La gestione delle cave, dai Comuni alle Asuc Dalla padella alle brace?
I motivi, altrimenti incomprensibili della decisione della Giunta Fugatti
Quale il senso del decentramento deciso dalla Giunta provinciale, con la gestione delle cave affidata alle Amministrazioni separate di uso civico (Asuc)?
Innanzitutto occorre precisare che la porta aperta per tale intervento è stata lasciata dalla revisione legislativa voluta nel 2017 dall’allora assessore Olivi, prevedendo appunto la possibilità per le Asuc di gestire le cave, salvo però lasciare la norma inattiva causa l’assenza del regolamento d’attuazione. Ciò che la Giunta Fugatti ha fatto è andato in realtà oltre le intenzioni di Olivi (che nelle sue dichiarazioni parla di bluff), modificando la legge per parificare le Asuc ai Comuni, anziché accontentarsi di stabilire i poteri delle Asuc mediante un regolamento attuativo.
Quali possono essere state dunque le ragioni che hanno indotto la Giunta provinciale ad affidare le competenze ad un ente quasi privo di struttura amministrativa?
Per cercare di comprendere occorre intrecciare gli effetti che avrà questa decisione con le recenti vicissitudini di Lona-Lases, comune nel quale la Procura ha individuato una presunta “locale di ‘ndrangheta”.
A Lona-Lases, in questo momento, tutte le concessioni della zona estrattiva Pianacci hanno esaurito il tempo concesso dall’ultima proroga, avvenuta nel 2010, anche se per la verità solo la Avi e Fontana (controllata dai fratelli Bertuzzi di Albiano) è rimasta attiva fino a pochi giorni fa. Si è esaurito il tempo, ma non il materiale. In gran parte ancora lì, pronto ad essere estratto, era suddiviso in 5 lotti che ora sono stati riuniti in un unico macrolotto, sicuramente comprendente il miglior giacimento del Comune e uno dei più ambiti della zona.
Però il Comune di Lona, a causa delle rivelazioni dell’inchiesta “Perfido”, rischia, per la seconda volta (la prima fu nel 1985), di sfuggire al ferreo controllo del locale “comitato d’affari” nel quale, è bene sottolinearlo, si sono finora interfacciati interessi legati al mondo del porfido ed interessi legati alle cosche. Per scongiurare questo esito si sta cercando di evitare in tutti i modi l’invio di una commissione d’accesso, che accerti l’esistenza o meno delle condizioni per un commissariamento per infiltrazione mafiosa. Un’onta da evitare a tutti i costi, innanzitutto in nome di un ipocrita presitigio della nostra Autonomia, e poi per mantenere nascosti rapporti d’affari imbarazzanti, che nel corso degli ultimi quarant’anni hanno legato i soggetti imputati per “associazione a delinquere di stampo mafioso” e “riduzione in schiavitù” dei lavoratori, ad esponenti locali dell’imprenditoria e della politica, trentini doc. Tanto che, nonostante le richieste avanzate da più parti e sostenute anche dal presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, ancora una volta nei giorni scorsi si è evitata una tale decisione, dopo ben tre tentativi elettorali falliti ed una gestione commissariale assai discutibile, incaricando quale nuovo commissario l’ex questore di Trento Alberto Francini.
Ed ecco quindi la nuova norma, con la quale potrebbe non essere più il Comune a stabilire la procedura attraverso cui affidare in concessione il nuovo lotto unico, i criteri con cui stabilire il valore del porfido e quindi il canone posto a base della gara d’assegnazione. E ancora: spetteranno all’Asuc e non più al Comune, “le attività di vigilanza e controllo sulle aree estrattive” previste dall’art. 27 della L.P. 7/2006 (regolare versamento del canone, comunicazioni obbligatorie, ecc.) così come “assumere i provvedimenti di decadenza e revoca della concessione nei casi previsti dall’art. 28”.
Si tratta di verifiche e provvedimenti ai quali i Comuni si sono sistematicamente sottratti per anni, con la motivazione che non avevano il personale necessario e le competenze adeguate. Ricordiamo che c’è voluta una raffica di esposti da parte del Coordinamento Lavoro Porfido nel 2015, affinché tali enti iniziassero le prime timide verifiche, rese effettive solo a Lona-Lases grazie all’impegno del segretario comunale dott. Galvagni. Per non parlare dei provvedimenti conseguenti a reiterate inadempienze, sempre ostacolati da tutte le amministrazioni locali; e laddove si è giunti alla sospensione o decadenza dell’autorizzazione è stato, ancora una volta, in seguito agli esposti del C.L.P..
Una situazione quindi di diffuso ostruzionismo all’applicazione della legge. Che ora verrebbe ulteriormente incoraggiato da questo passaggio di competenze alle Asuc, delle quali, ad esempio, proprio quella di Lases è rappresentata da un comitato di cinque persone tutte elette nella stessa lista e un segretario a 12 ore a settimana, oltre tutto un frequentatore dell’associazione Magna Grecia, assunto senza alcuna selezione e formatosi non nella facoltà di Giurisprudenza ma alle dipendenze, quale ragioniere, di una assai discussa ditta del porfido.
D’altra parte occorre considerare che il terreno per una simile scelta era già stato preparato proprio a Lona-Lases da Roberto Dalmonego (il sindaco accusato da “Perfido” di voto di scambio politico-mafioso) quando nel 2018, passato dalla carica di presidente Asuc a quella di sindaco, ha disdettato la convenzione stipulata tra i due enti per la gestione delle cave. Questo, senza che il suo successore a presidente Asuc, quel Manuel Ferrari che nel 2020 gli succederà anche come sindaco, battesse ciglio.
Così facendo si mantenevano le concessioni attive in un limbo per quanto riguardava la potestà dei controlli e questo spiega anche l’inerzia di entrambi gli enti rispetto alle inadempienze del concessionario del lotto 5 (peraltro documentate anche dai media, prima da TrentoToday e pochi giorni orsono da il T ).
Probabilmente ci si preparava alle decisioni recentemente assunte dalla Giunta provinciale, in modo tale da bypassare, se necessario, il Comune e il controllo di legalità a cui tale ente è sottoposto dalla sua struttura amministrativa, segretario in primis. Mossa che si è rivelata assai azzeccata in questo frangente nel quale il locale “comitato d’affari” fatica a riconquistare il controllo del Comune.
Proprio alla luce dell’indagine “Perfido” e delle prime risultanze processuali (condanna in primo grado con rito abbreviato di Saverio Arfuso per “associazione a delinquere di stampo mafioso”), sarebbe stato più logico portare la gestione delle cave ad un livello superiore, al fine di sottrarre le decisioni, i controlli e gli eventuali interventi sanzionatori, alla discrezionalità di enti locali, fin qui condizionati dalla potente lobby di cui abbiamo parlato.
E d’altronde non è sostenibile (come ha fatto il presidente dell’Associazione provinciale delle Asuc Roberto Giovannini in un’ intervista all’Adige del 16 novembre) che le Amministrazioni di Uso Civico costituiscano di per sé una garanzia: ricordiamo come due degli imputati per “associazione a delinquere di stampo mafioso” siano riusciti ad occupare posti chiave in entrambe le amministrazioni, assessore esterno alle cave del Comune dal 2005 al 2010 il primo e responsabile cave dell’Asuc dal 2011 al 2016 il secondo.
Come si spiega dunque la decisione della Giunta Fugatti se non con la capacità di condizionamento a livello provinciale della potente lobby del porfido?
E d’altronde la maggioranza guidata da Fugatti è la stessa che in Consiglio Provinciale ha bocciato la proposta del consigliere Alex Marini di un Osservatorio sulla criminalità organizzata per proporre ora un surrogato dello stesso sotto lo stretto controllo della Giunta provinciale.
Forse sarebbe il caso di meglio valutare gli “apprezzamenti” nei confronti di Fugatti espressi dal presidente della Commissione antimafia al termine delle audizioni svoltesi a Trento lo scorso mese di maggio.