in provincia di Bolzano, residenti da meno di quattro anni, cittadini che non hanno partecipato all’ultimo censimento etnico; e tutti i candidati si rifiutano di dichiarare l’appartenenza etnica. Insomma, una provocazione vera e propria, un atto di sfida.
"I vigili, con vari pretesti, per diversi giorni non ci hanno consentito di raccogliere le firme - racconta Galasso - Ma quando finalmente abbiamo potuto farlo, abbiamo trovato grandissimo attenzione: in due giorni abbiamo raccolto 900 firme".
"Ricordo una signora di 99 anni - aggiunge Martina - che ci ha detto: ‘Nella mia lunga vita ne ho viste tante, da Francesco Giuseppe in poi, ma ho capito una cosa: che io, di lingua tedesca, non sono diversa, siamo tutti uguali. Per questo vi appoggio, andate avanti.’"
La commissione elettorale, ovviamente, non accetta la lista. Il Moet fa ricorso al Tar, che a Bolzano è nominato dalla Giunta Provinciale (cioè: l’ente che dovrebbe tutelare i cittadini dall’amministrazione, risponde all’amministrazione stessa; è una delle tante perversioni giuridiche che improntano il regime SVP). Il Tar non solo dà torto agli obiettori, ma li condanna al massimo delle spese, e questi presentano un ricorso al Tribunale di Trento.
Il fatto importante è però che attorno all’esperienza del Moet cresce interesse.
Un interesse non solo positivo. Sulla stampa iniziano pesanti attacchi agli esponenti del movimento. "E accadono strani episodi, inquietanti - rivela Martina - Eugen è stato investito da una macchina sulle strisce; e anch’io sono stato urtato, il giorno dopo, da una macchina." Forse una coincidenza. "E poco dopo, qualcuno a Trento è penetrato a rubare nella macchina di Miguel e, nello stesso giorno, a me in casa a Bolzano" - aggiunge Galasso.
Coincidenze o avvertimenti che siano, i due non si impressionano.
In aprile infatti Galasso preannuncia lo sciopero della fame se la riforma dello Statuto della Regione non prevederà la fine del censimento e della proporzionale. Naturalmente non se ne tiene conto, e così, due giorni dopo la votazione, Galasso inizia lo sciopero della fame.
A lui si aggiunge Martina, poi altri due esponenti del Moet. E qui inizia l’incredibile: in tutta la provincia iniziano spontaneamente a digiunare altre persone, sconosciute al Moet. Poco dopo sono in 25, in tutto il Sudtirolo, che rischiano la vita per chiedere la fine della separazione etnica.
L’establishment individua nella separazione etnica il fondamento del proprio attuale potere.
E risponde con attacchi durissimi: in consiglio Provinciale Andreas Poeder (Union für Südtirol) arriva a chiedere (e della cosa si discute!) l’avvio di un procedimento disciplinare e l’allontanamento dalla scuola di un digiunatore, docente al liceo classico tedesco di Merano, perché il suo comportamento risulta didatticamente scorretto.
Ma le minacce non sortiscono effetti. Della vicenda si occupano anche i media internazionali (Libeération, der Spiegel), arriva all’ONU. Galasso non lo si può più ignorare.
E soprattutto non lo si può lasciare morire: il digiuno lo ha ormai provato, la sua vita è a rischio, di sicuro non cede. Bisogna trovare una soluzione.
Da Roma arriva Gianclaudio Bressa, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri con delega alle minoranze etniche. Bressa ha il compito di fungere da mediatore tra il Moet e la SVP. E pensa che un incontro ufficiale, che gratifichi Galasso e i suoi, possa sostanzialmente bastare.
Si sbaglia. Galasso pone condizioni indigeribili. Alla fine esce una cosa stranissima. Si dà il via a un Tavolo di confronto sulla riforma dell’autonomia, aperto - attenzione - alle realtà della società civile. Cioè si stabilisce il principio per cui il tema della convivenza etnica viene sottratto al monopolio dei partiti,che quindi vengono individuati come incapaci di affrontare il problema; o meglio, vengono individuati come sostenitori dello status quo, nel quale ciascuno per la sua parte ha trovato un comodo, indisturbato habitat in cui adagiarsi.
Al Tavolo i partiti si oppongono duramente (in prima linea i DS bolzanini), ma alla fine cedono; e così Galasso termina lo sciopero della fame. Ora il terreno dello scontro si sposta sulla gestione del Tavolo. Terreno su cui l’abilità manovriera dei partiti, SVP in testa, non dovrebbe trovare problemi.
Solo che i giochi sono complicati da due nuovi fattori: primo, l’ingestibilità del Moet, autentica mina vagante con i suoi metodi provocatori e gandhiani, non ingabbiabile nelle tradizionali meline politicanti; secondo, la spinta della società civile a superare l’attuale sistema.
E infatti in questi giorni si susseguono i segnali di sfaldamento: il Consiglio comunale di Bolzano ha testé richiesto (favorevoli tutti i partiti, anche quelli tedeschi, tranne la SVP) l’anonimato nel censimento etnico, che sarebbe un colpo mortale al sistema dell’apartheid, perché si passa da una schedatura individuale a una normale rilevazione statistica.
Dunque, si torna alla società: è possibile che quei quattro pazzi idealisti del Moet interpretino un’esigenza vera e nuova della società sudtirolese? Proprio quella prosperata nell’apartheid foraggiato e pacifico?
Una spia importante sono i giovani, gli studenti. Ed è da loro che sta venendo una chiara richiesta di cambiamento.
Il sistema scolastico altoatesino, improntato a un rigidissimo apartheid, è un po’ barocco: ci sono due assessori provinciali all’istruzione, e tre provveditorati agli studi. Analogo il sistema di rappresentanza degli studenti: tre Consulte studentesche (il collegamento tra studenti e istituzioni - Provincia, provveditorato - che ogni paio di mesi si collega con le consulte delle altre province), una per gruppo linguistico, italiani, tedeschi, ladini.
Da tre anni le tre Consulte studentesche lavorano assieme. "La cosa è nata da un’esigenza, conoscere le discussioni, i programmi degli studenti delle altre consulte - ci dice Federica Cattoi, studentessa del liceo linguistico di Bolzano e presidente della consulta degli studenti di lingua italiana, che però parla anche a nome dei presidenti dei gruppi tedesco e ladino - Così abbiamo incominciato a incontrarci, a fare sedute congiunte, e abbiamo visto che le cose potevano funzionare, anzi andavano meglio."
Di qui la richiesta di avere una sede comune, alla fine esaudita.
Ma a quel punto sono nati altri problemi: "Da una parte la separazione in gruppi linguistici ci sembra non avere più motivazioni, ormai del tutto artificiosa. Dall’altra la nostra unità di fatto è un’autentica anomalia istituzionale che confligge con il sistema: noi facciamo riunioni, portiamo avanti programmi e iniziative congiunte; ma dobbiamo rapportarci con enti - i provveditorati - che sono separati."
Il che crea un mare di problemi burocratici (e conseguentemente economici) che compromette varie iniziative. "Per esempio l’anno scorso c’era a livello nazionale l’idea di una giornata dell’arte, in cui gli studenti potessero esprimersi nelle piazze delle città. Però i problemi burocratici, le suddivisioni proporzionali dei fondi, le necessità delle autorizzazioni di tutti e tre gli enti, hanno fatto abortire l’iniziativa. Insomma, l’abbiamo capito: nella pratica non si può fare un progetto culturale comune."
A questo punto gli studenti non si sono arresi, sono stati i primi ad approfittare delle nuove opportunità sorte con il clamore suscitato dal Moet e l’avvio del Tavolo di confronto. Hanno così presentato al sottosegretario Bressa due proposte: "Primo, unire le tre consulte. Secondo, modificare alcune parti dello statuto provinciale degli studenti, e della Legge provinciale n. 20; parti che in pratica portano, soprattutto nelle scuole tedesche, a una drastica riduzione dei diritti degli studenti in merito alle assemblee e ai rappresentanti."
Il punto nuovo - e per Bolzano dirompente - è l’unità di idee e d’azione tra studenti italiani e tedeschi. Tra i due gruppi non sembra esserci il minimo dubbio sul fatto di voler superare questa situazione di artificiosa separazione. Se una distinzione c’è, risiede nella maggior difficoltà degli studenti tedeschi a manifestare, in quanto controllati da istituzioni più rigide ed oppressive. Ma gli studenti non si sono fermati: alla riunione nazionale delle Consulte, tenuta a Fiuggi a fine novembre, hanno presentato le due proposte di cui sopra, che sono state approvate e sottoscritte all’unanimità. "Ora abbiamo un riconoscimento di tutti gli studenti - conclude Federica Cattoi - e forti di questo abbiamo presentato le nostre richieste al ministro De Mauro."