Ex-Zuffo: “Non finisce qui”
Sgomberato il nascente Centro sociale. Le richieste dei giovani, le loro aspettative, le soluzioni, realistiche e possibili. Ma la politica (e il sindaco Pacher) hanno detto di no.
Prima la Questura, poi l’aria di vacanze non ha finora smobilitato i giovani ex-occupanti dell’area Zuffo. Dopo lo sgombero, si sono susseguite varie iniziative: un presidio al Municipio; una festa/manifestazione in piazza D’Arogno per celebrare la raccolta di 2.500 firme pro Tobin-Tax (la tassa sulle transazioni finanziarie, per impedire le destabilizzazioni create dai vorticosi movimenti finanziari solo speculativi) organizzata dall’associazione Attac; un’assemblea a Sociologia con il discusso Luca Casarini (quello delle Tute Bianche), ma soprattutto con Gianfranco Bettin prosindaco di Mestre e Beppe Caccia, assessore alle politiche sociali a Venezia; e per martedì 16 un ulteriore presidio presso il Comune, in occasione della discussione in Consiglio delle politiche giovanili in città.
E proprio qui sta il punto. La capacità delle istituzioni, della politica, di confrontarsi con un mondo giovanile - o forse sarebbe meglio dire con una contrapposizione sociale - che esce dagli schemi canonici.
Alcuni giorni prima, nel dibattito a Sociologia, Bettin porterà l’esempio di Mestre e Venezia: dove le istituzioni hanno saputo rapportarsi in maniera positiva con queste richieste. "Ma perfino giunte di centro-destra, come Albertini a Milano con il Leoncavallo, o Guazzaloca a Bologna, hanno saputo riconoscere le esigenze di realtà, magari già consolidate. Noi, da una giunta di centro-sinistra, ci saremmo aspettati un atteggiamento analogo verso un’esperienza in divenire come la nostra" ripetono gli ex-occupanti.
In effetti l’amministrazione comunale e (quasi compatto) il mondo della politica, hanno creato un muro di gomma. Con tanta ipocrisia: "Prima mettetevi nella legalità - ha suggerito il sindaco Pacher - poi vedremo, valuteremo un percorso…" Cioè prima sgomberate, poi armatevi di pazienza.
In realtà il Comune una via d’uscita l’aveva. Come noto, il crimine dei giovani era quello di aver occupato, pulito, riutilizzato una palazzina abbandonata, situata sotto i viadotti, in un’area destinata a parcheggio. L’illegalità, la ferita all’intoccabile diritto di proprietà, era solo formale, anzi apparente. I proprietari, da una rivitalizzazione della zona, avrebbero solo da guadagnare. Su questi presupposti si era aperta una soluzione, positiva per tutti: i proprietari avrebbero ceduto, in comodato gratuito, l’uso della palazzina, sotto garanzia del Comune. Nessun esborso di soldi da parte di nessuno (solo il lavoro e le attrezzature dei giovani), garanzie per la proprietà che si vedeva comunque rivalutata l’area, il Comune che gratis risolveva brillantemente un problema.
E invece è giunto il niet di Pacher; che poi, per non essere in loco il giorno dello sgombero, partiva in vacanza.
Perché? C’è un motivo politico. Pacher, come più volte abbiamo scritto, a Trento è sempre il vicesindaco. Il vero sindaco, Lorenzo Dellai, ha altre priorità: vuole accreditarsi, con la sua Casa dei Trentini, presso l’elettorato moderato e conservatore, quello che magari non vede di buon occhio degli estremisti insediarsi in città sotto l’occhio benevolo del Comune.
Non solo. Gli occupanti hanno mostrato pericolose idealità politiche, e rivolte non solo al lontano Afghanistan, Chiapas, Palestina, ma anche a tematiche più vicine, come l’ inceneritore e la PiRuBi. Insomma, un laboratorio politico all’ex-Zuffo, magari capace di attirare energie ed entusiasmi di tanti giovani, poteva dare fastidio. Meglio chiamare la Questura.
Lo sgombero è avvenuto pacificamente. E così le successive proteste, all’insegna della più pura non-violenza. Tanto che diversi commentatori, mai contenti (vedi I reduci in cattedra) se ne sono adontati: "rivoluzionari di carta… pane e nutella… noi sì, ai nostri tempi…" Della serie: i giovani sbagliano sempre, per definizione.
In realtà il piccolo movimento nato a Trento, ha una caratterizzazione nuova. "Al quale teniamo, e che ha destato molto interesse nel resto d’Italia" - ci dicono i promotori. La caratteristica è l’apertura: non solo i puri e duri dei Centri sociali, ma anche i cattolici della Rete di Lilliput, i giovani che non si sentono schierati, che vorrebbero impegnarsi, ma si sentirebbero a disagio con i burocratismi di un’organizzazione partitica, come pure con la violenza verbale (e non solo) di certi raggruppamenti antagonisti.
Su queste basi un rapporto con la città dovrebbe essere molto più facile ("Avevamo in programma, tanto per rompere il ghiaccio, una partita di calcio con gli abitanti di Piedicastello, un torneo di briscola…"). Ma la politica ha detto di no.
I giovani ci assicurano che non finisce qui.