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QT n. 4, 21 febbraio 1998 Servizi

Islam: c’è da averne paura?

Noi e loro: gli ostacoli dell'ignoranza e del luogo comune; ma anche i reali problemi fra le due culture.

Perché in certi Paesi islamici si pratica l'infibulazione alle bambine?" E' stata questa la prima domanda rivolta al prof. Francesco Zannini, islamologo che ha vissuto a lungo nel mondo arabo, al termine di una lunga, appassionante conferenza tenutasi la settimana scorsa presso l'Istituto di Studi e Ricerche Sociali di Trento; un incontro che si proponeva di aprire almeno qualche spiraglio in quel muro di ignoranza e di luoghi comuni che ci separa dalla cultura musulmana. La platea, oltre che di numerosi immigrati, era composta da persone presumibilmente interessate a questi temi, e tuttavia anche in quella sede c'era chi addebitava all'Islam un barbaro costume che è invece frutto di tradizioni locali, che nulla hanno a che spartire con la religione. Tanto è vero - ha risposto l'oratore - che in Egitto l'infibulazione è più diffusa fra i cristiani copti che non fra i musulmani. Sarebbe come voler mettere sul conto del cattolicesimo la mafia e la camorra solo perché caratteristici di un Paese dove si pratica quella religione; ma già, come recita un proverbio arabo, "il cammello non vede la propria gobba, vede quella di suo fratello ".

Un discorso non molto diverso si può fare a proposito della violenza nella lotta politica e di una certa aggressività che caratterizza alcuni paesi arabi: un uso troppo disinvolto, nelle cronache giornalistiche, dell'espressione "fondamentalismo islamico", diffonde anche in questo caso l'idea che alla base di fenomeni quali il terrorismo, l'intolleranza e l'esistenza di regimi dittatoriali, vi siano chissà quali caratteri perversi della religione islamica, anziché vicende storiche e situazioni economico-sociali. "L'intermittente guerra civile in Manda - nota il dott. Adel Jabbar, sociologo - vede sì schierati su fronti opposti cattolici e protestanti: ma nessuno pensa che sia una guerra di religione: quelle tensioni vengono giustamente inquadrate in un contesto sociale, storico, politico..."

E quanto all'intolleranza che caratterizzerebbe i musulmani, il dott. Khaled Hussein, segretario della Comunità Islamica del Trentino-Alto Adige, ricorda che là dove l'Islam si sostituì al cristianesimo come religione dominante - dalla Spagna alla Sicilia - le chiese cristiane rimasero; dove invece prevalse il cristianesimo, le moschee furono rase al suolo.

Per capirci qualcosa, bisogna partire dall'idea che l'Islam non è una realtà monolitica, ma un mondo variegato che spazia dalla Tunisia alla Cina e dove - anche a causa dalla mancanza di una suprema autorità religiosa assimilabile al nostro papa, esistono situazioni e atmosfere molto diverse. Tutte accomunate, naturalmente, dall'osservanza dei cinque pilastri dell'Islam (la fede in Allah unico dio e nel suo profeta Muhàmmad; la preghiera; il digiuno del Ramadan; la Zakàh, una sorta di tassa o elemosina codificata; il pellegrinaggio alla Mecca), ma per il resto adattate alle situazioni locali: "La differenza fra pensatori islamici - dice un proverbio - è un sollievo per il popolo ".

"E quindi - spiega il prof. Zannini - accanto all'Islam dei Paesi arabi, troviamo quello indonesiano, che da spazio a una società di tipo matriarcale, o quello cinese, fortemente influenzato dal Taoismo ".

E' importante conoscere la realtà dell'Islam; ma lo è altrettanto aver coscienza di come gli occidentali lo hanno percepito nel corso del tempo, adottando quasi sempre dei cliché, letterari (il mondo favoloso delle "Mille e una notte ") o giornalistici che siano.

Questi rapporti sono stati però quasi sempre conflittuali, a partire dalle Crociate; e come in quei tempi lontani, ecco che di nuovo il mondo islamico è tornato ad essere "un simbolo del male, sul quale riversare i nostri mali per combatterli arrivando così a una sorta di purificazione. Un 'operazione favorita dal crollo del tradizionale nemico dell'occidente in questo secolo: il comunismo".

Per spiegarci la situazione odierna, e senza tornare troppo indietro negli anni, bisogna almeno ricordare come è avvenuta, nel dopoguerra, la decolonizzazione di questi Paesi: "Da Ben Bella a Burghiba - spiega Zannini - i rivoluzionari che prepararono le indipendenze cercarono di adattare all'Islam delle ideologie tipicamente occidentali, come il socialismo. Un 'operazione che non riuscì, né sul piano politico-sociale (dove diede orìgine a dittature e a fenomeni di corruzione, senza portare il benessere sperato), né su quello culturale, dove provocò uno sna-turamento della cultura tradizionale. Insomma, niente progresso, niente più Islam, e la crescente pressione neocoloniale sul piano economico e culturale.

Da qui nasce un radicalismo che si richiama all'antica identità religiosa, identificata come età dell'oro. Per difendersi dall'attacco dell'Occidente, non resta che innalzare una barriera mentale e fisica nei confronti degli aggressori e intanto procedere alla re-islamizzazione. Una battaglia anzitutto intellettuale, che solo in casi estremi può tradursi in terrorismo".

Di tutto ciò, e in particolare delle reazioni più violente, la religione non è la causa, ma piuttosto una bandiera,

quella più capace di mobilitare le coscienze. Fenomeni del genere capitano ovunque, anche in Italia, ad esempio quando alla delusione per il mancato progresso sociale negli anni successivi all'Unità, il Mezzogiorno reagì con fenomeni di banditismo che spesso facevano della religione la propria insegna.

"Lepopolazioni dell'area islamica - dice Adel Jabbar - non rivendicano una specificità religiosa più di quanto non faccia qualsiasi altra popolazione, né vogliono contrapporsi a società di diversa religione. Semplicemente, aspirano a migliorare le proprie condizioni di vita: ricordiamo che buona parte dell'area islamica fa parte del cosiddetto Sud del mondo, dove Paesi come la Colombia cattolica, il Bangladesh musulmano, e lo Sri Lanka buddista si assomigliano quanto a povertà, sperequazioni economiche, instabilità e violenza politica: la religione non e 'entra.

Comunque ricordiamoci sempre - conclude Jabbar - che l'Islam può essere interpretato in senso conservatore o contestatario, informa riformista o rivoluzionaria. Ma tutti sono alla ricerca di una maggiore autenticità che permetta alla società una vitalità propria, riducendo alcune influenze esterne considerate incompatibili con i valori e gli interessi delle società islamiche."

Il prof. Zannini ribadisce a sua volta che il mondo islamico non è monocorde, e non mancano le voci critiche di chi, respingendo la più facile via del fondamentalismo (che comunque non significa terrorismo), ma volendo ugualmente uscire da una situazione neocoloniale vissuta come umiliante, invita a non cercare nel Corano la soluzione di tutto e ad avviare piuttosto un proprio originale approccio alla modernità, alla laicità.

Ma queste voci dissonanti faticano a trovare orecchie attente nei media del mondo occidentale, e intanto certe politiche immigratorie (quanto meno distratte) tendono a relegare gli stranieri in un ghetto sociale e culturale che non può certo favorire una pacifica integrazione, e in tal modo lo stereotipo di un mondo islamico aggressivo e intollerante, favorito da questi comportamenti irresponsabili, rischia di venir confermato.