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QT n. 6, 23 marzo 2002 Servizi

A che serve il ministro?

Da Silvia a Ermengarda alla Moratti, la grande domanda che ci pone la società: se l’individuo deve adeguarsi (presto) alle necessità sociali, sviluppandosi in un’unica direzione, o se può (a lungo) svilupparsi in tutte le direzioni.

Io insegno la storia e la letteratura ai giovani dell’Istituto industriale di Trento. Ogni anno, una mattina d’aprile - lo richiede il programma - il poeta racconta, a me e ai ragazzi che mi ritrovo nell’aula, la storia di una ragazza giovanissima condannata a morire da un male incurabile. E il poeta, di quell’ingiustizia accusa la Natura crudele: "perché non rendi poi quel che prometti allor?" Un altro poeta, negli stessi giorni, scrive di un’altra ragazza, giovanissima anch’essa, uccisa da una storia incurabile, ma quel male appare a lui caricato di qualcosa di provvidenziale, una "provida sventura".

I versi compiono sempre il miracolo, e catturano l’attenzione dei giovani e del vecchio insegnante. Mentre leggiamo e parliamo, sottovoce, del senso del dolore nel mondo, non pensiamo al ministro, al sottosegretario, all’assessore, né al Comitato di valutazione e alle sue tabelle.

Il poeta, per arginare il male che la Natura e la Storia ci infliggono, ci propone poi un cammino, impervio, che non potremo percorrere mai fino in fondo, ma coraggioso. "Nobil natura è quella/ che…tutti fra sé confederati estima gli uomini/ e tutti abbraccia con vero amor, porgendo/ valida e pronta, ed aspettando aita."

"Tutti", ci ripete il poeta, in due versi consecutivi, perché comprendiamo il valore della solidarietà universale fra gli uomini. Il vecchio insegnante prova a commentare: sono il figlio del primario e dell’infermiera, del docente universitario e della prostituta; del ragazzo del Primiero e del cittadino, del trentino, del lombardo, del siciliano; dell’italiano, dell’albanese, del curdo, dell’africano; del cristiano, dell’ateo, del musulmano.

In quei momenti, di fronte al compito immane, ci guardiamo negli occhi, e ci è indifferente che ministro, in viale Trastevere, sia Letizia Moratti o Tullio De Mauro, Luigi Berlinguer o Franca Falcucci. Ma a che serve allora il ministro, perché lo eleggiamo, dopo aspri conflitti? E con lui il suo presidente, e i suoi compagni di banco, il ministro degli Esteri e dell’Economia? E’ che la scuola non è un’isola, fa parte del continente.

Dipende dal ministro "quanti" ragazzi sono approdati nell’aula a ragionare, e ad emozionarsi, sulle storie di Silvia e di Ermengarda. Dipende dal ministro il percorso che hanno fatto, dalla scuola materna alla secondaria, quando, solo allora, ormai grandi, possono incrociare i versi contorti de "La ginestra". Quando gli abbiamo chiesto di "scegliere" fra guidare il trattore in campagna, o restare con noi, fino a decidere, chissà, di divenire esperti filologi classici. Dipende dal ministro il rapporto che si instaura fra la mia lezione, la storia di Silvia, e quella precedente, e il suo insegnante, del numero e della misura, e quella successiva, del motore, del computer, della tecnica insomma, e quella ancora successiva, della musica, del corpo, dell’arte.

La società industriale, con la divisione del lavoro, ci pone una grande domanda: se l’individuo deve adeguarsi (presto) alle necessità sociali, sviluppandosi in un’unica direzione, o se può (a lungo) svilupparsi in tutte le direzioni, senza escluderne alcuna.

La durata dell’obbligo scolastico, l’età in cui scegliere fra studio e lavoro, i saperi da apprendere e i metodi per insegnarli, la struttura dei cicli, il numero degli indirizzi, la formazione degli insegnanti, il consiglio di gestione degli istituti, il valore da attribuire al diploma, le commissioni d’esame per la valutazione finale, il voto di condotta, anche il rapporto fra scuola pubblica e scuola privata, non sono che le modalità con cui quella grande domanda si presenta ai cittadini.

E’ attorno ad essa che, in fondo, si arrabattano i ministri, gli assessori, i comitati di valutazione, gli insegnanti, quando discutono in piccoli gruppi, o in assemblee affollate, come quelle di questi giorni. E gli studenti adolescenti, quando si riuniscono in autogestione, e poi protestano, e manifestano.

Stiamo parlando di scuola. Quando al mattino si riapre il cancello dell’Iti, ci sentiamo "tutti" uniti in una "catena sociale": le tasse cessano di essere costrizione ed espropriazione. E’ la scuola, il sistema educativo, forse più di quello sanitario, di quello previdenziale, che ci costituisce "società", il luogo dove crescono i cuccioli e gli adulti, quelli che abitano da sempre questo paese, e quelli che ci arrivano adesso. Cambiando insieme, rialzandosi dopo ogni caduta, dandosi e ricevendo reciproco aiuto. "Tutti", sussurra il poeta morto giovane e gobbo.