Ciao, Walter
Ricordo del nostro redattore ed amico Walter Micheli, improvvisamente scomparso. I rapporti di QT con il Micheli politico ai vertici della Provincia, con lo studioso, con il cittadino impegnato, con il redattore. Attraverso 25 anni di storia del Trentino, vissuti da appassionato e disinteressato protagonista.
Era una fredda sera del dicembre ’93. Nel palazzo della Provincia, vuoto a quell’ora, al piano nobile dove stavano gli uffici più prestigiosi, intervistavo Walter Micheli, ancora vice-presidente, seppur in prorogatio: si erano svolte le nuove elezioni, cui Micheli non aveva partecipato, ma non si riusciva a formare la nuova Giunta, e nell’interregno, le cariche rimanevano occupate dagli uscenti. Il buio e la neve fuori, i corridoi vuoti dentro, davano fisicamente l’idea di una fine. Ne parlai con Walter, cui già mi legava un rapporto di amicizia; un sentimento che mi permetteva domande più personali: "E adesso? Non ti mancherà tutto questo, il potere, la notorietà, la possibilità di realizzare quello in cui credi?" La risposta fu prevedibile ("No, proprio no... - e scuoteva la testa - troverò altre maniere..."), ma espressa con tale soave convinzione, con un sorriso così dolce e sicuro, che disarmava. "Mah, vedremo" pensai, colpito da tanta serenità ma non convinto; tutti dicevano così, e poi... E invece sbagliavo a fare lo scettico. Nei 15 anni che seguirono Micheli continuò ad essere un attore della scena pubblica locale; ma dalle seconde file, e senza alcuna smania, né rimpianto, né men che meno rancore, per non essere più nelle prime.
Negli anni successivi, col lavoro comune al giornale il rapporto e l’amicizia si fecero ancor più stretti, ma mai mi accadde di ricordargli quel nostro discorso e il mio scetticismo. Non perché me ne vergognassi, ma perché l’argomento era troppo ovvio: che la partecipazione alla cosa pubblica sia contemporaneamente un dovere etico e un piacere intellettuale, a prescindere dal potere, il prestigio, gli incarichi, orpelli secondari, era una convinzione che lui praticava tutti i giorni. E gli permetteva di non avere neanche l’ombra di un rimpianto per un potere non più suo. Il che gli consentiva di essere magari civilmente indignato, ma personalmente sereno, anche quando vedeva i suoi successori distruggere pezzo dopo pezzo quello che lui aveva costruito.
Il lungo rapporto tra Questotrentino e Walter aveva cominciato a farsi significativo con la sua nomina a vicepresidente, uomo di punta dei socialisti pervenuti al governo provinciale. Era il 1985 e il Trentino era sotto shock per la strage di Stava, interamente imputabile all’incuria del territorio e all’inettitudine degli organi di controllo. Una svolta si imponeva, nella cultura ambientale e nell’organizzazione della macchina burocratica: Micheli, assessore all’urbanistica e all’ambiente, doveva esserne il motore.
"E ora, dalle parole ai fatti" titolò Questotrentino del 1° novembre di quell’anno. In particolare, per testimoniare la svolta, ponevamo tre decisioni come discriminanti: l’alt all’Arcoporto, operazione immobiliare che intaccava la splendida area verde a ridosso di Torbole tra il Monte Brione e il Passo S. Giovanni; lo stop alle centraline sui ruscelli di montagna, economiche solo grazie ad avventati contributi statali, in realtà operazioni di stravolgimento ambientale a fronte di irrisori approvvigionamenti energetici; il no alla PiRuBi, anche allora supportata da confusi lobbysmi.
Micheli non solo prese e mantenne le tre (non facili) decisioni: pubblicamente dichiarò che, in accordo con il nostro editoriale, esse erano l’emblema di un nuovo approccio al territorio.
In effetti la sua azione fu vasta e profonda; e configurò davvero il Trentino come "laboratorio" cui il resto della nazione poteva guardare come punto di riferimento. Obiettivo che peraltro, in genere a vanvera, si continua a prospettare.
I suoi punti di riferimento erano da una parte la cultura del territorio trasmessa nei secoli attraverso istituti come gli Usi civici o le Carte di Regola; dall’altra il suo aggiornamento attraverso la ricerca mirata: come dopo il 1882, con l’alluvione che aveva allagato Trento, quando si diede il via alle scienze forestali e alla manutenzione dei rivi montani, o per altro verso alla creazione dell’Istituto Agrario di San Michele, per fornire di basi scientifiche l’agricoltura di montagna.
Questa era una delle fondamentali idee guida di Micheli: ricercare nella storia trentina quelle che lui chiamava le "bussole" culturali che permettessero alla popolazione di orientarsi nei nuovi contesti. Il politico doveva fondere storia e futuro, riferirsi a queste bussole, e utilizzarle per far capire e creare consenso attorno alle nuove scelte.
Seguendo questi principi, e avvalendosi di apporti tecnici e culturali da tutt’Italia, Micheli varò una complessa nuova legislazione: Pup, legge urbanistica, Valutazione d’Impatto Ambientale, aree a rischio, biotopi, parchi. Mobilitando attorno ad essa l’adesione convinta della struttura provinciale, alla ricerca del riscatto post Stava; e il consenso della popolazione, ricercato e raggiunto – pur se solo maggioritario, non unanime – attraverso una serie di incontri ed assemblee, talora anche molto vivaci.
Il Trentino era qualcosa cui da tutta Italia si guardava con interesse.
Era la primavera dell’86 quando accadde la catastrofe di Cernobyl nella lontana Ucraina, con la fusione di un reattore nucleare e la nube radioattiva iniziò a diffondersi per l’Europa. I telegiornali ironizzavano sull’informazione dei Paesi comunisti, con la Tv sovietica che parlava di "dimezzamento del livello di radioattività nelle ultime 24 ore senza però – sorriso di scherno del mezzobusto – rivelare quali siano questi livelli di radioattività". Poi la nube arrivò anche da noi. E lo stesso mezzobusto ci rivelava che "in Nord e Centro Italia i livelli di radioattività dell’aria si sono dimezzati nelle ultime 24 ore", anche lui senza parlarci di quali e quanto pericolosi fossero questi livelli. E il cittadino si sentiva sperduto.
C’erano dibattiti pubblici, ansiosi e animatissimi. Ma anche in Trentino l’informazione sui pericoli cui si andava incontro era poco o punto trasparente. Micheli, come assessore all’ambiente, era a capo del gruppo di crisi che gestiva l’emergenza. Dal telefono pubblico nell’atrio della scuola in cui insegnavo lo chiamai, esprimendogli la mia contrarietà per quel black out informativo: una telefonata di mezz’ora, molto animata: lui che sosteneva la necessità di non creare allarmismi, io che dicevo che proprio non informando si allarmava, né si riusciva a trasmettere fiducia sui provvedimenti da assumere. Dopo che entrambi alzammo la voce (più io che lui, dati i rispettivi caratteri), alla fine si convinse e diede la più completa pubblicità ai dati che la Protezione Civile stava raccogliendo.
Fu un meccanismo virtuoso: QT, proprio perché giornale non allineato, aveva l’autorevolezza per diffondere dati complessi e ragionarvi sopra, fu molto letto, e molto ripreso; la popolazione capì la reale entità del pericolo (seria ma non drammatica), e collaborò alle contromisure (in particolare contadini e allevatori, che unici in Italia non alimentarono i bovini con fieno contaminato, evitando che lo iodio radioattivo finisse nel latte).
Sei anni dopo il prof. Renzo Leonardi, docente a Fisica e nel 1986 responsabile scientifico del gruppo di crisi, mi chiamò: "Ho dei dati interessanti". Mi fece vedere dei grafici, sull’andamento di alcune patologie tumorali negli ultimi anni: in Italia si aveva un’impennata dei casi nel ’91, cinque anni dopo la nube radioattiva, in Trentino il grafico non subiva variazioni. "E’ arbitrario trarre conclusioni troppo nette – avvertì – Ci possono essere tante cause che concorrono a certi risultati. Però una cosa posso dirla: credo proprio che, ognuno per la sua parte, io, te e Micheli, abbiamo fatto una cosa buona".
Aveva ragione Leonardi: sarebbe sciocco attribuirsi dei meriti per quella quindicina di tumori in meno che il Trentino registrò nel dopo Cernobyl. Di certo, comunque, il vice-presidente della Giunta Provinciale che sta ad ascoltare il professorino che lo chiama da un telefono pubblico, cambia idea e decide di dire tutta la verità alla popolazione e di coinvolgerla in non semplici provvedimenti di tutela della salute pubblica, è un caso di rapporto esemplare con la società civile, quale raramente capita di vedere.
L’esperienza al governo di Micheli non finì bene. Il PSI nazionale fu travolto da Mani Pulite; quello trentino, uno dei pochi in Italia a risultare estraneo a giri di mazzette, subì il contraccolpo delle incriminazioni, carcerazione, condanne di Mario Malossini. Subentrato ad Angeli alla presidenza della Giunta, Malossini, dopo una serie di episodi che rivelarono un degrado allarmante nella gestione della cosa pubblica, fu alla fine riconosciuto colpevole di corruzione e ricettazione. E se Malossini era presidente, Micheli ne era il vice. In una Giunta di cui anche un altro assessore – Vigilio Nicolini – fu colto con le mani nel sacco.
Walter, cosa è successo?
"Mi occupavo delle questioni poste sul tavolo, e quelle erano tutte pulite – rispondeva – Non sapevo quello che accadeva sotto il tavolo. La mia responsabilità è stata nel non sospettare, nel non andare a guardare". Un eccesso di fiducia insomma, verso le persone con cui lavorava.
La pulizia dei socialisti trentini, passata al vaglio della magistratura, e in particolare la cristallina onestà di Micheli, convinse la grande maggioranza. Convinse senz’altro noi, di Questotrentino, pur giustizialisti e autori delle inchieste che avevano portato Malossini prima al discredito, poi al carcere. Continuò comunque ad esserci chi, per personale convinzione o per qualche triste convenienza, avanzava dubbi su quella mancata attenzione ai traffici "sotto il tavolo", dove "Micheli è stato troppo attento a non guardare" o addirittura "senz’altro ha visto, ma ha fatto finta di non vedere".
La convinzione della propria onestà permise a Walter di rimanere sereno: "Ho sbagliato a fidarmi, è vero; ma niente di più". Però, quella stessa onestà gli faceva vivere male questi giudizi. Che gli pesavano, e molto.
Vennero quindi le elezioni del ’98, che sembravano aprire nuove possibilità alla sinistra, che era andata al governo l’anno prima, con la presidenza Andreotti, e in pochi mesi aveva dato un’impronta innovatrice a una legislatura altrimenti inutile, lavorando con passione in particolare attorno alle riforme istituzionali e della scuola. Passata per una serie di piccole vicende all’opposizione, si presentava all’appuntamento elettorale con l’ambizione di aprire una nuova stagione. In quest’ambito fu proposta la candidatura a Micheli, che, tornato assessore, avrebbe dovuto dare nuovo slancio alle politiche ambientali. Micheli accettò.
Le cose però andarono in altro modo. Nel centro-sinistra prese quota la candidatura a presidente di Dellai, cui la debole dirigenza diessina si inchinò. E Dellai aveva – come si sarebbe visto poi - una confliggente concezione dell’ambiente, da usare come materia di scambio nei rapporti con le clientele di valle: tu mi dai i voti, io ti faccio costruire in zona protetta. Evidentemente questo non sarebbe stato possibile con un Micheli assessore: di qui una strisciante campagna di delegittimazione: "Ha una visione arretrata, vincolista".
I vertici diessini, dalle deboli convinzioni e dalla fragile spina dorsale, si adeguarono: in un’intervista Micheli fu definito "un candidato ingombrante". Lui il giorno dopo ritirò la candidatura.
Ma non si ritirò sull’Aventino. Studiò, scrisse libri; ma continuò anche a partecipare attivamente alla vita politica e culturale. Fondò prima un’associazione, "Osservatorio e Ambiente", di studio e analisi critica delle politiche ambientali; poi un movimento politico, Costruire Comunità.
Si susseguirono le conferenze, gli incontri. Al movimento aggregò personalità come Gregorio Arena e Vincenzo Passerini, e tanti altri. Il cuore del discorso era da una parte la critica alle nuove politiche ambientali che Dellai stava imponendo; dall’altra il progressivo degrado cui andava incontro la sinistra. Il momento in cui questa azione di semina culturale sembrò dare i maggiori frutti fu quando il segretario dei DS Mauro Bondi sfidò Dellai sul via libera agli impianti in Val Jumela, nell’ottica di orientare la politica turistica verso un modello più sostenibile e lungimirante. Dellai era anche pronto a cedere, ma i maggiorenti DS, timorosi per le poltrone, cedettero prima, e convinsero/costrinsero Bondi ("Chissenefrega della Jumela!") a fare marcia indietro. Dellai stravinse e da allora i diessini si ridussero al ruolo di quaquaraquà.
Micheli proseguì nel suo lavoro, su un piano indipendente dalla sinistra partitica. I riscontri culturali furono sempre notevoli, dibattiti appassionati con centinaia di partecipanti; ma la traduzione politica rimase esile. Probabilmente mancava a Costruire Comunità una proposta complessiva; non bastava il discorso sull’ambiente e quello sulle istituzioni, in particolare era assente una visione dell’economia. In un paio di occasioni gliene parlai: "E’ vero. Ma io arrivo fin dove posso e so. – allargò le braccia – Conosco i miei limiti. Dovremo trovare nuove competenze...".
Forse anche lo stesso ambientalismo doveva essere aggiornato. A fianco di quello tradizionale, incentrato sul "senso del limite", che vuol dire cura, tutela, amore per il territorio, si sarebbe dovuto aggiungere - anche di questo parlammo - quello del futuro, che in un pianeta affollato da tre miliardi di nuovi consumatori doveva preservare i beni essenziali - acqua, aria, energia - coniugando ambiente e scienza, comportamenti sociali e nuove tecnologie, attraverso il risparmio energetico, il riciclo dei rifiuti, le energie rinnovabili... A fianco del Micheli esperto doveva venire un Micheli giovane.
Ma queste competenze non furono trovate; e Costruire Comunità lentamente si esaurì.
In parallelo, Micheli dava un grosso contributo a Questotrentino, nella cui redazione entrò ufficialmente nel novembre del ’98, dopo anni di collaborazione esterna. Il suo apporto in questi dieci anni è stato decisivo: in termini di capacità di analisi, conoscenza di dati e persone, equilibrio di giudizio. Non scriveva tanto di suo (quattro-cinque articoli all’anno), ma dava anima e spessore al dibattito redazionale, che portava ad articoli di altri. Era un interlocutore ideale: discutere con lui non significava dire entrambi le stesse cose, o al contrario rimanere sulle proprie posizioni; bensì confrontare le idee, arricchirle, senza alcuna remora a modificarle, perché non c’era nessun "io" da affermare attraverso tenzoni dialettiche, ma una miglior conoscenza da raggiungere insieme.
Se in questi anni molte analisi del giornale si sono rivelate centrate, molti giudizi premonitori, gran parte del merito è sua.
Ed ha avuto anche un’altra grande capacità: interloquire positivamente col gruppo di giovani che negli ultimi anni si sono avvicinati al giornale (come essi testimoniano in altri articoli), fungendo da indispensabile ponte tra l’esperienza e la novità. Anche a QT Walter ha seminato per il futuro.
Mancherà a noi. Mancherà al Trentino.