Quando una comunità è minacciata
Dalla valle di Fiemme allo stato del Paranà, in Brasile. L’esperienza di un giovane trentino, studioso di giurisprudenza, le comunità dei Quilombos (ex-schiavi), la proprietà collettiva della terra, le conseguenze pratiche e, con Lula, le implicazioni giuridiche.
Che cosa hanno in comune la Valle di Fiemme e la Comunità di Invernada dos Negros nello stato del Paranà, in Brasile? Apparentemente nulla, ma se chiedete ad Eugenio Caliceti, studente di giurisprudenza che quella comunità ha studiato, troverete invece dei sorprendenti parallelismi.
Eugenio è un bel ragazzone dallo sguardo vivace e aperto che risiede a Cavalese con la famiglia. Il papà, bolognese di origine e di professione veterinario, si trasferì in val di Fiemme nel 1978 perché colà aveva vinto la condotta. Eugenio è cresciuto in valle finché non ha deciso di iscriversi all’università. La scelta di giurisprudenza non nacque da una precoce vocazione, ma fu dettata un po’ dalla sua propensione per gli studi umanistici e un po’ dal desiderio di non allontanarsi troppo da casa. Ma la vita, proprio lui che non ci teneva a viaggiare, l’ha portato dall’altra parte del mondo a studiare le comunità Quilombolas. E su questo argomento, o meglio sul parallelismo tra le proprietà collettive della terra in Italia e in Brasile, sta costruendo la tesi di dottorato, lavoro che prevede di concludere nel 2008.
Il suo primo contatto con il Brasile lo ebbe nel 2004, quando, tramite il Comitato Italiano Amici dell’MST (Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra, vedi scheda I Sem Terra), trovò un professore d’oltremare interessato all’argomento. Tornò poi in Brasile nel 2006, fermandosi prima all’Università UNIVALI a Itajaì nello stato di Santa Catarina e in seguito passò al NUER (il centro di antropologia del dipartimento di scienze umane dell’Università Federale di Santa Catarina) per studiare un decreto emanato nel 2003 dal presidente Lula, in base al quale viene riconosciuto il titolo di proprietà, sulle terre tuttora in loro possesso, alle comunità Quilombolas occupanti. In quell’occasione Eugenio studiò a fondo anche la comunità Invernada dos Negros, piccolo gruppo composto attualmente da circa 150 persone distribuite in quattro diversi insediamenti.
La storia di questa società è complessa e segnata da varie vicissitudini: sfortune giudiziarie, perdita di gran parte della terra, sfruttamento colpevole del territorio da parte di un’industria della carta, la Empresa de Papel e Celulose Iguaçù. Questa azienda disboscò intensivamente la zona, riducendo drasticamente la quantità di Pino Araucaria, albero simbolo dello stato del Paranà, i cui frutti sono una componente importante dell’alimentazione tradizionale.
La comunità subì così un doppio torto, primo perché del taglio degli alberi non venne indennizzata e secondo perché il suo equilibrio socio-ambientale ne uscì compromesso. Dopo il taglio della varietà autoctona, furono introdotte vaste piantagioni di pino americano ed eucalipto, incidendo direttamente sulla biodiversità del territorio, e di fatto impedendo le attività tradizionali di raccolta, di pesca e di caccia. La quantità delle riserve idriche diminuì sensibilmente. Inoltre furono introdotte forme di lavoro stagionale salariato completamente estranee che minacciarono la coesione del gruppo, fondata anche sulle relazioni cooperative che caratterizzano le economie tradizionali, senza alcun miglioramento delle condizioni di vita dei membri del gruppo.
Nel 2003 la comunità si rivolse al NUER manifestando la propria volontà di avviare il complesso procedimento per la regolarizzazione fondiaria. Ed è stato proprio a seguito di questa richiesta e degli studi avviati che Eugenio ha potuto conoscere la comunità.
Scorrendo la storia dei Quilombos, si coglie qualche singolare parallelismo con le vicende della Magnifica Comunità di Fiemme, da cui lei proviene. Per esempio le minacce esterne che minano la forza e la coesione della comunità. Si può dire che, ovunque nel mondo, i gruppi che usano collettivamente le risorse naturali, percorrono strade parallele e affrontano problemi simili?
I Quilombos
Le prime comunità dei Quilombos nacquero a seguito della schiavitù (che in Brasile venne abolita solo nel 1888) ed erano composte da individui fuggiti, affrancatisi quindi dalla loro condizione di schiavi. Ebbero una vita difficilissima perché sottoposte a violente e impunite persecuzioni, ma il fatto che spesso si insediassero in zone di difficile accesso ha permesso la sopravvivenza di qualche gruppo, che oggi viene studiato per il particolare regime d’uso comune delle risorse naturali, sopravvissuto praticamente intatto per secoli. In seguito vennero definite comunità Quilombolas anche quelle costituite da schiavi liberati. Oggi il riconoscimento di comunità Quilombolas è complesso e articolato ed è materia di studio degli antropologi.
"In un certo senso. I problemi sono sostanzialmente due: proteggere l’autonomia della comunità dall’azione disgregatrice di soggetti esterni e indurre una dinamica che, all’interno del gruppo, promuova il processo che porta verso un progetto democratico. Vi è poi un terzo problema, che mette in rilievo la vocazione istituzionale pubblica o privata degli enti come la Magnifica Comunità di Fiemme o le associazioni che rappresentano le comunità Quilombolas. In Brasile il fenomeno è ancora troppo recente perché si possa ipotizzare quale sarà la natura di queste istituzioni".
Quante sono le comunità dei Quilombos in Brasile e dove sono localizzate?
"Difficile a dirsi. Vi sono stime che individuano il territorio tradizionalmente occupato dalle comunità Quilombolas nel 4% della superficie del Brasile. Se si pensa alle sue dimensioni, si può comprendere l’entità del fenomeno. Dai rilevamenti finora effettuati, esse sono distribuite su tutto il territorio nazionale, con prevalenza negli stati del nord e del nord-est del Brasile".
Quale è attualmente la condizione di queste comunità?
"Al di là di un numero limitato di casi già ufficialmente riconosciuti, le comunità stanno vivendo un processo di auto-coscientizzazione identitaria, che avviene il più delle volte parallelamente al procedimento amministrativo di regolarizzazione fondiaria. Solo dopo il riconoscimento giuridico, avvenuto con la Costituzione del 1988, è stata rivalutata una origine Quilombolas, che in precedenza era negata in quanto nessuno voleva essere considerato discendente di schiavi".
Quale è il rapporto delle comunità dei Quilombos con il Movimento Sem Terra?
"Si stanno elaborando strategie comuni, soprattutto in Amazzonia. Il procedere dello sfruttamento in questa regione comporta normalmente la concessione di terra a imprese per l’allevamento estensivo di bestiame, con l’abbattimento della foresta per la creazione di pascolo o la coltivazione altamente meccanizzata e la conseguente espulsione delle comunità che occupavano il territorio. In questo senso, comune è la battaglia per uno sviluppo sostenibile di questa regione, che non può prescindere dal riconoscere alle comunità un ruolo primario nella gestione della risorse naturali".
Un’idea strisciante e trasversale dell’Occidente è che quando si va nel cosiddetto Terzo Mondo, ci si va per insegnare o comunque portare qualcosa, concetto che sottointende una superiorità, per lo meno culturale. Quale è stata la sua esperienza?
"Il mio approccio è sempre stato di estrema umiltà e rispetto, pensando sempre alla distanza tra le esperienze che hanno segnato la mia esistenza e la loro. In questo senso ho sempre fatto attenzione a non cadere in una facile immedesimazione Vi è una sorta di incomunicabilità nel trasmettere il senso di una condizione di emarginazione. Vi può essere un’intuizione empatica sulla quale sviluppare un forte senso di solidarietà, ma non penso si possa veramente comprendere dall’esterno cosa significhi nascere e vivere nella marginalità".
Dal punto di vista professionale, cosa le ha dato questa esperienza?
"Avendo collaborato sia con giuristi che con antropologi, ho potuto approfondire il riconoscimento della differenza in una prospettiva interdisciplinare. Non è poco, visto il progressivo processo di parcellizzazione dei saperi".
Vede ancora il Brasile nel suo futuro?
"Sicuramente, anche se in questo periodo della mia vita non so quale potrà essere il mio futuro... Ninguem sabe, sò Deus".