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QT n. 12, 14 giugno 2008 Servizi

Il senso della parola “Grazie”

Era la fine del 2005. Avevo cominciato da poco a collaborare con QT. Non era un gran periodo. A differenza di quanto accade oggi, erano molto pochi i giovani che frequentavano la redazione.

Ricordo un certo iniziale imbarazzo da parte mia alla prima riunione di redazione cui presi parte. Era inverno, e la sede di via Calepina mi apparve ancora più scura del solito. La mia personalità giornalistica ancora poco sviluppata si sentiva un po’ intimorita.

Mi ritrovai attorno al tavolo con Ettore Paris, Piergiorgio Cattani e Walter Micheli. Avevo conosciuto solo il primo dei tre, gli altri due non sapevo chi fossero, ci presentammo quel giorno. "Sarò all’altezza di costoro?", mi domandai, io che per di più vivevo stabilmente in Trentino solo da qualche mese, e che di certe cose, onestamente, sapevo poco e niente.

Il mio timore si rivelò fondato: star dietro alle analisi e ai ragionamenti di quei tre sarebbe stata impresa ardua anche per un giornalista navigato e trentino di ottava generazione: figuratevi per me, che a quella prima redazione persi subito il filo, e decisi ben presto di starmene ad ascoltarli in silenzio.

Arrivò così il mio terzo incontro redazionale con loro, poco prima di Natale. Walter si presentò in via Calepina con in mano dei libri. Erano tre copie de "Il silenzio della parola" di Filippo Gentiloni. Era il suo regalo di Natale per quelli di QT. Consegnò una copia a Ettore, poi un’altra a Piergiorgio. Infine allungò la terza a me, con quel suo sorriso che sapeva aprirsi all’improvviso e non poteva non contagiarti. Rimasi molto colpito: praticamente non ci conoscevamo, e quell’uomo già mi faceva un regalo.

Walter andò via da quella riunione un po’ prima di noialtri. Al termine, confidai a Ettore il mio stupore. Parlammo un po’ di lui, e quando venni a scoprire chi era Walter Micheli – l’ho detto, il Trentino era per me una terra nuova, e non sapevo nulla dell’importanza storica e politica del personaggio – il mio stupore aumentò.

Tornando a casa, ripensai alle parole con le quali Walter ci aveva spiegato il suo dono. L’autore, ci aveva detto, vuole salvare quelle che considera le tre parole più vicine al silenzio: "forse", "oggi" e "grazie". In particolare, proseguì Walter, quest’ultima parola è talmente abusata che ce ne siamo dimenticati il vero significato: un significato potenzialmente rivoluzionario, perché la parola "grazie" mette in crisi il mondo del mercato, e chiede di sostituirlo con il mondo del dono. E’ quindi nel ricordo di quel prezioso insegnamento che oggi mi sembra di poterglielo dire senza sentirmi banale: grazie di tutto, Walter.