Bolzano: apartheid in crisi
Aperto a tutto campo, dopo un articolo di Sergio Fabbrini, il dibattito e gli scontri sul superamento del sistema sudtirolese. Adesso perfino la Svp...
Le incrinature del monolite Sudtirolo sono ormai palesi sotto gli occhi di tutti. "La mina sotto l’apartheid" - titolavamo un mese e mezzo fa, parlando dell’incredibile effetto destabilizzante che stavano ottenendo le azioni di protesta civile del Moet, Movimento per l’Obiezione Etnica. Era bastato lo sciopero della fame di un professore (Eugen Galasso), l’attivismo di un funzionario dello Stato che peraltro lavora e risiede a Trento (Miguel Martina) e che si fionda a fare attività politica a Bolzano, a mettere in crisi l’onnipotente e onnipresente SVP, costringendola a venire a patti con i due.
Bene, in questi giorni le scosse sismiche sono continuate, anzi hanno pesantemente incrinato il monolite. E’ bastato un articolo sulla prima pagina de L’Adige e del Mattino del prof. Sergio Fabbrini (dell’università di Trento, ancora un intervento paracadutato): "Superare l’apartheid sudtirolese". E subito si è scatenata la bagarre. O meglio, come vedremo, il confronto: aspro ma potenzialmente positivo e produttivo.
Cosa ha scritto Fabbrini di tanto sconvolgente? In sintesi, che in Sudtirolo vige un regime di separazione etnica, come l’apartheid di sudafricana memoria. E che questo è ormai superato: ha avuto grandi meriti storici, è stato decisivo nella pacificazione di una comunità aspramente divisa, ma oggi non regge più. Perché c’è l’Europa: che sta abolendo le frontiere, che non sopporta zone franche, "illiberali" al suo interno, né economie assistite. Ma anche perché è cambiata la società sudtirolese, le separazioni tra italiani, tedeschi e ladini sono sempre più artificiose; e creano un sistema chiuso, immobile, conservatore; che è prospero, ma solo perché economicamente assistito, e quindi perdente. Il Sudtirolo deve cambiare, altrimenti rimarrà inesorabilmente indietro.
Non sono tesi nuove, i lettori di QT già le conoscono nelle linee essenziali (vedi gli articoli menzionati in tabella). Ma presentate su un quotidiano di Bolzano, brillantemente sostenute da un politologo di prestigio, hanno avuto un effetto dirompente.
Sorvoliamo sulla parte più di superficie del dibattito, quella sulla correttezza del termine apartheid; il quale, rifacendosi alla situazione sudafricana, in cui oltre alla separazione vi era l’oppressione di una razza sull’altra, non poteva non suscitare reazioni anche risentite.
Venendo al cuore del problema, il dibattito ha investito il bisogno di superare il regime di separazione. E pur con accenti vari, su questa linea si è schierata non solo la quasi totalità della cultura, sia italiana che tedesca, ma anche il prete ladino e sociologo Vijo Pitscheider, esponenti importanti della politica, da Franco Frattini di Forza Italia ad Anselmo Gouthier dei DS, fino ad arrivare a prima impensabili aperture da parte della stessa SVP.
"Il fatto è che la società civile ha ormai superato il discorso della separazione - ci dice Günther Pallaver, bolzanino e docente di Scienze Politiche all’Università di Innsbruck - In tutti i sondaggi, le questioni etniche sono percepite come gli ultimi tra i problemi: solo il 5% della popolazione ritiene importante la questione della Toponomastica, attorno a cui si azzuffa il ceto politico."
Quest’esigenza di superamento delle barriere nasce dalla realtà. Già oggi, nell’economia privata, chi non è bilingue non viene assunto, se non come manovale, anche perché l’area sudtirolese gioca le proprie chances economiche puntando sull’essere terra di passaggio, intersezione tra il nord e sud dell’Europa. Ma se la società vuole andare avanti, si scontra con il ceto politico, che finora ha difeso l’immobilismo, l’ingessatura etnica. "Il caso più clamoroso è quello del gruppo italiano che vuole la scuola di immersione linguistica, per conoscere il tedesco come i tedeschi conoscono l’italiano; ma la SVP glielo vieta, in nome del mantenimento delle peculiarità etniche - prosegue Pallaver - E questo è un punto estremamente dolente, perché non può un gruppo linguistico decidere sulla cultura dell’altro; per di più quando, con la propria decisione, sancisce, perpetua un proprio importante vantaggio culturale. Questa è una problematica potenzialmente lacerante."
Bisogna rendersi conto che una tale situazione è al di fuori dei principi europei - ci dice il prof. Sergio Fabbrini - Un cittadino che facesse ricorso alla Corte di Giustizia della Comunità Europea, farebbe crollare l’intero castello. In Italia pensiamo che le battaglie vadano affrontate sul piano politico, ma la Corte ha già obbligato per esempio il Parlamento inglese, fortemente contrario, ad accettare la parità dei diritti sul lavoro tra uomini e donne. Nella costruzione europea, la Corte ha proprio questo compito: proteggere i principi della costituzione materiale dell’Europa dagli impianti nazionali quando questi sono confliggenti."
E il regime di separazione sudtirolese, accettabile quando c’era il pericolo di una guerra civile, oggi è immotivato; un’anomalia incomprensibile in un’Europa dove convivono, si muovono, commerciano, hanno gli stessi diritti, tanti popoli, etnie, lingue diverse.
C’è poi l’altro fronte, quello di un sistema economico forte, anche grazie ai risultati dello scambio tutto democristiano (nella sua accezione migliore) con cui lo Stato italiano chiuse l’epoca del terrorismo sudtirolese: noi vi diamo tanta autonomia e tanti soldi, voi state tranquilli. Sistema sociale chiuso quindi debole, in teoria; in realtà forte, ma perché assistito, dicono in tanti.
Questo l’Europa non lo gradisce. E ad allertare la Commissione Europea ci ha già pensato il Movimento Obiettori Etnici, che ha presentato un amplissimo dossier sull’economia assistita sudtirolese. "E la Commissione sta avviando una procedura d’infrazione" - ci dice il portavoce del MOET Miguel Martina. La conferma, indiretta, viene dal centro della stessa SVP, dal cuore del sistema: Toni Ebner, europarlamentare, proprietario dell’editrice Athesia, quindi del quotidiano Dolomiten e di tanto altro, ufficialmente si schiera per una revisione profonda, a partire dal sistema economico: "Cambiamo il sistema Alto Adige" - titola domenica 21 l’omonimo quotidiano: "Istituzioni, bilinguismo, contributi: sale la voglia di rinnovamento".
La SVP è in realtà un partito molto moderno, flessibile -commenta Pallaver - Cambia la situazione, cambia il partito. Al suo interno c’è chi pensa che nel futuro del Sudtirolo quello che rimarrà sarà il bilinguismo, un atout prezioso, non certo la separazione. L’SVP si adatta alle esigenze della società: da studente ho combattuto tante battaglie per l’università a Bolzano, del tutto invano. Quando la società ne ha avvertito il bisogno, la SVP l’università l’ha fatta, ha fatto sparire la separazione linguistica, ha addirittura lanciato il trilinguismo."
Su queste basi si è innestato il dibattito. A parte qualcuno che si sta ancora attardando in posizioni di retroguardia (anche nella sinistra, facendosi scavalcare dalla SVP!) ormai il problema non è se cambiare, ma come, e in quali tempi.
Un dibattito tumultuoso, e potenzialmente fecondo; soprattutto perché aperto non in una situazione di crisi, non come rivolta verso un sistema marcio; ma in una situazione di pace e benessere. Quindi un dibattito di chi sa scorgere i segni dei tempi, le esigenze di cambiamento, e intende adeguarsi. Forse siamo troppo ottimisti, ma vi scorgiamo una prova di maturità.
A fianco del dibattito si prevede il crescere di una mobilitazione popolare. Il MOET ha in cantiere a Bolzano una grossa manifestazione, un "Live Aid contro l’apartheid", con la partecipazione di grandi nomi dello spettacolo, nazionali e internazionali. Vedremo.
Intanto c’è da registrare come tutto questo non possa non investire il Trentino. Sul piano istituzionale: con l’evoluzione in corso, la Regione dovrebbe perdere ogni ruolo di tutela dei gruppi etnici per assumere quella più logica di ente funzionale, per coordinare politiche su turismo, ambiente, trasporti.
E poi sul piano economico: l’Europa, assieme ai contributi di Bolzano, metterà fuori legge anche quelli di Trento, non c’è dubbio alcuno.
C’è solo una differenza: a Bolzano si stanno attrezzando, Durnwalder ha già detto di accettare la fine dei contributi agli impianti sciistici; a Trento no, la coppia Dellai-Pinter ha pateticamente deciso di resistere alla UE; nel colpevole tentativo di prolungare di qualche annetto l’assistenzialismo economico.
A Bolzano Ebner dice che sui contributi bisogna cambiare; a Trento l’Associazione Industriali predica nei convegni ma tace nei momenti delle scelte.