Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 5, maggio 2021 Servizi

Una imprenditoria predatoria

Storie di cave e di conflitti d’interesse

cava di porfido

A margine della vicenda di cui è stato protagonista per alcuni anni Fabrizio Trentini, nominato commissario ad acta ad Albiano per l’adozione del Piano cave il 12 agosto 1999, sull’Adige del 5 febbraio 2004 Domenico Sartori ben sintetizzava la questione centrale per il settore del porfido. “Il nodo irrisolto – scriveva – è sempre lo stesso: la prossimità, per non dire la commistione tra interessi privati e pubblici nella gestione del porfido e la difficoltà a livello locale, di governare il settore”. Affermazione che veniva fatta a conclusione della travagliata esperienza del rag. Trentini quale commissario ad acta, dopo la costituzione da parte del Comune di So.Ge.Ca., società partecipata a totale controllo comunale alla quale sono state demandate tutte le funzioni di programmazione e controllo. In mano all’Amministrazione comunale, da sempre pesantemente condizionata direttamente o indirettamente dai concessionari, sono rimasti non solo i poteri autorizzativi e sanzionatori ma anche la nomina del CdA di So.Ge.Ca. (del quale recentemente è entrato a far parte Matteo Colombini, assessore alle cave del Comune di Fornace e figlio di concessionari).

Nel 2004 Sartori poneva l’interrogativo “se l’interesse pubblico cui ha lavorato Trentini per alcuni anni” sarebbe stato ancora tutelato o se quell’esperienza fosse stata “solo una parentesi che andava chiusa al più presto”.

I fatti successivi hanno confermato le peggiori previsioni che già si preannunciavano nelle dichiarazioni dell’allora capogruppo di minoranza Aldo Sevegnani quando affermava che “se serve ancora un commissario vuol dire che qualcosa non quadra in So.Ge.Ca.”, manifestando il timore “che la Giunta provinciale nomini un commissario troppo legato ai cavatori”. Precedentemente, infatti, i concessionari non avevano mai contestato l’operato del commissario di nomina provinciale che aveva provveduto a predisporre il piano attraverso “un consulente che era ad un tempo consulente dei cavatori”.

Su quelle vicende ho avuto modo di confrontarmi (a distanza) con Fabrizio Trentini, nominato commissario ad acta quando erano rispettivamente sindaco e vice sindaco Fulvio Filippi e Tiziano Odorizzi, incarico rinnovato dopo le elezioni amministrative del 2000 (sindaco Mario Casna) causa il permanere della situazione di conflitto d’interessi e successivamente più volte prorogato fino al 31 dicembre 2003.

Una prima considerazione che Fabrizio Trentini espone rispetto a quell’incarico riguarda “la sperequazione tra l’esiguità della struttura comunale dell’Ufficio Cave e la miriade di compiti ai quali la stessa avrebbe dovuto far fronte per tutelare adeguatamente gli interessi del Comune”.

Dopo pochi mesi di pacifica convivenza, “i rapporti con i concessionari incominciarono a guastarsi – afferma Trentini – quando ho dato applicazione ad una determina del mio predecessore che fissava nel 10% l’aliquota per il calcolo del canone relativo all’anno 1999, rispetto al 7% applicato precedentemente”, quota che dall’anno 2000 egli portò al 12%, adeguandola a quella applicata negli altri comuni del distretto del porfido.

La reazione dei concessionari di fronte a tali decisioni fu immediata e il Comune si trovò sommerso da una quarantina di ricorsi al TAR che ne paralizzarono l’attività amministrativa, costringendolo a sottoscrivere il 28 febbraio 2002 un atto transattivo che “oltre ad altri benefici ed agevolazioni nella determinazione dei canoni – precisa Trentini – congelava le percentuali da applicare al valore della roccia nella misura del 10% per l’anno 1999 e del 9% dal 2000 al 2003, concludendo un periodo molto travagliato”.

All’epoca Sartori evidenziava come se fosse stata applicata la percentuale adottata negli altri comuni, vale a dire il 12%, il Comune di Albiano “tra il 2000 e il 2003 avrebbe incamerato qualcosa come 3 milioni di euro di affitti in più, che sono rimasti invece nelle casse private”. Vi pare poco?

Un’altra cosa che “disturbava i concessionari cavatori – dichiara Trentini – era la mia assidua presenza a fianco del responsabile dell’Ufficio Cave comunale per ribadire in ogni occasione che la risorsa porfido apparteneva, in primo luogo, al Comune di Albiano e quindi all’intera collettività che doveva essere tutelata nei suoi interessi”.

A questo proposito è illuminante la dichiarazione rilasciata allora dal capogruppo di minoranza che affermava come “il commissario Trentini, fino ad ora, è stato l’unico a fare fino in fondo l’interesse del Comune”. Una presenza ed una azione che evidentemente contrastavano quella “predominanza della lobby dei cavatori in ogni attività del Comune, potere che tra l’altro si è espresso nella creazione di So.Ge.Ca., - sottolinea Trentini – nella soppressione dell’Ufficio cave comunale e nella nomina a presidente di So.Ge.Ca. del perito minerario Mario Bertolini di Mori, già supremo consulente dei cavatori”.

Il Piano d’attuazione predisposto in oltre tre anni di impegno dal commissario Trentini venne di fatto ampiamente rimaneggiato e per certi versi stravolto dopo la fine del suo mandato, ripristinando quel predominio che egli aveva cercato di contrastare.

Tiziano Odorizzi, l’uomo chiave

Tiziano Odorizzi

Chi si distinse particolarmente in questa vicenda, tanto da essere definito sulla stampa di allora “l’uomo chiave” fu quel Tiziano Odorizzi che dal 1990 dominava la politica locale, prima sindaco di Albiano, quindi vicesindaco, consigliere comunale di maggioranza nei primi anni Duemila (a lui venne affidata la regia del Patto territoriale della valle di Cembra) e consigliere regionale a partire dal 2003. Egli, dopo aver attaccato aspramente in Consiglio comunale l’operato del commissario Trentini, promosse un ricorso al TAR contro la delibera di nomina della Giunta provinciale. Fu sua la spinta determinante per la costituzione di So.Ge.Ca., una Srl con socio unico il Comune “per ‘privatizzare’ la gestione delle cave e ridimensionare il ruolo del commissario”, come scriveva Sartori sull’Adige, e indubbiamente la sua vicinanza all’uomo forte della giunta Dellai, Silvano Grisenti, assessore alle Autonomie locali, deve aver giocato un ruolo importante anche nella sostituzione di Trentini (così come successivamente lo giocò nella revisione della legge provinciale sulle cave del 2006).

Negli stessi anni Odorizzi assumeva un ruolo chiave, anche se per il momento dai contorni poco chiari, in un’altra vicenda connessa all’inchiesta “Perfido” e di cui QT si è già occupato: l’acquisto della cava di Camparta in società con i fratelli Giuseppe e Pietro Battaglia (attualmente detenuti in custodia cautelare).

La vicenda si snoda parallela a quella sopra raccontata e vede gli imprenditori più potenti della valle concludere un affare miliardario (atti sottofirmati nell’isola di Man e a Vaduz, noti paradisi fiscali) con due artigiani apparentemente non alla loro altezza per quanto riguarda le disponibilità economiche. Pur avendo acquisito, infatti, una concessione a Lona-Lases nel 1994 (strategica forse per la sua trasformazione in discarica prima di essere bonificata), essi non appaiono minimamente all’altezza dei due soci Carlo e Tiziano Odorizzi (titolari della più potente holding del porfido) con i quali condividono al 50% le quote della nuova società.

Eppure in quei pochi anni, forse grazie a quei rapporti, i fratelli Battaglia entrano nell’olimpo dei concessionari e irrompono pure sulla scena politico-amministrativa locale.

A partire dal 1999 e fino al 2005 Giuseppe Battaglia siederà sui banchi del Consiglio comunale di Lona-Lases nelle maggioranze dei sindaci Roberto Dalmonego e Mara Tondini, per approdare, in quell’anno, in Giunta comunale con il sindaco Marco Casagranda che lo nominerà assessore esterno alle cave (nel 2005 entrerà in Consiglio per la prima volta anche il fratello Pietro).

Del tutto inosservata passò la condanna definitiva in Cassazione nel 2003 di Giuseppe Battaglia, reo di aver scaricato 28 mila metri cubi di materiale non conforme nella discarica di riempimento e bonifica della cava Dossi-Trentina e quasi inosservata pure l’anomalia dell’acquisto miliardario della cava di Camparta. Forse però è nel chiarimento di questi passaggi, anche in relazione all’elezione in Consiglio regionale di Tiziano Odorizzi (precedentemente la lobby del porfido era rappresentata a quel livello dal cav. Sergio Casagranda, prematuramente scomparso), che si potrebbe spiegare quel processo osmotico che nel corso degli ultimi vent’anni ha prodotto un sistema di connivenze e di convenienze reciproche che rende oggi difficile una sana reazione civile di fronte ai fatti portati alla luce dall’inchiesta “Perfido”.

Se però la presenza di organizzazioni mafiose di matrice ‘ndranghetista dovrà essere accertata da un Tribunale - e al proposito, stante le ampie relazioni e i condizionamenti, non mi sento di fare aprioristiche ed acritiche attestazioni di fiducia nella Magistratura - il conflitto d’interessi è ben documentato e rappresenta la radice storica del malaffare nel settore.

Una situazione che ha determinato la formazione e la crescita di una imprenditoria predatoria, arricchitasi a dismisura sul monopolio delle concessioni, depauperando un bene comune e ricorrendo senza esitazione a spregiudicate cointeressenze per mantenere il proprio predominio.