Il tempio del consumismo
I motivi del successo di Superstore, l’ultima iniziativa commerciale della grande distribuzione. E i problemi che pone: concorrenza, vivibilità, dipendenza dalle catene nazionali, prodotti trentini, piccoli negozi...
Non sono stati i politici, i Vip, i giornalisti, ad essere i protagonisti dell’inaugurazione del Superstore della Coop a Trento Sud. Né i tanti esponenti del movimento cooperativo che, soddisfatti o perplessi, comunque festeggiavano, tra flute e tartine, il nuovo complesso.
SUPERSTORE in cifre
Superficie di vendita: 3770 metri quadri
Addetti: 130
Articoli esposti: 8.000
Costo: 35 miliardi di lire
Proprietà: Trento Sviluppo (50% Sait, 50% Coop Nord-Est)
Negozi contigui: Trony-Elettrocasa, Tacconi Sport
I protagonisti erano fuori, all’esterno: 2/3.000 persone, con il naso schiacciato sulle vetrine, nessuna possibilità di entrare (il centro avrebbe aperto al pubblico solo il giorno dopo), eppure lì inchiodate a guardare. Irresistibilmente attratti dal nuovo idolo: oggi dobbiamo accontentarci di sbirciare, domani arriveremo, a decine di migliaia, a spendere, a consumare, a vagare felici tra scaffali e casse, a confrontare sconti, gadget ed offerte. La religione del consumo ha aperto il suo ultimo tempio, il successo è assicurato.
E così è stato. La struttura, architettonicamente insignificante, però grande, quindi moderna, attira di per sé: a questo si aggiunge la varietà dei prodotti (ottomila articoli, contro i duemila di un piccolo negozio), i prezzi allettanti di una serie mirata di articoli-civetta, le offerte per acquisti multipli, e il gioco è fatto. L’acquirente entra per curiosare e spendere qualche decina di euro, esce contento col carrello stracolmo e alcune centinaia di euro in meno. Il consumatore baggiano continuerà a riempire cucina e sgabuzzini di beni che non usa, mentre il consumatore medio, dopo un po’ di tempo, calibrerà meglio il rapporto acquisti/necessità; fino al prossimo lancio di un’iniziativa più "nuova" e "moderna", quando ritornerà felice a riempire carrelli.
Questo il meccanismo, noto e previsto, e che si è puntualmente riprodotto. Il problema è: come si inserisce tutto questo nel mondo del commercio trentino? Sapendo che commercio vuol dire anche urbanistica, occupazione, produzione, vivibilità?
Sul progetto Superstore si comincia a ragionare, all’interno del Sait, otto anni fa. E’ in parte una scelta condizionata dall’esterno, dal socio Coop, la grande catena distributiva delle cooperative padane (ex-rosse) che, con la sua alleanza e i suoi prodotti, ha salvato il Sait dal buco nero in cui sembrava essersi irreversibilmente infilato una decina di anni fa. Il prezioso ma ingombrante alleato presenta il conto: vuole essere presente in Trentino, e alla sua maniera, per cominciare con una grande superficie in cui portare i suoi metodi di vendita, già collaudati negli ipermercati padani.
Supermercati e Ipermercati | Supermercati, Ipermercati e piccoli negozi | |
Sait | 24,4% | 31,1% |
Poli | 36,7% | 24,0% |
Dao | 6,8% | 11,1% |
Despar | 11,4% | 8,6% |
Orvea | 8,4% | 5,4% |
A questa necessità si sommano considerazioni interne. Da una parte il mercato trentino soffre del fenomeno dell’evasione, l’abitudine di molti consumatori di praticare un turismo commerciale negli allettanti centri commerciali delle province limitrofe. Dall’altra il Sait soffre la concorrenza degli operatori privati trentini, Orvea e soprattutto Poli: quest’ultimo ha ormai sfondato nelle città, è diventato il primo operatore provinciale nel settore supermercati (vedi tabella) e la sua catena si sta allargando anche fuori provincia.
"Con il Superstore il movimento cooperativo ha cercato di recuperare il tempo perduto - ci dice il presidente del Sait Giorgio Fiorini - puntando sulla modernità della nuova proposta, e sfruttando il know how del socio Coop".
Non era l’unica strada. Si era cominciato a battere un altro percorso, più consono ai famosi principi cooperativi: il lancio di una cooperativa di consumatori, l’Atesina, che avrebbe dovuto costruire anche nella valle dell’Adige il rapporto consumatore/negozio tipico delle famiglie cooperative di valle. Era la linea strategica della "nuova centralità del socio", per alcuni anni sbandierata nei convegni del movimento cooperativo; e contrapposta alla cooperativa come fredda azienda capitalistica, fatta di soldi e in mano ai tecnocrati, di cui non si capisce più la finalità mutualistica (Le coop nel 2000. Se don Guetti...). La "centralità del socio" è poi finita nel nulla, e così la cooperativa Atesina di consumatori. E invece si è abbracciato il modello Coop: dimensioni, efficienza, capitali, spersonalizzazione.
"Le due opzioni non sono alternative, l’ipotesi della cooperativa di consumatori non è abbandonata - ribatte Fiorini - La crescita dei soci è un processo lento, da costruire con gradualità. Ma è un percorso essenziale, su cui io in prima persona intendo spendermi";e qui fa capolino il Fiorini candidato, a maggior ragione dopo il successo del Superstore, alla successione di Pierluigi Angeli, il presidentissimo di tutto il movimento cooperativo trentino ormai alla fine dei suoi tanti mandati.
Sta di fatto che il Superstore, come tempio del consumismo e polo di attrazione dalle valli in città, ha fatto storcere il naso a coloro che rimpiangono gli ormai mitici ideali di don Guetti. "Il movimento cooperativo ne esce invece rafforzato - è l’obiezione di Fiorini - Nella nostra rete i piccoli punti di vendita sono prevalenti: svolgono un servizio sociale, contribuendo a tenere vive realtà periferiche, ma hanno difficoltà a mantenersi in equilibrio economicamente. Il compito di iniziative come Superstore è quello di rafforzare l’insieme del sistema, facendo quadrare i conti".
C’è chi obietta a questo ragionamento: Superstore è in mano per il 50% a Sait e il 50% a Coop Nord-Est (che ne nomina anche il direttore), quindi gli utili fatti a Trento andranno per metà a Coop, cioè fuori provincia. Il vantaggio del Sait e delle famiglie cooperative è tutto da discutere…
"No - obietta deciso Fiorini - Superstore si rivolge ai clienti per la spesa grossa (in media, 50 euro), mentre la nostra rete di vendita, fatta di esercizi di piccole o medie dimensioni, si rivolge alla spesa da 10 euro. Quindi Superstore sottrae clienti ai grossi punti vendita, non alle nostre cooperative di valle e del circondario, che la spesa grossa l’avevano già persa".
Nnsomma, in poche parole, la battaglia commerciale è con Poli. Una concorrenza probabilmente positiva, tutt’altro che inedita. Solo che le parti si sono invertite: Poli, prima all’attacco, in continua espansione, deve ora subire l’iniziativa di Sait (e di Coop), su un piano in cui nel breve periodo è impossibilitato a controbattere. Non certo per questioni finanziarie, ma perché nuove licenze per analoghe metrature non ce ne saranno.
E qui la concorrenza commerciale si intreccia con il piano politico e il problema del governo del territorio e della programmazione economica, cose che in questi anni sono state aleatorie e farraginose. "Il Superstore è a Trento l’ultima grande superficie di vendita nata al di fuori di ogni verifica di impatto economico (conseguenze sull’insieme del commercio) ed urbanistico (traffico, intasamenti, riflessi sul territorio) - afferma Franco Grasselli, assessore alle attività economiche del Comune di Trento - E’ nata concentrando pezzi di carta, sommando autorizzazioni".
"Sia il Superstore che il Centro commerciale di Pergine sono sorti attraverso operazioni di compravendita di licenze, che oggi abbiamo superato" - proclama Remo Andreolli, assessore provinciale al Commercio.
L’obiettivo è quello di preservare, rafforzandolo, il modello commerciale trentino, la cui struttura portante è rappresentata da aziende medio-piccole, in crescente difficoltà.
"Invece va riconosciuta la funzione di queste piccole aziende, nelle valli come nei centri storici, perché non solo forniscono un servizio, ma vivificano, animano il territorio - prosegue Andreolli - Di qui la nostra intenzione di rafforzare gli operatori già presenti, prevedendo la possibilità di ampliare sia le superfici che l’offerta merceologica".
Resta la concorrenza della grande distribuzione: "Queste grandi strutture sono centri di attrazione, diventano luoghi di turismo commerciale. Non dobbiamo demonizzarle, perché allora avremmo l’evasione commerciale nelle altre province; ma vogliamo al contempo che sia una presenza equilibrata, che non soffochi le piccole e medie aziende".
Si vuole insomma evitare sia il modello sudtirolese (dove i centri commerciali sono banditi e si sopportano le fughe di consumatori a Trento Nord), sia il modello veneto, con ipermercati e poco altro; o, ancora più estremizzato, quello francese, che ha favorito la nascita dei giganti europei del commercio, ma ha desertificato il territorio, facendo rottamare non solo i negozietti, ma anche i centri commerciali non più alla moda.
Di qui le nuove regole. La provincia viene divisa in 14 ambiti (corrispondenti all’incirca ai comprensori), a ciascuno dei quali viene assegnata una metratura complessiva per le grandi strutture (cioè quelle con superfici superiori agli 800 metri quadri). "Starà poi alle amministrazioni comunali localizzare le aree per queste iniziative, dando il via libera dopo una valutazione di impatto urbanistico".
"Il meccanismo consentirà di governare gli insediamenti di grandi strutture, che verranno quindi sottoposte sia a una programmazione economica, che a una valutazione urbanistica" - conclude Andreolli.
Per fornire delle cifre: in tutta la Provincia sono 65.000 i metri quadri destinati alla grande distribuzione; nei 22 comuni attorno al capoluogo sono 13.700 metri; a Trento saranno 4-5.000, da ripartire sull’intero territorio comunale. "Spazio per nuove grandi iniziative non ce n’è proprio (ricordiamo che Superstore e il continguo maxi-negozio di elettrodomestici Trony Elettrocasa da soli raggiungono questa cifra, n.d.r.). Si potranno solo aumentare le metrature delle attività esistenti" - dichiara Grasselli.
Ma basterà tutto questo a rianimare la piccola distribuzione? "Nel settore alimentare la ristrutturazione del commercio in città è già avvenuta. I piccoli negozi o sono scomparsi, o si sono specializzati, come boutique alimentari o soprattutto come negozi del freschissimo (pane, latte, pasta fresca) sotto casa – afferma Grasselli - Iniziative come Superstore andranno ad impattare soprattutto sulle catene concorrenti: con prevedibili effetti positivi sui prezzi".
Resta comunque aperto tutto il settore del commercio non alimentare: "Lì la ristrutturazione non è avvenuta. Né sarebbe una novità un centro commerciale con una galleria di più piccoli negozi - ragiona Grasselli - Mentre l’arrivo di un unico grande negozio, tutto dedicato a un settore, quello sarebbe la novità dirompente. Noi non la auspichiamo: probabilmente sarebbe la fine del negozietto, perché nel non alimentare non c’è la continuità della spesa, e quindi il negozio vicino potrebbe essere abbandonato per sempre."
Piccoli negozi(< 150 mq) | Media distribuzione(150-800 mq) | Grande distribuzione(> di 800 mq) | ||||
Alimentari e misti | 422 | 23.300mq | 59 | 23.000mq | 18 | 28.500mq |
Non alimentari | 935 | 56.900mq | 228 | 71.500mq | 22 | 36.500mq |
Come può rispondere la piccola distribuzione? E’ la Confesercenti l’associazione nata per seguire la piccola impresa. "Non facciamo più le crociate contro la grande distribuzione. - ci risponde Salvatore Bottari, presidente della Confesercenti - Sarebbero battaglie contro i mulini a vento. L’obiettivo è uno sviluppo ordinato, una compresenza di piccoli e grandi".
Sì, ma come? La parola d’ordine è specializzazione: il piccolo deve trovare la sua funzione nella capacità di fornire un servizio più mirato: il proprietario/commesso di un negozio di videogiochi, o di attrezzature per subacquei, o di telefonia, deve essere un esperto e appassionato del settore, saper orientare il cliente, far fronte a dubbi e malfunzionamenti, instaurando un rapporto personale e di fiducia.
Questo però non basta. "C’è un discorso di costi che per noi è un cappio al collo, - afferma Bottari - dovuto soprattutto ai costi di acquisto del locale, 5-6 milioni di lire a metro quadro. E ancora peggio se si va in affitto: lì sei letteralmente nelle mani del locatore, che se alla scadenza non ti rinnova il contratto, ti fa perdere tutto: l’avviamento, la clientela, le centinaia di milioni spesi nell’arredamento".
Questo avviene sia nei centri storici, come nei centri commerciali: "Quando un’area diventa commerciale, si scopre che i soliti noti, ottimamente informati, hanno già acquistato, e si innesta il giro dei costruttori e delle agenzie immobiliari, per cui i prezzi lievitano da 1,5 milioni di lire di costo reale ai 6 milioni che deve sborsare il commerciante."
E’ uno scoglio che anche il Sait, con tutti i suoi appoggi non è riuscito ad aggirare: il Superstore (poco più di 5.000 mq.di superficie lorda totale) è costato 35 miliardi di lire, più di 6 milioni a metro.
"Il nostro sogno sarebbe che il commerciante consorziato possa costruirsi il proprio posto di lavoro - conclude Bottari - spendendo 2 milioni invece di 6. E potendo quindi così impostare tutta un’altra politica aziendale. Però ci sono di mezzo le lobby…"