Gli àrbitri del Cavaliere
L'idea perversa che fa legare vittoria, arbitraggio, politica sportiva, sponsor. Per cui in nome degli interessi economici, bisognerebbe avere una politica che procura arbitri compiacenti. Se poi passiamo dallo sport alla Repubblica Italiana...
Non era un gran che la squadra di Trapattoni che è stata eliminata dalla squadra della Corea del Sud dai campionati mondiali di calcio che si stanno disputando in estremo oriente. Le troppe distrazioni in difesa e le numerose occasioni sprecate dall’attacco depongono per un livello complessivo dei giocatori piuttosto mediocre. Il punto però che intendo sottolineare è che la squadra vincente, la Corea del Sud, appariva anche più modesta. A fare la differenza non è stata la fortuna, come talvolta accade, ma l’arbitro ed i suoi due collaboratori posti a guardia sui confini laterali del campo. La parzialità della terna arbitrale in danno della squadra azzurra è stata denunciata da tutti in questa partita, ma anche in quelle precedenti giocate dagli italiani. E poi è stata altrettanto clamorosamente riscontrata nel successivo turno in cui, sempre la Corea del Sud, ha eliminato la Spagna. Dunque vi è stata una regia che ha ispirato la designazione degli arbitri e dei segnalinee nelle partite che in qualche modo potevano interferire con la progressione della Corea del Sud, tale da favorire questa squadra.
Il fenomeno è stato così manifesto che ha scatenato in Italia, e poi anche in Spagna, una polemica rovente incentrata sul fatto che un tale iniquo trattamento alla nostra formazione è stato reso possibile perché l’Italia, negli ambienti del calcio mondiale, conta come il due di coppe. E quindi si sono chieste le dimissioni di Carraro, che pare sia il capo del nostro calcio. Insomma non si è protestato contro la partigianeria degli arbitri, ma si è ritenuto il Carraro colpevole per non aver avuto la forza e la capacità di partecipare con determinante influenza alla gestione programmata della scelta degli arbitri: in modo da garantirsi un arbitraggio favorevole agli azzurri o, nella più innocente delle ipotesi, non prevenuto contro di essi.
La disputa appassionata sull’argomento ha aperto squarci rivelatori di realtà insospettabili per chi credeva che il calcio fosse solo uno sport, cioè un gioco. Al contrario esso ormai è divenuto quasi esclusivamente un affare, un business, dominato dai maneggioni che lo organizzano ai vari livelli, dagli sponsor, cioè grandi gruppi economici tipo Nike e Adidas, insomma dalle regole del mercato. Ho sentito un sottosegretario, l’on. Micchichè, dire alla televisione che l’eliminazione della nostra squadra agli ottavi di finale avrebbe causato alla nostra economia un danno enorme quantificato in un preciso numero di miliardi di euro. Non ho capito bene attraverso quali relazioni causali, ma se lo dice lui c’è da crederci.
Da qui l’invocazione generale a recuperare un maggior peso nella "politica" del calcio mondiale, per potervi contare di più e meglio tutelare i grandi interessi economici che vi sono coinvolti. Soprattutto attraverso la oculata designazione delle terne arbitrali.
Ora se voi riflettete che gli arbitri non sono altro che giudici ed i segnalinee "giudici a latere" che dirigono e dirimono un limitato conflitto sportivo, l’idea che tali collegi arbitrali possano essere scelti secondo criteri imposti dagli interessi dominanti del mercato a me sembra sconvolgente. Non solo perché mi pare un’idea che priva il fenomeno calcistico di tutto il suo fascino, ma soprattutto perché è un’idea che permea la cultura di chi oggi ha il potere di riformare l’ordinamento dei giudici della Repubblica Italiana e vi si sta alacremente applicando secondo l’aberrante modello degli arbitraggi calcistici.
Uno zampino governativo nelle scuole di formazione e aggiornamento professionale dei magistrati, un altro nelle commissioni disciplinari, un rilievo gerarchico alla Suprema Corte di Cassazione con attribuzione alla stessa sulla carriera dei magistrati sottratte al CSM, la riserva al Governo e al Parlamento di stabilire le priorità di indagine, una separazione delle funzioni che si avvicina molto ad una separazione delle carriere, un minor potere dei P.M. sulla polizia giudiziaria: tanti piccoli sfumati ritocchi che formano nel loro assieme un sistema che agevola l’uso diretto ed indiretto del potere politico sulla formazione, scelta, dislocazione e attività dei magistrati requirenti e giudicanti. In modo da assicurare che assecondino, nell’esercizio delle loro funzioni, gli abusi del mercato e dei politici.
Da qui lo sciopero dei magistrati italiani. E’ possibile che ne capisca le ragioni un popolo che si indigna perché non abbiamo avuto la capacità di garantirci in Corea un arbitro amico?