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QT n. 13, 29 giugno 2002 Cover story

Utopisti o fannulloni?

Gli occupanti dell’Ex-Zuffo: la politica come “azione diretta e dal basso”, la produzione culturale dei centri sociali, la voglia di avere uno spazio proprio. Tra utopia e provocazione, protagonismo giovanile e incombente repressione. Sapranno farsi capire?

Il luogo soddisfa certo le aspettative dell’osservatore in cerca di brividi metropolitani, e di conferme di quell’immaginario che vuole il centro sociale semi nascosto in luoghi ritagliati nella modernità post-fordista di capannoni, sterminati parcheggi ed asfalto. E, com’è noto, la realtà soddisfa appieno proprio quando conferma l’immaginario ("è come in tv… sembra di essere in un film…").

E il "Libero laboratorio di idee" trentino rientra a pieno titolo nel cliché: una palazzina abbandonata al margine di un parcheggio quasi deserto, sovrastato dal viadotto di Montevideo, nel cuore di un’area (ex Zuffo) già doganale, poi retrocessa a parcheggio di rottami di carrozzeria.

E’ significativo come i luoghi per eccellenza di critica alla modernità metropolitana sorgano sempre in un contesto che ne incarna tutti gli aspetti, quasi a voler sottolineare anche fisicamente la necessità di stare dentro le cose per poterle cambiare.

Arriviamo al neonato "Libero laboratorio di idee", subito ribattezzato dagli occupanti EZ-Tn (un’evidente assonanza con l’EZLN, l’Esercito zapatista del Chiapas), in un torrido pomeriggio di sole, e ad accoglierci troviamo una piacevole atmosfera di gente serenamente affaccendata: scope, stracci e secchi d’acqua, sedie e panche sparse qua e là nel cortile, voci e musica drum’n’bass di sottofondo, mentre all’interno si lavora di pennellessa sui muri, e di mouse attorno ai computer. Il tutto a smentire certi attacchi, basati su triti luoghi comuni, che vogliono gli occupanti una massa di fannulloni.

Per ora sono state aperte e rese agibili solo tre sale della palazzina, che consta anche di stanze al piano superiore, ancora da sistemare; quindici anni di abbandono per uno stabile sono molti, e ci sarà da rimboccarsi le maniche.

Ci disponiamo in cerchio, su sedie di disparata foggia - e disparata provenienza - nella più interna delle tre stanze, attenti a non sporcare con la cenere delle sigarette il pavimento appena pulito (mancano i posacenere, tutti si arrangiano con contenitori di fortuna). Iniziamo così un’inconsueta intervista "di gruppo" con cinque o sei degli occupanti, tra cui il portavoce, Stefano, che premette subito - con una puntigliosità su questo punto forse eccessiva, e che peraltro è caratteristica dei movimenti degli ultimi anni - come ogni decisione dell’EZ-Tn sia il frutto di una discussione collettiva, fatta in assemblea. Quindi anche le dichiarazioni che verranno fatte sono da intendersi come il risultato di un’elaborazione di gruppo.

"Le nostre proposte - ci spiegano con calore - nascono da un’assemblea di gestione composta da un numero che oscilla in questi giorni tra le cinquanta e le ottanta persone. Vogliamo che il nostro sia un sistema basato sulla logica del consenso, in cui tutte le posizioni abbiano pari dignità e diritto d’espressione".

L’idea di occupare è nata da un’esigenza comune di Trento e di Rovereto - che esce da una non lontana esperienza analoga - e in essa si fondono diverse anime del movimento: dalla rete dei Disobbedienti (che in Trentino sono saliti alla ribalta per la torta in faccia all’on. Boato)a un collettivo di sociologia (occupatosi soprattutto della Tobin Tax e della riforma dell’Università), da singoli studenti medi alle varie associazioni che si impegnano sui diritti dei popoli del sud del mondo.

"Il progetto è quello di costruire uno spazio libero e autogestito, che sia fratello di tutti gli altri luoghi di libertà nel mondo; nasce da un’insufficienza di luoghi dove si possa fare cultura, politica e libero pensiero. Ma non solo: noi veniamo da un percorso che vede il suo inizio con Genova, un fatto importante e uno stimolo nuovo che ha portato questo movimento, anche in Trentino, a ritessere dei fili; alle spalle abbiamo infatti la partecipazione a diverse iniziative dei mesi scorsi: la collaborazione con gli studenti medi nella loro critica alla riforma della scuola, l’adesione allo sciopero generale dello scorso aprile, con un nostro spezzone all’interno del corteo di Trento, conclusosi con l’iniziativa simbolica di protesta davanti alla sede di un’agenzia di lavoro interinale, e la protesta contro il progetto dell’inceneritore, che ci ha visto al fianco dei cittadini e di parte del mondo politico istituzionale".

Si ripropone l’idea di un movimento complesso, in cui convivono anime diverse, "come è stato per Genova", ma a noi sembra con uno spettro di posizioni meno ampio: qui paiono espunte sia le frange come le Tute Bianche (e ancor più i famigerati Black Bloc), sia l’associazionismo più strettamente cattolico e sindacale; il minimo comun denominatore, ci spiegano, è la pratica della disobbedienza da una parte, e della politica "dal basso" dall’altra, in cui le decisioni sono collettive, al di fuori della consueta logica della rappresentanza ed all’insegna della partecipazione diretta, in cui teoria e prassi procedono di pari passo, secondo una logica di sperimentazione, in cui non vale più l’impostazione classica del "prima teorizzare e poi applicare".

Ci sono quindi tutti gli elementi distintivi della cultura politica dei centri sociali, che stravolgono la concezione istituzionale, basata sul concetto di delega e di rappresentanza; insomma una sorta di democrazia diretta come quella profetizzata da Marx e da lui intravista nella prassi della Comune di Parigi, e più di recente applicata, con alterni risultati, nelle assemblee studentesche del ’68 e nel movimento operaio dei consigli di fabbrica del ’69 e anni seguenti.

Tutti momenti caratterizzati da grande impegno, generosità, entusiasmo; che hanno portato nella società fermenti e cultura nuovi; ma che poi si sono isteriliti proprio per la difficoltà di coniugare - sul medio periodo - democrazia diretta e organizzazione.

Oggi, con la politica sequestrata dalle segreterie dei partiti, siamo all’opposto: anche in Trentino, dove scialbe figure di mini-burocrati, rappresentanti di vuote sigle, pretendono di decidere su tutto. Di questo c’è consapevolezza nella popolazione. Ma insieme, anche a causa del fallimento degli esperimenti sociali di cui sopra, c’è pure diffidenza, distanza siderale da una concezione della politica come "azione diretta e dal basso", giudicata al massimo come generosa utopia, più probabilmente come ozioso sfizio di giovani sfaccendati.

Ed è proprio questa distanza che potrebbe innalzare una barriera di incomunicabilità tra gli occupanti e la città, impedendo un dialogo ed un’integrazione del centro nel vivere comune, alla lunga probabilmente indispensabile per la sopravvivenza stessa dell’iniziativa.

" Da parte nostra c’è una percezione chiara del problema ed una volontà decisa di affrontarlo: vogliamo esplodere nella città, altrimenti il nostro sarebbe un fallimento. Ma siamo convinti che ci riusciremo, anzitutto per il nostro percorso di comunanza, a partire da Genova, con le lotte degli studenti medi, lo sciopero generale, per arrivare fino all’attuale battaglia sull’inceneritore. Ci siamo anche già fatti un giro nei bar della zona e presso la sede di un’associazione culturale, per capire quali sono i problemi e le esigenze della gente che vive qui, in un quartiere sventrato da tre strade; stiamo anche preparando un volantino sul tema da far girare nella zona e alcune iniziative da attuare in città per far conoscere i nostri progetti anche a chi non frequenta l’EZ-Tn."

I ragazzi ci parlano anche del rischio di un’eventuale strategia di demonizzazione, volta a far emergere timori per quanto riguarda la sicurezza, dovuti alla loro presenza. Questo nel segno di una più generale tendenza a calcare il tasto della sicurezza per accaparrarsi i voti, nell’ormai consueto giochino politico del "chi offre di più", per cui adesso, oltre a zingari, immigrati e clandestini, ci sarebbero anche quelli del centro sociale a ingrossare le fila dei Babau. Naturalmente loro non hanno nessuna voglia di fare la fine degli "utili idioti" e sostengono che "se la marginalizzazione produce emarginazione, noi rivendichiamo un’azione diversa, che non sia quella della tolleranza zero di chi vuole tirare su muri."

Finora la demonizzazione si è fatta sentire dalla puntualissima Lega Nord e da un rappresentante di AN, che hanno accusato gli occupanti di essere dei fannulloni, auspicando un intervento delle forze dell’ordine per far terminare l’occupazione.

"Hanno accusato gente che è qui tutti i giorni a spendere il proprio tempo e le proprie risorse, anche economiche, per un sogno nel quale crede e per la cui realizzazione combatte. Non è certo questa la più tipica tra le definizioni di fannullone".

Dal punto di vista logistico, la scelta dell’area ex-Zuffo è stata ottima, potremmo dire inattaccabile: distante dall’abitato e quindi al riparo - a meno che non si esageri con i decibel a notte fonda -da comprensibilissime rimostranze sui rumori; area destinata a parcheggio, peraltro mai utilizzata; abbandonata da anni, ai proprietari non fornisce alcun reddito, né ora né in prospettiva (anzi, da una sua rivitalizzazione i proprietari avrebbero solo da guadagnare). L’occupazione può essere contestata solo se si vuole liquidare la questione politica (i giovani che chiedono di organizzarsi autonomamente) in nome di una astratta questione di principio sul rispetto delle proprietà privata: e questa probabilmente sarà l’unica strategia demonizzatrice possibile, di fronte all’evidente inesistenza di problemi concreti.

Per garantire che il progetto continui, gli occupanti hanno chiesto al Comune di intervenire con l’acquisto, o quanto meno con l’affitto della struttura. Una delegazione dell’EZ-Tn è stata ricevuta in questi giorni dal sindaco, che però non ha garantito nulla, limitandosi ad ascoltare gli occupanti e a declinare ogni responsabilità diretta. Un atteggiamento che, se non dovesse modificarsi, potrebbe venire interpretato come il via libera all’intervento d’ufficio delle forze dell’ordine, e conseguente sgombero.

"I giornali hanno parlato di negoziato tra noi e il sindaco, ma noi non siamo intenzionati a negoziare il nostro diritto ad uno spazio libero. A Pacher abbiamo detto che vogliamo portare avanti il nostro progetto: sarà compito delle istituzioni trovare una soluzione, ed eventualmente una loro responsabilità politica non volerla trovare. Questo non dipende da noi e comunque il Sindaco ha già dichiarato di non voler acquistare la struttura. Noi riteniamo che, se non si arrivasse ad una soluzione, sarebbe una sconfitta per le istituzioni, anche perché questo posto riempie un vuoto profondo nella società: in questi giorni continuano ad arrivare moltissime persone con proposte di laboratori teatrali, musica e produzione di cultura alternativa e libera in genere. Gente che ha voglia di partecipare, spendersi per la realizzazione di un progetto comune. Fare assemblee di gestione con un minimo di almeno trenta persone non è un dato per nulla scontato".

Molta gente che non solo chiede di partecipare, ci dicono i ragazzi, ma anche di avere semplicemente un posto dove andare a dormire (cosa peraltro che gli occupanti evitano accuratamente, per non snaturare il senso politico-culturale dell’operazione, che non vuole diventare una sorta di patronato, ed anche per non fornire il destro a ulteriori polemiche). Una sorta di richiesta di servizio sociale da parte di una marginalità sommersa che forse alle istituzioni sfugge, anche per una distanza di tipo culturale che rende difficoltosa l’interazione da entrambe le parti.

Ed è anche all’interno di queste marginalità che si propone di operare il "Libero laboratorio di idee", ma con un approccio culturale, non assistenziale. Il tutto all’interno di quello che vuole essere (come già successo in tanti centri sociali in tutta Italia, spesso fucine di nuova musica, teatro e anche cinema) un momento fondante dell’iniziativa: una produzione culturale libera e spontanea, fortemente innovativa, svincolata dalla logica del profitto. Numerosi sono infatti i concerti in programma, con gruppi musicali anche da fuori regione; c’è inoltre il progetto di realizzare una sala prove per i gruppi che vorranno utilizzarla, e molte altre proposte, sulle quali verranno prese decisioni assembleari in un prossimo futuro, circostanze permettendo.

Domandiamo infine con quali aree della politica istituzionale c’è stato un contatto, un dialogo, ed emergono i consueti nomi: Rifondazione Comunista, che ha operato la scelta di camminare parallela e vicina ai movimenti, e la CGIL, da sempre in Trentino rispettosamente attenta alla politica che viaggia al di fuori delle istituzioni; a livello di disponibilità personale al dialogo, il consigliere provinciale Vincenzo Passerini, quello comunale Luigi Calzà e l’on. Gianni Kessler.

Numerosi sono inoltre i contatti che il Laboratorio sta stringendo, specie con la rete dei centri sociali e del movimento del Nord-Est, segno di una volontà di radicarsi non solo nel territorio cittadino, ma anche in un contesto più ampio, in cui oltre tutto le radici dell’azione diretta sono più profonde.

Le prossime iniziative politiche sono incentrate soprattutto su temi internazionali: il Chiapas, l’embargo in Iraq, l’Afghanistan. Questo, come avevamo segnalato commentando il congresso di Rifondazione Comunista, ci sembra un limite: l’impegno sulle questioni lontane, su cui si può ben poco incidere, ci appare una fuga dalle questioni locali, su cui si può più facilmente influire, ma che al contempo, poiché toccano interessi vicini e concreti, richiedono più lavoro e meno approssimazione. Il fatto che gli occupanti abbiano messo tra i temi della loro azione la questione inceneritore ci sembra quindi molto positiva; e sarà una cartina di tornasole della concretezza dell’impegno.

Siamo dunque di fronte a un progetto che muove i suoi primi passi aprendo numerosi interrogativi e lanciando spunti e polemiche. Di fronte alle quali il silenzio delle istituzioni risulterebbe una sconfitta, una dimostrazione di incapacità non solo di confrontarsi, ma anche di dare risposta a vuoti politici, sociali, generazionali; che quando parlano, anche se magari con parole non sempre gradevoli, andrebbero comunque ascoltati.