Il Sudtirolo di Durnvalder: è proprio quella la strada giusta?
Intervista a Luis Durnwalder: il Sudtirolo di oggi, gli indubbi successi; e i limiti di una piccola società chiusa su sè stessa e dominata da un unico partito.
Risuona sempre più spesso, in questo frastornato Trentino, l’invocazione "Se anche da noi ci fosse Durnwalder!". Un appello un po’ patetico, ovviamente figlio della nostra perdurante crisi politica, come pure - se vogliamo essere ottimisti - della dissoluzione di alcune barriere geografiche ed etniche. Ma, data per scontata l’indubbia maggior efficienza attuale del suo sistema politico, siamo sicuri che il Sudtirolo stia imboccando la strada giusta di fronte ai problemi del duemila?
A Durnwalder, oltre al carisma personale, vanno riconosciuti coraggio e lungimiranza nel ribaltare certe tradizionali posizioni di chiusura del suo partito, a partire da scelte discriminanti come quella dell’Università. Eppure, non sta tuttavia costruendo una piccola patria troppo chiusa in se stessa, e troppo condizionata e dominata dall’ente pubblico, cioè dall’establishment dell’Svp? Non vanno in questa direzione tante delle più recenti scelte? L’annaspante micro-aeroporto di Bolzano, la prossima piccola linea aerea sudtirolese, l’Enel sudtirolese, la società di cablatura Brennercom, la stessa Università nata in contrapposizione con Trento e Innsbruck, il centro pensioni regionale ecc. ecc? (Iniziative peraltro scimmiottate, con risultati patetici, da Dellai, che tenta - nella colpevole indifferenza generale - di varare tanti piccoli carrozzoni parapubblici controllati da amici e yes-men).
Nell’Europa del duemila, nell’attuale società competitiva, può trovare spazio, sul lungo periodo, una piccola comunità chiusa, con un’economia affidata ad enti parapubblici controllati per via partitica?
Di questo abbiamo parlato in un’intervista con lo stesso Durnwalder.
"Devo fare una premessa: se in Trentino si dice "Ah, se ci fosse Durnwalder!" non ci si intende riferire - in realtà - alla mia persona, che fa i suoi errori, ma al fatto che ci sia un partito, una maggioranza, che possono decidere. Anche i trentini avevano un leader, come Kessler,..."
...che poteva contare sulla maggioranza assoluta...
"Appunto. Così Dellai: non è che non abbia le mie capacità, non ha la mia maggioranza".
Dopo la premessa, parliamo del Sudtirolo...
"Prima di me ci sono state delle persone che hanno preso decisioni e fatto battaglie da cui ora noi possiamo trarre i frutti; possiamo non dare più colpe a Roma, possiamo e dobbiamo decidere. Dopo lo statuto del ‘72, abbiamo dimostrato di saper utilizzare bene le competenze dell’Autonomia.
Possiamo dire di aver raggiunto diversi risultati positivi: la convivenza tra i gruppi etnici, la trasformazione da una società agricola a una di servizi e produzione, la conservazione dell’ambiente. L’industria, che prima significava colonizzazione, oggi è un elemento portante della nostra economia; e questo, a differenza di tante parti d’Italia, l’abbiamo ottenuto preservando l’ambiente e consentendo alla gente di continuare a vivere a contatto con l’agricoltura, i villaggi, il territorio. Vogliamo impedire la concentrazione dei posti di lavoro: il nostro obiettivo è che nessuno debba percorrere giornalmente più di 25 chilometri per andare a lavorare: così si ritorna al maso, a vivere e anche a lavorarci".
Utopia o linea di tendenza?
"Linea di tendenza. Attualmente non abbiamo problemi di occupazione, e anche il problema-casa è in via di risoluzione; anche su cultura e istruzione non abbiamo concentrato gli istituti nelle città, ma decentrato, perché anche gli abitanti delle zone montuose possano scegliere il loro tipo di scuola superiore, e così possiamo aumentare la percentuale dei diplomati e poi dei laureati. Abbiamo introdotto anche l’inglese come lingua obbligatoria nelle scuole medie inferiori; e ora puntiamo alle mini lauree; e poi l’università, che non vuole essere un doppione di Trento e Innsbruck..."
Invece a Trento e Innsbruck si dice il contrario. Ora, scontata una prima reazione di difesa del proprio orto, che ha caratterizzato Trento, è pur vero che voi vi siete rifiutati di coordinare le scelte sulle Facoltà, e avete fatto dei veri doppioni, con Economia, con Scienza della Formazione, con Informatica... Non è che voi volete la cosa piccola, ma solo vostra?
"Possono anche esserci delle Facoltà uguali, ma il nostro Ateneo ha una propria caratterizzazione attraverso il trilinguismo (tedesco, italiano, inglese): per iscriversi occorre la conoscenza delle tre lingue, indispensabile per seguire le lezioni e sostenere gli esami. Noi non siamo né un recapito di Trento, né di Innsbruck; però sarebbe assurdo copiare le stesse facoltà: le abbiamo istituite dove c’era forte richiesta in loco. L’anno prossimo inizieremo con Informatica..."
Anche a Trento...
"Sì, ma finora lo hanno solo detto, non fatto. A noi serve, siamo convinti, e lo facciamo; ed è un settore in cui ci può essere una facoltà a Trento, a Innsbruck, a Bolzano: c’è posto per tutti. Noi non diremo certo ai trentini di non fare Informatica: i doppioni vanno evitati dove non hanno senso né bacino sufficiente".
Veniamo all’economia, e alle tante società parapubbliche di recente istituzione. L’Europa ha scoperto la grande convenienza (per gli utenti) della privatizzazione dei servizi, l’Italia ha chiuso tanti carrozzoni e dismesso l’Iri; il Sudtirolo sembra andare in senso contrario.
"In questa legislatura dobbiamo risolvere alcuni punti: la formazione (e ci stiamo muovendo); l’informatizzazione; l’energia; i trasporti.
Vediamo per settori. Informatica: in un territorio frastagliato e svantaggiato, dobbiamo dare la possibilità alle imprese di essere collegate. Come? La Provincia deve essere parte attiva nel realizzare le infrastrutture, per questo abbiamo costituito una società ad hoc, la Brennercom, società mista tra privati ed enti pubblici per vedere con quali altre iniziative, anche private, collegarci".
Perché questa scelta?
"Il privato non mi garantisce di coprire tutto il territorio; e chi fosse proprietario delle linee, strozzerebbe poi la concorrenza".
Ma con una convenzione si può esigere che il servizio copra tutto il territorio. In America, in tanti altri paesi d’Europa, si opera così e le cose funzionano egregiamente.
"Una cosa è la gestione, un’altra è la costruzione della rete. All’inizio deve essere parte attiva la Provincia, che costruisce la rete e poi la mette a disposizione di tutti. Le infrastrutture essenziali (come le strade) devono essere fatte dal pubblico, al privato può essere demandata la gestione".
Veniamo al settore energia. Che senso ha fare il piccolo Enel altoatesino?
"Dobbiamo utilizzare le competenze dell’Autonomia. Oggi la produzione di energia idroelettrica è di 5 miliardi di Kwh da parte di Enel e Edison; solo 700 milioni da municipalizzate e privati; e noi consumiamo 2 miliardi di Kwh. Il risultato è che da fuori utilizzano le nostre acque, vendono energia dove vogliono, e noi siamo costretti a comperarla da loro. Ora con le nuove norme siamo noi a concedere le concessioni. A questo punto stiamo costruendo società miste pubblico-private con Enel e Edison".
Ma perché mai il pubblico deve mettersi a produrre energia? Non si rischiano i carrozzoni? In un settore dove la concorrenza è internazionale, e l’energia la possono portare dalla Russia, se lì costa meno.
"In Tirolo la produzione è al cento per cento del Land, che ci guadagna parecchio;
il punto è avere ricavi nostri, che non vadano fuori provincia, e avere la sicurezza di avere energia.
Per ovviare al pericolo delle inefficienze abbiamo costituito una società che agirà come un privato. La Provincia è solo proprietaria delle azioni, la gestione è privata".
Questa è appunto la formula Iri, che dopo l’inizio ha avuto esiti ingloriosi.
"Giusto. E per questo la formula va bene per l’inizio, poi vedremo: se non è all’altezza, possiamo privatizzare. Non ci tengo a essere proprietario, tengo alla sicurezza di avere il servizio garantito a tutta la popolazione".
Esaminiamo ora un altro sintomo di società chiusa e controllata dal monopartito. La cosiddetta "fuga dei cervelli", i manager che se ne sono andati da varie istituzioni (il dottor Paolucci da chirurgia, il dottor Kronsteiner dall’azienda di promozione turistica; mentre grande disagio esprime il dottor Günther, direttore della Fondazione Teatro di Bolzano). Anche su questo interroghiamo Durnwalder.
"Non esiste il problema - ci risponde - si tratta di alcuni casi isolati, di persone licenziate perché non in grado di lavorare".
Resta il fatto che gente dall’imponente curriculum internazionale, giunta a Bolzano non riesce a lavorarvi adeguatamente.
"Questo dimostra che non è che chi venga da fuori abbia cervelli tanto migliori dei nostri: anche noi possiamo essere all’altezza. Le persone di cui si parla, qui si sono trovate male perché hanno constatato di non saper insegnare niente di nuovo. Non sono fuggiti, anzi volevano rimanere, ma – riferisco le valutazioni dei loro collaboratori - non erano all’altezza".
Non ritiene che l’attuale modello di società sudtirolese sia troppo chiusa, dominata da un partito etnico?
"Siamo una minoranza; se vogliamo mantenere la nostra identità, non possiamo disperderci in 5-6 partiti: non conteremmo più niente".
Questo era un discorso per il passato: oggi lo Stato italiano non vi è più nemico, avete un’amplissima autonomia che nessuno minaccia. E poi oggi, con l’Europa e le frontiere che svaniscono, che senso ha questo puntiglioso attaccamento al dato etnico?
"Ma cosa volete da noi, che diciamo agli elettori di non votarci? Sono liberi di votare per chi vogliono, ci sono una ventina di partiti che si presentano, e votano per noi. Dobbiamo esserne scontenti?"
E’ un discorso di prospettiva, i cambiamenti dell’Europa e della globalizzazione, si subiscono, o si governano?
"Noi siamo sicuramente aperti come i trentini o i lombardi. Sappiamo, oltre che discutere, concretizzare i programmi. Non vedo perché dobbiamo vergognarci di essere un partito forte".
Siete forti su un dato del passato, quello della minoranza circondata; come pensate di vedere il futuro?
"Noi non siamo meno aperti degli altri, sappiamo operare meglio dei trentini e di altri. Questo è il punto. I rilievi fattici sono solo dettati da invidia per questa nostra capacità operativa".
Passiamo a un ultimo discorso: voi vi siete opposti al passaggio dell’autostrada dell’Alemagna, e lei si è dichiarato contrario al prolungamento in Trentino della PiRuBi...
"Sulla PiRuBi - preciso - non ho detto né di no, né di sì. Non voglio intromettermi nei discorsi del Trentino. Però se qualcuno chiede il mio parere, dico che non posso essere contrario alla costruzione di autostrade in Sudtirolo e favorevole in Trentino. Ma è una questione trentina: facciano come vogliono".
Ma il problema dei trasporti e dell’ambiente è una questione del singolo Sudtirolo, del singolo Trentino, o non riguarda invece globalmente tutti i paesi della linea del Brennero, anzi dell’arco alpino?
"Certo, è una questione complessiva; per questo abbiamo una società, la RTC per portare i proventi dall’A22 alla ferrovia, aumentare il numero dei treni, mettersi in concorrenza con le FS, anche per costringerla a migliorare management e organizzazione".
D’accordo, ma il discorso è complessivo. I paesi dell’arco alpino dicono di avere una visione comune su ambiente e trasporti, e per operare lo spostamento da gomma e rotaia, a Roma e Bruxelles, occorre agire uniti. Se si va sparpagliati, se c’è il Trentino che rompe il fronte privilegiando ancora la gomma, dovrebbe essere un problema comune.
"Facciamo effettivamente una politica dei trasporti comune. Finanzieremo il nuovo tunnel, con i proventi della nuova concessione dell’A22. Però all’interno delle province non possiamo entrare; io non voglio che Trento si occupi dei nostri problemi, io non mi occupo dei vostri".
Quindi, in nome di questa non ingerenza, rifiutate una politica economica e ambientale complessiva...
"Noi collaboriamo per quanto riguarda le questioni complessive".