Il missionario e i senza terra
Un frate brasiliano che lotta per una società più giusta. I poveri, i killer, la giustizia, la religione.
La storia di "frei" (frate) Dilson Batista Santiago è quella di un padre cappuccino che da parroco di una piccola cittadina nel sud della Bahia, si è trovato a difendere i diritti dei braccianti del Movimento Sem Terra, prima dal pulpito della sua parrocchia e in seguito dai banchi del Parlamento bahiano e dalla poltrona di sindaco di Itamarajù, città dalla quale era iniziata la sua avventura da religioso.
La sua presenza a Trento nel mese di febbraio, oltre che per raccontare la sua esperienza personale e la realtà con la quale si trova a confrontarsi ogni giorno, è stata anche un’occasione per ringraziare i sindaci trentini che hanno aderito al progetto "I comuni trentini per i comuni del sud del mondo" grazie al quale il padre brasiliano vuole realizzare un nuovo ambizioso obiettivo: "Dare delle prospettive a chi non ha le possibilità per studiare ed è dimenticato dallo Stato brasiliano: per questo stiamo cercando di realizzare una scuola professionale agricola e tessile per aiutare i giovani, i disoccupati e i Sem Terra, ad imparare un lavoro ".
Ho conosciuto personalmente padre Dilson durante un mio soggiorno in Brasile nell’estate del 2001, e ho così potuto vedere senza "filtri" il suo difficile lavoro di tentare di migliorare una società, senza stravolgere le abitudini della cultura locale.
Dilson infatti vive nella più cruda realtà brasiliana, che non è rappresentata dalle spiagge e dalle ballerine di samba del carnevale di Rio, ma da una grossa povertà visibile anche agli occhi di ogni turista, me compreso, che in ogni momento della mia visita mi sono trovato circondato da gruppi di ragazzini che chiedono l’elemosina per sfamarsi.
A segnare uno spartiacque nella vita di Dilson, è stata la violenza usata contro i contadini che si organizzavano nel "Movimento Sem Terra" (Senza Terra), nato per contrastare il blocco dei grandi latifondisti.
"C’è un’anomalia che non permette al Brasile, con tutte le sue ricchezze naturali, di avere una ridistribuzione economica e sociale - ci spiega Dilson con grande amarezza - E’ la concentrazione dei beni e dei capitali economici nelle mani di poche persone che nel corso dei decenni hanno accumulato con soprusi d’ogni genere enormi fortune".
Le sue battaglie per la giustizia, in difesa dei Sem Terra e della riforma agraria, è stata spinta anche dallo spirito religioso: "Come frate e cristiano mi sono sempre sentito in dovere di operare verso i più poveri e disagiati" - precisa con orgoglio. Un impegno ed un dovere che spesso si sono trasformati in sofferenza: "Quando credi nei valori per i quali ti adoperi, è difficile accettare il fatto di non essere compreso da una parte della Chiesa locale alla quale hai dedicato la tua vita fin dai primi anni della gioventù".
Ora "frei" Dilson gestisce dei centri accoglienza per minori a Itamarajù, aiutato anche dall’associazione Arcoiris: "Il mio lavoro è quello di baby sitter" - aggiunge sorridente - e fondamentalmente consiste nell’aiutare i minorenni abbandonati o assegnati dal tribunale dei minori". Ma chi lo conosce sa che per i bambini delle sue "creche" (orfanotrofi), la sua figura prende il posto di quel genitore che spesso non hanno mai conosciuto o dal quale sono stati maltrattati ed abbandonati.
* * *
Con padre Dilson parliamo dell’esperienza di un nostro recente viaggio in Brasile, e del ruolo che la Chiesa, e più ingenerale le varie religioni, hanno nella vita sociale del paese. Tra i cattolici, noi abbiamo incontrato due tipi di religiosi, del tutto antitetici: i preti allo sbando, in verticale crisi di identità, interessati solo a qualche mediocre affarismo; e al contrario quelli che sono l’anima della comunità, organizzatori di lotte sociali, punto di riferimento sia dei poveri come degli intellettuali.
"E’ vero, vedo anch’io missionari che si comportano in maniera vergognosa; che arrivano a trarre personale profitto delle debolezze e miserie della gente. Non so che dire, cerco di partire da me, di dare la disponibilità totale della mia persona".
Ma questa divaricazione tra sbandati ed eroi, non indica uno smarrimento dell’istituzione Chiesa?
"No. Proprio l’istituzione è ricca di persone che è giusto definire eroiche. Non si può generalizzare, attribuendo alla Chiesa una serie di comportamenti riprovevoli."
Ci sembra di aver visto una crisi del cattolicesimo anche nel recupero di altre fedi, come le religioni animiste africane, a Salvador Bahia il Candomblè, a Rio la Makumba…
"Questo avviene soprattutto nello stato di Bahia. E’ la risposta a un peccato storico della Chiesa, la sua connivenza con lo schiavismo, arrivata al punto che uno schiavo valeva di più se battezzato. Ma la loro cultura, la loro religione, sia pur sottotraccia è rimasta, e ora riemerge".
Però non è un fenomeno solo dei neri; questa religione è abbracciata da molti bianchi. Vedere uomini e donne dall’aspetto germanico invocare gli spiriti dell’Africa dà l’idea del crollo di un’egemonia culturale…
"Questo è l’effetto del mix di culture proprio del Brasile, un fenomeno tutt’altro che negativo. Anche perché il punto non è certo litigare sulle differenti fedi, bensì costruire una società più umana. E molte di queste religioni operano in tale direzione; nella vita sociale ci troviamo fianco a fianco."
E la Chiesa Universale di Dio? Abbiamo assistito a una loro funzione religiosa, con una sorta di telepredicatore che invasava una folla: ci è sembrata una somministrazione di oppio, venduto peraltro - così ci hanno detto - a carissimo prezzo.
"Condivido in pieno questo duro giudizio. Si tratta di un movimento religioso creato da un impresario che vi ha intravisto la possibilità di fare soldi sulle spalle della gente. A costoro possiamo rivolgere la stessa accusa che i protestanti nel ‘500 rivolgevano alla chiesa cattolica: vendono la salvezza".
Ma insisto: questo fiorire di nuove religioni, belle o brutte che siano, non deriva da un clamoroso arretramento della Chiesa cattolica, che - se non sbagliamo - era assolutamente maggioritaria?
"Siamo ancora maggioranza. Ma è vero, abbiamo difficoltà. Il fatto è che sia la politica nazionale che quella internazionale (soprattutto gli Usa, ancor più con Bush) ostacolano una Chiesa che pratica la teologia della liberazione, a favore di quelle che fungono da oppio dei popoli. Un solo esempio: noi preti cattolici troviamo grandi difficoltà ad ottenere i visti di ingresso, mentre i missionari protestanti, che si caratterizzano per ignorare i problemi sociali, entrano senza alcun problema".