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QT n. 6, 23 marzo 2002 Servizi

La nuova Rifondazione

Rifondare non è mai facile; rifondare il comunismo poi... Loro comunque ci provano.

Per molti dei partecipanti all’ormai famosa manifestazione no-global di Genova del luglio scorso, costituiva una piacevole sorpresa vedere lavorare fianco a fianco tre entità organizzative diversissime: i cattolici della rete di Lilliput, i sindacalisti della Fiom, i comunisti doc di Rifondazione. Chi scrive, per puro caso, fece quel viaggio su uno dei pullman di Rifondazione: ed era un autentico piacere trovare gente disposta ad accoglierti come uno dei loro, pur sapendo che non lo sei, e discutere con cordialità e scherzare e confrontarsi. Un’atmosfera le mille miglia lontana dalla cupa e settaria chiusura cui quei militanti, un po’ fuori dal tempo e dal mondo, ci avevano abituato.

Il segretario di Rifondazione Comunista, Agostino Catalano.

Anzi, a Trento, Rifondazione era ancor peggio. Un partitino irrilevante, dove poche persone rissose si azzuffavano per alcuni strapuntini che davano una scarsa visibilità personale (vedi Valduga e Speri se ne vanno e Anche i comunisti litigano).

Tutto questo è stato spazzato via. "Abbiamo un partito nuovo, un partito aperto" - ha affermato con orgoglio il segretario Agostino Catalano nella sua relazione introduttiva all’ultimo congresso del partito, tenutosi nei giorni scorsi. E questo è stato un dato sottolineato da tutti gli interventi: un partito dove ci si confronta senza problemi, che dà spazio ai giovani, che entra facilmente in relazione con le varie anime del movimento no-global, senza settarismi né stupidi orgogli di parrocchia (Il partito dentro il movimento).

Insomma, un’organizzazione in cui si sta bene, e che riesce a rapportarsi positivamente con gli altri.

Sì, ma per fare che cosa? L’orizzonte culturale è quello della"alternativa anticapitalista": "Attenzione - ha ammonito uno dei giovani, Mattia Pelli - il movimento no-global è antiliberista (è cioè contrario alla mancanza di regole del mercato globale, n.d.r.). Noi dobbiamo fare evolvere questa posizione verso l’anticapitalismo: il nostro fine è la socializzazione dei mezzi di produzione. Anche se sui nuovi modi di tale produzione c’è molto da discutere".

Qui risiede uno dei nodi del partito. Il quale dall’esplodere dei disastri innescati dal mercato selvaggio, dal sorgere di un’opposizione vasta e ramificata, ha trovato nuova linfa e nuovi argomenti. Ma si trova costretto a fare i conti da una parte con l’insuccesso storico del comunismo; dall’altra con il consenso riscosso dalla via riformista (o socialdemocratica), che, sia pur fra limiti e errori, è comunque riuscita nel secolo scorso a disciplinare e ad orientare mercato e produzione capitalista.

Da qui, secondo noi, una divaricazione. Tra la fermezza nel denunciare le storture dell’economia (soprattutto mondiale), gli attentati ai diritti dei lavoratori, le condizioni di povertà; e l’indeterminatezza delle proposte alternative. Rifondazione, insomma, non si pone come un partito che ha soluzioni, ma che "cerca di ricostruire una prospettiva".

In questo percorso ci è sembrato di vedere grande onestà e libertà intellettuale. Anche al congresso di Trento si è posto il problema di una critica radicale al proprio passato ("compagni, il problema dello stalinismo"); e di una ridefinizione di concetti storici, a iniziare da quello di imperialismo.

Però, quando si "cerca di ricostruire una prospettiva", fatalmente si hanno poche certezze, e si sanno fornire poche indicazioni operative. Il che può andare benissimo per un centro-studi o una fondazione, meno per un partito.

Ed ecco allora l’approdo un po’ paradossale che in diversi, al congresso, hanno con tanta passione sottolineato. Ci si mobilita per l’Afghanistan, contro la guerra, per i derelitti del mondo; "sono però insufficienti le proposte di politiche economiche e sociali nazionali"; "non riusciamo ad avere obiettivi e incidenza nelle amministrazioni locali".

Col pericolo della fuga dalle responsabilità: "Perché sul Kossovo ognuno può dire quello che gli pare. Sui problemi di un quartiere invece, bisogna studiare, approfondire, e poi pesare le parole" mi ha detto un militante.

Il senso di un partito che si definisce "antagonista" sta probabilmente nel superare questo scoglio.