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Un percorso non concluso

Walter Micheli e la storia del socialismo trentino.

Il librodi Walter Micheli “Il socialismo nella storia del Trentino” (il Margine, 2006), a una prima lettura, lasciò qualche insoddisfazione in chi avrebbe desiderato una maggiore generosità autobiografica, in aggiunta alla scrupolosità della documentazione e alla serietà della ricostruzione critica. Un io esplicito compare solo nella bella pagina introduttiva, "Il segno di una storia": ma poi lo scrivente si fa storico anche di se stesso, nominandosi per l’indispensabile ma in terza persona.

La scelta dell’autore era forse obbligata, per assicurare al libro un’architettura lineare e solida, ma in essa si riflette uno stile personale rifuggente dal protagonismo. E tuttavia, in quelle pagine date alle stampe un anno e mezzo fa, Micheli ci consegna anche, a ben guardare, un essenziale autoritratto. Non c’è inflessione nostalgica, in quello che scrive, ma si avverte che quella storia delimitata tra un’origine e una fine per lui non è conclusa, se non sotto il profilo della continuità organizzativa. Delle idee che l’hanno informata (meglio, di idee come quelle) c’è sempre bisogno, per una politica che abbia il respiro vasto e i tempi lunghi di una grande azione riformatrice. E come di idee ispiratrici, c’è bisogno di buoni maestri.

Nella storia del socialismo trentino (e della più vasta costellazione di posizioni democratiche e laiche cui è inestricabilmente connessa) Micheli riconosce modelli la cui lezione morale e politica non è ancora esaurita: Cesare Battisti, le donne e gli uomini di una tenace tradizione battistiana che attraversa gran parte del ‘900, Giannantonio Manci e i suoi compagni nella Resistenza. Non eroi da celebrare, né autorità dogmatiche, ma termini di paragone, segnali dell’altezza cui deve puntare l’impegno politico e civile, in coerenza a una concezione modernamente umanistica. Il Battisti cui qui si guarda non è il martire di una sola patria, ma piuttosto (come per Claus Gatterer) il protagonista di una lotta per la libertà e per la democrazia che riguarda tutti, radicato nella battaglia autonomistica dei socialisti austriaci per la riforma dell’Impero non meno che nel pensiero risorgimentale italiano.

Le parole chiave di questo Battisti sono quelle dell’arduo binomio patria e socialismo, ma anche altre. Innanzitutto il Trentino inteso come terra, studiata e amata nella sua fisica concretezza. "Percorrevamo con le ‘guide’ di Battisti il Trentino di inizio secolo con i suoi boschi, le sue malghe e i suoi borghi, un procedere di ricerche e di conoscenze che rimase per molto tempo insuperato. Straordinaria documentazione di rispetto e di affetto per la terra di cui si trovò a rappresentare il popolo nelle organizzazioni sociali e nelle istituzioni statali".

Non è un espediente retorico sottolineare la corrispondenza tra l’amore del geografo Battisti per il costante oggetto dei suoi studi con quello di Walter Micheli per il territorio, dotato di rigorosi strumenti di salvaguardia in virtù della sua lucida battaglia politica. L’altra parola chiave battistiana ben presente a Micheli è popolo. Le sue pagine sono affollate di nomi di militanti di base, uomini e donne. Alla lezione della loro esperienza riconduce la pagina autobiografica iniziale: "Avevo il nonno materno capo della cellula comunista; mio padre, muratore, era il segretario della sezione socialista di Valfloriana. A casa arrivava il quotidiano del Psi l’"Avanti!", e spesso il vecchio sindacalista Sisinio Tribus (cui mia madre preparava per la notte un pagliericcio di fortuna in cucina) con il materiale di propaganda della Cgil".

La vicenda collettiva di cui questi militanti sono parte costituisce un patrimonio imperdibile, che a nessuno è consentito ignorare. Non agli eredi diretti smemorati, ma neanche a chi si inventa l’identità del Trentino come qualcosa di monistico, di originario, di refrattario ai conflitti del tempo, cristallizzata in un tirolesismo leggendario. E nemmeno a chi tende ricorrentemente a fare del cristianesimo sociale, che pure ne è nell’ultimo secolo il filone maggioritario, l’anima unica di quel popolo. "La storia del Trentino sarebbe una storia epurata, una povera storia, se non comprendesse anche le vicende e gli uomini di quella che fu la mia parte politica", ribadisce Micheli nella sua introduzione.

Una problematica come questa non si esaurisce in una specificità disciplinare, non interroga soltanto la capacità della ricerca storica di far fronte alle nuove modalità in cui il rapporto tra presente e passato si pone qui e ora. Né una prospettiva solo locale ci consente di misurare lo spessore delle questioni. Non è inutile tuttavia, o almeno lo spero, indicare alcune concrete direzioni di lavoro sul terreno specifico di quella storia della quale Walter deprecava la rimozione.

Partiamo da Battisti, com’è giusto. Vincenzo Calì, una delle persone più titolate a farlo, ha lanciato due anni fa la proposta di un’edizione completa dei suoi scritti, qualcosa di analogo a quanto si sta facendo da parte dell’Istituto Trentino di Cultura - ora Bruno Kessler - per Alcide De Gasperi. Si tratta di un’operazione necessaria: la più completa edizione degli scritti politici, quella uscita nel 1966 presso La Nuova Italia, è meritoria quanto riduttivamente antologica; l’epistolario ad essa connesso, a sua volta, va integrato sia con i documenti sfuggiti allora sia con una maggiore apertura alla dimensione privata e affettiva del personaggio; una riproposizione completa e organica degli scritti geografici, mai più ritentata dopo l’edizione nazionale curata da Ernesta Bittanti e uscita nel 1923, appare anch’essa indispensabile. Come dimostra il monumentale risultato dell’edizione degasperiana (ma anche tenendo in debito conto le difficoltà filologiche da essa incontrate), c’è bisogno di energie, tempo e mezzi: speriamo che non ci si illuda di affrontare un progetto come questo "in economia" e mettendolo in fila tra i mille altri che fanno capo al Museo Storico oggi del Trentino.

Un altro progetto, che potrebbe conseguire risultati straordinariamente preziosi anche ai fini del primo, è coltivato da anni da Mirko Saltori. Si tratta di una ricerca sulla biografia e sugli scritti di Antonio Piscel, l’altra figura eminente del primo socialismo trentino, spesso più attento di Battisti all’elaborazione della socialdemocrazia austriaca e anche alle difficili dinamiche del movimento operaio, convergente quasi sempre sulle posizioni del compagno trentino ma anche esploratore di relazioni parzialmente diverse (come accadde, ad esempio, in occasione del convegno per una politica internazionale socialista autonoma realizzato a Trieste nel 1905, con la partecipazione di socialisti italiani e austriaci).

Trento, 1° maggio 1913: il comizio di Cesare Battisti.

Due percorsi di ricerca paralleli sui padri fondatori consentirebbero anche di affrontare meglio il serio problema delle attribuzioni degli articoli sulla stampa socialista (per la quale Piscel scrisse con altrettanta generosità del direttore del "Popolo"). Per lavorare su Piscel occorre poi inoltrarsi nel primo dopoguerra e negli anni del fascismo, affrontando le complesse quanto ineludibili questioni del rapporto con il regime.

Scrivere una storia dei socialisti attraverso il fascismo vuol dire, io credo, seguire decine di percorsi biografici di militanti di base. Anche su questo terreno c’è da anni al lavoro Mirko Saltori, che ha appena consegnato alle stampe un profilo del noneso Adolfo Bertagnolli e sta inseguendo da tempo i documenti per concludere quello dell’inquieto e ribelle Mario Belluta. Saltori ha studiato approfonditamente i fascicoli dei sovversivi presso l’Archivio di Stato di Trento e accumulato un grande magazzino di storie (dal quale ha ricavato anticipazioni suggestive anche per questo giornale), ma molto lavoro aspetta lui e chi si inoltrerà in percorsi di questo tipo presso altri archivi.

Antifascisti confinati, emigrati e fuorusciti, combattenti in Spagna, ma anche personaggi rimasti ai bordi delle organizzazioni di regime o in esse confluiti, per nicodemismo o per convinta adesione… Il lavoro di Mirko incrocia le ricerche "roveretane" di Diego Leoni e mie, delle quali pure è rimasta in sospeso una sistemazione compiuta. La comune iniziativa, covata da tempo, di riprendere le pubblicazioni della rivista "Materiali di lavoro" dovrebbe servire anche ad assicurare una sede a questi lavori interminabili ai quali vanno pur dati esiti concreti, per parziali che siano.

Non si tratta di fermarsi al 1945, naturalmente. Ho avvertito la costernazione di molti protagonisti del nostro movimento operaio nel constatare che l’ultimo volume della "Storia del Trentino", promossa dall’Istituto Trentino di Cultura presso il Mulino (2005), alle lotte operaie e al sindacato non dedica spazio alcuno. E’ un sintomo anche questo di una rimozione, o comunque di una parzialità culturale cui urge porre rimedio. In primo luogo, ancora una volta, con ricerche strutturate e iniziative dal basso, meglio se fatte proprie dalle istituzioni che hanno i mezzi per alimentarle, ma senza attendere che calino dall’alto di qualche cielo.