Il vento del liberismo sulle botteghe trentine
La liberalizzazione di orari e licenze nei negozi. Commercianti e consumatori, grande e piccola distribuzione, governo di sinistra e associazioni di destra: chi perde e chi guadagna.
Quando finisce la manifestazione, con Bertoldi, l'inossidabile presidente dell’Unione Commercio che minaccia la serrata, la platea di commercianti sfolla, e qualcuno ringhia qualche commento rabbioso "Non basta! Il mitra occorre!".
"Non dovremmo pagare più le tasse " - gli risponde più pacato un collega.
"Basterebbe pagarne la metà di tasse; e se ne accorgerebbero..." - chiude un terzo, vincendo la rapida corsa verso la moderazione.
Sono passati i tempi in cui, nelle manifestazioni contro il fisco, bottegai e artigiani gremivano il cinema Modena, focosi e bellicosi, e neanche lasciavano parlare chi solo odorasse di sinistra. Oggi il presidente della Confcommercio nazionale Bilie, nel suo giro d'Italia in pullmann, si sbraccia contro il governo "che ci vuole rottamare ", declama con enfasi le proprie ragioni, cerca di rafforzarle attizzando bollori anticomunisti; ma la platea, grigia, non risponde; rimane smorta e se ne va, borbottando. Poco convinta, perplessa, e soprattutto preoccupata.
Si chiama "decreto Bersani" (dal nome del proponente, ministro dell'Industria) il provvedimento con cui il governo Prodi sta rivoluzionando il mondo del commercio. I punti base sono tre: per i negozi sotto i 300 metri quadri (il 90% in tutta Italia) non occorre più la licenza; le tabelle merceologiche sono drasticamente ridotte a due, alimentari e non alimentari; gli orari di apertura sono liberalizzati, tredici ore tra le 7 e le 22 (e anche oltre per le zone turistiche) e otto domeniche di apertura all'anno, oltre a quelle di dicembre già acquisite.
I cittadini approvano, i comitati consumatori pure, i sindacati sono soddisfatti; la Confesercenti, associazione di categoria tradizionalmente di sinistra, dopo una prima reazione negativa, ora propone solo alcuni aggiustamenti. La Confcommercio invece, associazione già di tendenze De, oggi vicina al centro-destra, dichiara guerra, e il suo presidente Bilie gira l'Italia con un pullman ad organizzare la protesta degli associati.
Un mercato senza regole non ha futuro " - è la scritta che corre sulla fiancata del pullman. E - probabilmente contro le intenzioni di Bilie - viene sottolineata la sovrapposizione di slogan, di simboli; l'intersecarsi di fragili e talora occasionali culture politiche. Il pullman di Prodi, "le regole" della campagna dei Progressisti ai tempi di Occhetto, vengono ora assunti pari pari dalla Confcommercio; che per di più si vede accusata - lei, che fino a poco tempo fa denunciava "il peso della burocrazia e dello statalismo" - di voler mantenere il castello burocratico delle licenze, dei registri, delle tabelle merceologiche (debolissima, al limite del corto circuito della logica, la risposta di Bilie: "Il governo vuole eliminare uno dei 200 burocratismi; e noi diciamo di no, perché restano in piedi 200 burocratismi meno uno, restano gli adempimenti Inps, quelli sanitari, quelli fiscali...").
Ma anche l'altra parte, il centrosinistra, si trova a dover ridefinire la propria cultura; e ad abbracciare in pieno la visione per cui è giusto e bene che il cittadino si faccia il mazzo "per competere", "per stare sul mercato ". Con l'abolizione repentina di licenze e tabelle merceologiche, non solo si aboliscono tutte le reti che proteggono la corporazione e si esalta il principio di concorrenza; con la dilatazione degli orari di apertura si promuove l'autosfruttamento del piccolo commerciante e della sua famiglia: chi sarà più abile, più organizzato, più lavoratore andrà avanti, gli altri chiuderanno. I negozi aperti tutto il giorno saranno tanto comodi e utili (come ha dimostrato lo studio del Comune di Trento sui tempi della città) per F insieme dei cittadini; ma non per chi vi lavora. Il cittadino-utente, e soprattutto il cittadino-consumatore ne esce vincente, è il fulcro della società; non così per il cittadino-piccolo proprietario.
Verrebbe da dire ai bottegai: avete tanto chiacchierato di liberismo, di mercato? Avete voluto la bicicletta? Pedalate. Ma siamo sicuri che sia questa l'idea di società della sinistra?
E’ un provvedimento a favore della grande distribuzione..."; "La Pat non riesce a frenare la grande distribuzione...";"La Confcommercio, in realtà, è per la grande distribuzione..." (detto da un esponente dell'associazione concorrente, la Confesercenti); "La Confesercenti, essendo di sinistra e legata alle Coop, è per la grande distribuzione.."; (detto da un esponente della Confcommercio); "Vanno salvaguardati i piccoli negozi dalla concorrenza della grande distribuzione..." (Carlo Andreotti, presidente della Pat).
Non c'è intervento a un'assemblea di commercianti, che non ricordi l'incombente presenza del Grande Nemico, anzi del Male: la Grande Distribuzione. Contemporaneamente, dai ministeri romani vengono distribuiti studi e tabelle in cui gli stessi esercizi vengono chiamati "distribuzione moderna", se ne auspica l'espansione, sconsolatamente confrontando "l'arretratezza" dei dati italiani rispetto a quelli europei (vedi tabella).
Cos'è la grande distribuzione? In sostanza sono i supermercati (alimentari con superficie fra i 400 e i 2500 mq), gli ipermercati (alimentari più altri negozi con superficie totale sopra i 2500 mq), i centri commerciali (insieme di molteplici esercizi di diversa metratura, a gestione unitaria o coordinata), gli hard discount. Questi esercizi, poi, spesso sono inseriti in una catena commerciale, da quella nostrana dei fratelli Poli (250 miliardi di fatturato annuo) al circuito delle Coop (14.000 miliardi di fatturato), ai gruppi esteri (Lidi ecc).
Nello scontro tra grande e piccola distribuzione sono spettatori non disinteressati i sindacati e le associazioni dei consumatori. Entità i cui interessi li portano ad essere più vicini alla grande distribuzione; eppure anch'essi, nei dibattiti di questi giorni, spezzano più di una lancia a favore del piccolo commerciante.: "Beh, il grande supermercato offre più posti di lavoro e a condizioni migliori del piccolo commerciante - ci dice Gianni Tornasi della Uil-commercio - Però noi riteniamo che la piccola distribuzione, pur destinata a ridimensionarsi, abbia però un suo ruolo importante: offrire un servizio migliore, più curato, un 'offerta più specializzata."
"E' indubbio che la grande distribuzione porti al consumatore notevoli vantaggi sui prezzi - interviene Flavio Corradini dell'Associazione Consumatori - Ma il piccolo negozio vivifica la città, anima i paesi, aumenta la qualità della vita, della socialità, e anche del servizio."
Come si vede, considerazioni perfettamente concordanti con l'orgoglioso "il governo non deve dimenticare il nostro insostituibile ruolo di servizio e socializzazione, soprattutto in territori come il Trentino " gridato in assemblea dal presidente dell'Unione Commercio Bertoldi.
Insomma, al di là di alcune cortine fumogene, di prese di posizioni tattiche, l'opinione concorde dei vari operatori dipinge il seguente scenario: la modernizzazione della rete commerciale italiana è inevitabile e positiva; quello che bisogna scongiurare è che la rete dei piccoli negozi ne sia travolta, perché ha una funzione primaria nel contesto urbano: quando in una strada i negozi chiudono, si desertifica, quando un paese rimane senza punti vendita, inizia a spopolarsi.
In questo contesto, come si situa il decreto Bersani? E in particolare, qual è la situazione in Trentino?
"La liberalizzazione delle piccole superfici renderà il piccolo commercio più forte - ha detto a un'assemblea della Confesercenti Franco Grasselli, a suo tempo segretario dell'associazione ed oggi assessore alle attività economiche del Comune di Trento - Intendiamoci, la competitività porterà diversi negozi a chiudere; ma gli altri si rinnoveranno, ne sorgeranno di nuovi, e globalmente la categorìa sarà più forte."
E questo era il clima dell'assemblea: preoccupazione, perché il singolo commerciante non è felice di essere a rischio; ma anche voglia di darsi da fare, perché la liberalizzazione apre nuove possibilità. E questo dato lo ha confermato anche il presidente dell'Unione Commercio di Bolzano, che all'assemblea di Bilie, dopo i rituali attacchi a Prodi, ai comunisti, ecc, è arrivato al cuore del problema: "Riceviamo tante telefonate di esercenti, ma non solo di gente spaventata; in tanti si informano: 'Allora posso allargarmi, posso comprare, posso mettermi a vendere anche questo...?'"
Difatti il decreto Bersani, se approverà alcune modifiche tecniche che le associazioni stanno suggerendo (e su cui sorvoliamo), contiene un solo vero inghippo, contro il quale sono tutti d'accordo, sindacato compreso, perché rischia di tagliare le gambe ai piccoli: "Sono le otto domeniche di apertura oltre a quelle di dicembre; il che vuoi dire una domenica al mese - ha spiegato all'assemblea della Confesercenti una commerciante di Vicenza - Il meccanismo da noi lo abbiamo già visto: nella grande struttura si può facilmente organizzare, per una domenica al mese, una serie dì attrazioni per tutta la famiglia, dal cantante ai giochi per bambini, e far passare lì il giorno di festa. Il che vuoi dire che le spese vere, la famiglia le fa solo al centro commerciale, e noi non possiamo farci niente."
Se questo è il quadro nazionale, qual è la situazione in Trentino? Come si vede dal grafico, nella nostra provincia la grande distribuzione è già arrivata. I vincoli dei piani commerciali, delle tabelle merceologiche, dei contingentamenti delle licenze ecc, più rigidi che nel resto d'Italia, hanno prodotto un duplice effetto: "Da una parte hanno bloccato la piccola distribuzione, che non ha potuto ampliarsi e svilupparsi; ma dall'altra - ci dice Grasselli - non hanno opposto alcuna barriera allo svilupparsi della grande distribuzione, che attraverso acquisti di licenze, accorpamenti e trasferimenti di tabelle, ha potuto fare tutto quello che ha voluto." Ed ecco quindi la situazione attuale, con Trento leader nel Nord-Est come presenza di centri commerciali: "Il Trentino è la seconda provincia d'Italia (dopo Ancona ndr) per presenza di strutture commerciali moderne" - annota con soddisfazione uno studio del ministero.
Ma allora tutto questo è un bene o un male?
"Non ho difficoltà ad affermare che lo sviluppo dei centri commerciali è stato un fatto importante - risponde Grasselli - Importante e positivo: sia come prezzi, sia come nuovo modo di presentare il commercio. Con due effetti: da una parte hanno tamponato le uscite dei trentini, che prima andavano a frotte a fare gli acquisti in Veneto, e invece hanno attirato nuovi consumatori dall'Alto Adige. Dall'altra, hanno costituito un secondo polo commerciale, in concorrenza con quello del centro storico, che di conseguenza è stato stimolato a un rinnovamento."
Arrivati a questo punto, si è però posto il problema di governare il fenomeno.
Ed ecco, quattro anni fa, l'Unione presenta un progetto di riforma della legge provinciale sul commercio, che si proponeva di regolamentare i grandi insediamenti non più attraverso i piani commerciali, evidenti colabrodo, ma attraverso l'urbanistica commerciale. Cioè: per aprire un esercizio, sotto una certa soglia (inizialmente 200 metri quadri) non ci sarebbe bisogno di licenza; sopra, invece, andrebbe fatta una valutazione d'impatto sia ambientale (traffico, inquinamento), sia socio-economico (i riflessi sulle altre attività, a iniziare dagli altri negozi).
E' chiaro che questo strumento governerebbe davvero il settore. Ma è altrettanto chiaro che assomiglia molto al decreto Bersani, anzi ha la stessa filosofia di fondo: sotto una certa soglia liberalizziamo, sopra, governiamo.
Ma allora, perché mai l'Unione, invece di tendere a modificare gli aspetti sgraditi del decreto, gli si è scagliata contro, assecondando la personale battaglia di Bilie contro l'Ulivo e stimolando le paure di una categoria in difficoltà, invece di sollecitarla al rinnovamento?
A questi interrogativi non abbiamo risposte. Che forse sono da ricercarsi nel ruolo politico che le associazioni (e i loro inamovibili rappresentanti) si sono in questi anni ritagliato.