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QT n. 1, gennaio 2021 Seconda cover

Lona-Lases come Brescello?

Come mai 35 anni fa si seppe reagire alle prepotenze mentre oggi serpeggia la paura?

Walter Ferrari del Coordinamento Lavoro Porfido
Lases

Dopo l’uscita dei numeri di novembre e dicembre di Questotrentino, che il Coordinamento Lavoro Porfido ha pure diffuso mediante vendita porta a porta con ottimi risultati, ho raccolto alcune impressioni che proverò a sintetizzare.

Negli ambienti vicini ai concessionari, ovviamente, sta crescendo l’insofferenza verso l’inchiesta, ben espressa dalla frase che riecheggia nei bar: “Quando finirai de scriver monade?”. Pur dominando ancora il silenzio, qualcuno però esprime, non più sotto voce, una certa curiosità e aspetta già l’uscita del prossimo numero. Un ex operaio mi ha espresso la condivisibile considerazione che purtroppo in questi anni “ci siamo tutti cullati nel nostro relativo benessere individuale, trascurando di occuparci della cosa pubblica, con i risultati che vediamo”.

Qualcun altro mi ha confidato che fino a un paio d’anni fa erano in voga le cene di pesce all’Angi, a Canale di Pergine, che riunivano intorno allo stesso tavolo la crema della nostrana imprenditoria di Fornace e la compagine calabrese guidata dai fratelli Battaglia. Imprenditoria nostrana che era certo consapevole di avere a che fare con personaggi ancora legati al loro passato non proprio limpido, ma allo stesso tempo vincolata all’omertà da quelle che Andrea Gottardi, in veste di presidente della sezione autotrasporto di Confindustria, aveva definito “movimentazioni finanziarie in nero” (nel 1986 un noto imprenditore venne condannato in primo grado per un pagamento in nero con valuta straniera pari a 135 milioni di lire). Per questo nel settore del porfido, nonostante tutto, nessuno in questi anni ha raccolto l’appello a “non intrattenere rapporti commerciali con le imprese che fanno capo alle organizzazioni malavitose”, che Gottardi lanciò nel 2011, quando coraggiosamente denunciò per primo le infiltrazioni della ‘ndrangheta.

Ho raccolto però anche una voce di protesta in merito a quanto da me scritto sulle comunità in ostaggio, che mi ha fatto notare come il silenzio di oggi derivi anche dalle scelte fatte vent’anni fa, responsabili di aver dissipato quella tradizione “resistenziale” che costituiva il tratto distintivo dei “lasesi franzesi”.

Il mio interlocutore afferma che lì va cercata la spiegazione per cui 35 anni fa la comunità di Lases seppe reagire energicamente pur di fronte ad atti violenti, mentre oggi serpeggia la paura, e mi ha invitato a ripercorrere criticamente un pezzo di storia locale quale unico modo per ricostruire la credibilità infranta, ed è quello che cercherò di fare.

Cominciano le intimidazioni

Effettivamente quando nel 1984-85 l’amministrazione comunale di Lona-Lases sfuggì di mano ai concessionari, tra l’altro nel momento in cui il loro uomo forte, il cavalier Sergio Casagranda, aveva da poco messo piede in Consiglio provinciale, la reazione fu assai rabbiosa. Tanto più che la nuova amministrazione guidata da Vigilio Valentini raddoppiò in pochi anni le entrate comunali derivanti dai canoni cava. Un boccone amaro da mandar giù per chi da 15 anni spadroneggiava senza rivali e che diede la stura a minacce, ricatti, pressioni, ritorsioni ed atti intimidatori. Si andava dalle minacce verbali a quelle telefoniche, dalle lettere anonime ai ricatti occupazionali; io stesso non ricordo nemmeno quante telefonate, lettere anonime di minaccia e minacce a viso aperto ricevetti durante la prima amministrazione Valentini. Questo anche in virtù del fatto che nel 1985-87 (assieme a mia moglie) collaboravo con QT, rendendo così di dominio pubblico molte storie di prevaricazione, conflitto d’interessi e malaffare che caratterizzavano il settore del porfido, collaborazione a cui dovetti por fine proprio a causa di una situazione che si era fatta quasi insostenibile, grazie anche al sistematico disinteresse da parte delle locali forze dell’ordine.

Signora, mi dispiace ma si deve abituare”, fu allora la risposta del maresciallo dei Carabinieri di Albiano a mia moglie quando si recò in caserma per denunciare di aver ricevuto una pesante lettera minatoria, indirizzata anche al sottoscritto e all’allora sindaco Vigilio Valentini.

Nei primi mesi del 1986, dopo il franamento della mega discarica del Graon, fui minacciato a viso aperto da un concessionario proprio in relazione ad un articolo su QT; successivamente comparvero, sulla strada provinciale che conduce in paese, delle scritte a caratteri cubitali con epiteti nei confronti miei e del sindaco e venne perfino fatta girare la falsa notizia di una mia bastonatura, con evidenti fini intimidatori verso terzi, che ricorda molto i propositi esternati da qualcuno degli attuali arrestati. Il culmine venne raggiunto il 23 aprile 1986 con l’incendio dell’automobile dell’assessore alle cave e il successivo 23 agosto con il brillamento di una carica di esplosivo nelle vicinanze della sua abitazione.

Ebbene, ci abituammo a tal punto a quel clima avvelenato da non avvertire nemmeno il salto di qualità rappresentato appunto dall’incendio di un’automobile, cosicché nemmeno sospettammo potesse esserci dietro una mano esperta (vedasi il sistema della diavolina citato nell’ordinanza del GIP dell’operazione “Perfido”).

Mentre il Comitato popolare di Lona-Lases, che sosteneva l’amministrazione comunale, era fatto oggetto di interessamento da parte dei Carabinieri di Albiano, nessuna iniziativa veniva intrapresa per appurare chi stava dietro quegli atti, mandanti ed esecutori, almeno fino al 28 agosto, quando una perquisizione operata dal Comando compagnia CC di Cavalese portò ad alcune denunce.

Tale intervento indusse mandanti ed esecutori ad una maggiore prudenza e mentre i concessionari avviarono una interminabile serie di cause legali (tutte vinte dall’amministrazione comunale), sotto traccia intimidazioni e ricatti continuarono, senza però spingersi oltre un certo limite.

L’atto più clamoroso fu il licenziamento di Graziano Ferrari (consigliere comunale di maggioranza) all’inizio del secondo mandato dell’amministrazione Valentini. Fu in quegli anni che, in una concitata discussione, a qualcuno scappò la frase: “Di’ a tuo marito di stare attento che noi abbiamo la mafia!” (bersaglio della minaccia era l’allora presidente Asuc); sarà stato per millantare, ma quando mi fu riferita quella frase rividi molti dei fatti accaduti in una luce diversa.

La “normalizzazione”

Probabilmente quelli furono anche gli anni dell’opzione definitiva in favore di una penetrazione lenta, quasi invisibile, una specie di osmosi non solo nei confronti del mondo imprenditoriale ma anche sul versante politico-amministrativo. Il fuoco e la dinamite avevano mostrato qual era il potenziale di violenza a disposizione e ciò bastava. La normalizzazione giunse nel 1995 con l’elezione a sindaco di Roberto Dalmonego, nella cui lista candidava per la prima volta un quasi sconosciuto quanto enigmatico artigiano di nome Giuseppe Battaglia, primo dei non eletti, entrato in consiglio comunale sul finire della consigliatura per la surroga di un dimissionario.

I primi passi nel mondo imprenditoriale dello stesso erano stati la costituzione della ditta Battaglia Giuseppe & C. Snc nel 1989, trasformata in Autotrasporti Battaglia Giuseppe & C. Snc nel 1993 (socio Sebastiano Macheda). Poi, nel 1993, la costituzione della ditta Battaglia Giuseppe & C. Srl, trasformata nel 2001 nella Pietre Naturali Macheda Srl (titolare Innocenzio Macheda) e nel 1994 la Porfidi Dossi Sas di Battaglia Pietro & C., di cui divennero soci i fratelli Battaglia e Domenico Fortugno.

I due soci originari di Lases cedettero con la ditta anche la concessione, ovviamente “sotto banco”, e questo fu per i “nostri” probabilmente il primo grosso affare fatto con i soldi provenienti dalla Calabria: pecunia non olet! Proprio la bonifica della ex cava trentina, tra la fine degli anni ‘90 e i primi anni 2000, aveva evidenziato la propensione a comportamenti non proprio rispettosi delle regole da parte di Giuseppe Battaglia che, unitamente al fratello Pietro e al legale rappresentante della Impresa Costruzioni Edili di Sonn Fabio & Co. Snc, venne condannato nel 2008 in via definitiva per aver scaricato nel riempimento della cava rifiuti speciali non pericolosi e non scarto di porfido come previsto dal progetto autorizzato (Cassazione penale sez. III, udienza 12.06.2008).

Ma in quel momento in Comune c’erano tutti e due i fratelli Battaglia, Giuseppe come assessore esterno alle cave e Pietro come consigliere nella maggioranza del sindaco Marco Casagranda, con vice sindaco Ezio Casagranda (segretario comunale ad Albiano) e la cosa passò inosservata. Anche perché nel frattempo i fratelli Battaglia erano inaspettatamente entrati nell’olimpo dei concessionari, con l’acquisto nel 1999 della cava di Camparta, in società con i cugini Carlo e Tiziano Odorizzi.

Dall’inizio degli anni 2000 i fratelli Battaglia sono stati quasi sempre presenti nelle amministrazioni comunali o in quelle frazionali a Lona-Lases, e quando ciò non si è verificato essi comunque erano gli sponsor più o meno occulti dei sindaci che si sono succeduti, da Marco Casagranda a Roberto Dalmonego.

Anche per lo scrivente, a questo punto, è necessario fare autocritica per essersi limitato a farsi da parte senza contrastare attivamente una tale deriva.

Sta di fatto che la tattica incruenta di Giuseppe Battaglia aveva dato i suoi frutti, costruendo un rapporto simbiotico con i maggiorenti locali e neutralizzando ogni opposizione, fino a rendere Lona-Lases simile al paese di Peppone e don Camillo!