Dai diritti dei gruppi ai diritti degli individui
Una sana insofferenza: per andare avanti.
A Bolzano qualcosa si muove. Forse è solo l’agitarsi di una minoranza inquieta, fatta di intellettuali particolarmente sensibili ai valori di una società libera e democratica, nella quale si dispieghi senza ostacoli il confronto civile. Ma forse è anche il primo emergere di una più vasta e sana insofferenza nei confronti di una condizione che, nel diffuso benessere economico, ingenera anche uno stato di torpore spirituale. Reinhold Messner, che ha il privilegio di potersi definire "cittadino del mondo", sferza i suoi compaesani sudtirolesi accusandoli di "sazietà" e di essere perciò impigriti ed incapaci di aprire alternative politiche. Sergio Fabbrini, da studioso distaccato del fenomeno, lo scuote con la violenza di una metafora micidiale, paragonando il Sudtirolo al Sudafrica dell’apartheid. Anche nel mondo politico sudtirolese si levano autorevoli testimonianze di una incipiente consapevolezza che qualcosa bisogna cambiare per restare al passo con la nuova Europa.
Pare anche a me che sia venuto il momento di mettere in discussione un ordinamento che, pur avendo fornito risultati eccellenti, ora sembra aver fatto il suo tempo.
Nei lontani primi anni ’60, quando mi trovai a lavorare nella Commissione nota come "dei 19", vera e propria incubatrice del secondo Statuto, sostenni due tesi che, pur riconosciute valide dal punto di vista teorico, non furono accettate come idonee a risolvere in concreto il problema che si presentava in quel momento.
La prima tesi era che le doglianze avanzate dai sudtirolesi riguardavano diritti naturali propri delle singole persone e non già del gruppo etnico o linguistico. Il diritto all’uso della lingua materna, alla propria cultura, al proprio nome, alla eguale opportunità di lavoro, costituivano una prerogativa di ciascun individuo e come tali dovevano essere garantiti singolarmente.
La seconda tesi era che, poiché l’appartenenza ad un gruppo linguistico non era verificabile con l’analisi del sangue ma dipendeva esclusivamente dalla scelta sogggettiva della persona, tale appartenenza, come tutte le scelte, doveva poter essere modificata.
Da queste due premesse discendevano alcune conseguenze importanti.
Anzitutto la normativa di garanzia doveva avere come destinatari solo i singoli cittadini e doveva quindi evitarsi di conferire un rilievo giuridico ai gruppi linguistici. Ne derivava dunque che il modello di società così prefigurata si basava su un bilinguismo generalizzato: perfettamente bilingui la pubblica amministrazione e i servizi pubblici, bilingui le scuole di ogni ordine e grado, bilingue infine la cultura e l’intera società. Il modello, per quel tempo, era forse troppo ambizioso.
Pragmaticamente si optò per un ordinamento opposto, con un sistema di garanzie che faccia perno per l’appunto sui gruppi linguistici. Si è garantita la loro presenza, in quanto tali, negli organi dell’autogoverno. Si è dato, con la proporzionale per il pubblico impiego e per i contributi, rilevanza giuridica (cioè produttiva di effetti giuridici) alla consistenza dei gruppi, si è attribuito alla scelta di appartenenza al gruppo linguistico, fatta con il censimento, un inammisssibile carattere di immutabilità decennale. Si sono create scuole separate con divieto perfino di insegnare il tedesco in quelle italiane.
E’ difficile negare che tali misure fossero, tenendo conto dello stato delle cose, nel momento in cui furono adottate, necessarie per creare la premessa di una convivenza ancora riferita ad una condizione per così dire primordiale. L’istinto di aggregazione soverchiava il sentimento di identità personale. Non a caso ancora oggi, indottovi dalla prosperità economica, il popolo sudtirolese stenta a creare diverse posizioni politiche e si riconosce in grande maggioranza nel partito di raccolta.
Oggi però si intravvedono i sintomi di una maturazione culturale che permette di cominciare a concepire il superamento di questo ordinamento, che per sua natura non poteva che essere transitorio. La convivenza e la miscela delle lingue non è più un’eccezione in Europa, anzi nella prospettiva già avviata ne diventa la regola.
La distinzione delle tradizioni culturali sta per consumarsi in una sintesi che, al seguito della integrazione economica, tende a creare un’identità più vasta, a dimensione continentale.
Ecco perché l’occasione della redazione del terzo Statuto della nostra autonomia ci offre il destro per delineare una Regione che non sia più il vacuo simbolo di una antica coazione, ma il fecondo punto d’incontro di due libere Province, e nel contempo per liberare la Provincia di Bolzano da quelle protesi istituzionali che le furono applicate per risanare le ferite inferte negli anni oscuri degli odi nazionalisti.