I primi (amari) frutti della scuola provinciale
Educazione permanente: il ministro di Roma si muove, l'assessore Valduga frena. E' così che funziona il "laboratorio trentino"?
A cosa dovrebbe servire la scuola provincializzata? Come in altri campi, anche in materia scolastica l'autonomia può consentire di legiferare in maniera più agile, di avviare soluzioni innovative, di fungere insomma - come ogni tanto si sente dire - da laboratorio in cui si sperimentano delle novità che domani potranno essere patrimonio di tutto il Paese.
La partenza della nuova scuola trentina, da questo punto di vista, non è molto confortante, e dopo la vicenda del contratto ancora in alto mare e i ritardi nell'applicazione dell'autonomia scolastica, ecco un'altra storia che sembra dar ragione a chi sostiene che un'autonomia mal gestita può addirittura lasciarci indietro rispetto a chi (le regioni a statuto ordinario) si limita ad applicare la normativa nazionale.
Il tema in questione è la cosiddetta educazione permanente, cioè la scuola per gli adulti: nel luglio scorso un'ordinanza del Ministero della Pubblica Istruzione sollecitava la creazione di Centri territoriali di educazione permanente che avrebbero dovuto gestire tutte quelle iniziative (150 ore, corsi di italiano per stranieri, brevi corsi di aggiornamento) riservate agli adulti, che attualmente vengono organizzate da (alcune) singole scuole.
Per capire cosa cambierebbe con questa piccola riforma, ci facciamo spiegare da Paolo Bari, insegnante delle 150 ore a Trento e membro del Comitato Tecnico per l'educazione degli adulti presso la Sovrintendenza, come funziona attualmente la cosa.
"In Trentino, i corsi delle 150 ore sono presenti presso scuole di Trento, Rovereto, Riva, Pergine, Mezzolombardo. E in questi istituti si organizzano anche altre iniziative, dall'insegnamento dell'italiano riservato agli stranieri,
a corsi di vario genere per l'acculturazione di persone adulte: ma tutte queste attività possono essere attivate solo se e quando troviamo degli sponsor che ce le finanzino: Casse Rurali, Fondazione Caritro, Comuni..."
La creazione dei Centri Territoriali permetterebbe di lavorare in maniera più efficace: con una struttura autonoma che si occupi specificamente di educazione per gli adulti (che ora invece è la parente povera della scuola "normale"), con un qualche rafforzamento dell'organico e poi con la garanzia economica di poter mettere in piedi tutte le iniziative necessarie.
La novità non è però piaciuta all'assessore provinciale all'istruzione Valduga, che senza fornire motivazioni si è limitato a ricordare che la Provincia di Trento, grazie alle proprie competenze in materia, "non è tenuta ad adottare come proprio il modello prefigurato nelle circolari ministeriali, potendo la stessa ricorrere a soluzioni autonome ".
Quali soluzioni autonome? In quanto domandano, in due distinte interrogazioni, i consiglieri Chiodi e Benedetti; quest'ultimo chiedendosi ironicamente "se la provincializzazione della scuola trentina prevede anche il non recepimento di normative nazionali volte al miglioramento e potenziamento delle occasioni formative già presenti sul territorio ". Parole analoghe a quelle dei docenti trentini delle 150 ore, i quali ribadiscono quella che dovrebbe essere un'ovvietà: "Le norme di attuazione in materia scolastica devono essere occasione per fornire risposte più puntuali ai bisogni e non motivo di rinvio delle innovazioni e degli stimoli al miglioramento del servizio che provengono dal Ministero " Ma perché quest'avversione?
Paolo Bari ritiene che si tratti di un equivoco: "Alla Formazione Professionale devono aver capito che i Centri Territoriali previsti dal ministero siano un doppione, che si occupino anch'essi di formazione professionale e che dunque risultino inutili. Del che sembra essersi persuaso anche l'assessore. Ma non è così: ci occupiamo di cose diverse. Semmai, con la Formazione Professionale, sarebbero possibili delle collaborazioni in occasione di certi corsi: loro si occuperebbero come sempre degli aspetti professionali, noi di quelli culturali."
Più che con la Formazione Professionale, non c'è un rischio di sovrapposizione con l'Università della Terza Età?
"No, nemmeno. Sia perché noi ci rivolgiamo ad un'utenza più giovane, sia soprattutto perché i nostri corsi sono molto più brevi e mirati."
Per sapere come proseguirà la vicenda, non resta che attendere la risposta dell'assessore alle due interrogazioni (un'altra, in Parlamento, è stata indirizzata al ministro da Marco Boato) e quindi un incontro fra le parti interessate previsto per la metà di marzo. Intanto Paolo Bari commenta: "A quanto pare, tutti possono occuparsi di educazione degli adulti: tranne la scuola pubblica..."