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QT n. 4, 21 febbraio 1998 L’intervista

La nostra paura di un "clericalismo" musulmano

A colloquio con il segretario della comunità Islamica.

C'è una parte della società italiana, vasta anche se forse non maggioritaria, che pur non ignorando i problemi innescati dal fenomeno migratorio, è però convinta che la prospettiva di una società multietnica, oltre che inevitabile, sia positiva; e vive con curiosità intellettuale e simpatia umana (non con semplice "tolleranza") le espressioni di culture diverse che sempre più si intersecano con la nostra vita quotidiana. In questo rapporto positivo, c'è forse un solo terreno nel quale il dialogo risulta difficile: quello religioso.

Questa parte di opinione pubblica più aperta e disposta all'incontro, appartiene ad un'area politica che conserva, nella sua memoria storica, il ricordo di aspre lotte contro un clericalismo che condizionava pesantemente ogni aspetto della vita associata, negando diritti civili e libertà individuali, censurando la libertà di opinione e l'espressione artistica. E dopo aver fatto tanti passi avanti sulla strada della laicizzazione dello Stato, eccoci a fare i conti con la presenza sempre più corposa dei fedeli di una religione, quella musulmana, che a volte ci appare pericolosamente rigorosa e invadente, tanto da indurci ad essere - qui sì - semplicemente "tolleranti" nei confronti dei nostri interlocutori musulmani. Quanto questa impressione sia fondata o dipenda invece da ignoranza e adesione a luoghi comuni, giudichino i lettori. Noi ci limitiamo a fornire, come materiale su cui riflettere, una breve conversazione col segretario della Comunità Islamica del Trentino-Alto Adige, il dott. Khaled Hussein.

Uno degli aspetti della vostra religione che più colpisce e suscita perplessità fra gli occidentali è il rigore con cui essa da prescrizioni in ogni campo del vivere quotidiano, anche al di fuori dell'ambito strettamente religioso: ad esempio, in tema di alimentazione.

"Noi applichiamo alla lettera quanto prescrivono i libri sacri, compresa la Bibbia, al massimo adattandone i dettagli a seconda dei tempi e dei luoghi. E allora rovescio la domanda: se nella Bibbia si vieta di mangiare carne di maiale, come mai i cristiani non seguono questo precetto? Dal Vangelo non risulta che Cristo abbia considerata superata questa norma, altrimenti, come per altre cose, l'avrebbe infranta lui stesso per farcelo capire."

Ma ha ancora un senso seguire delle norme che evidentemente furono date per ragioni igienico-sanitarie che oggi, in contesti diversi, hanno perso il loro valore?

"Se sei credente, e convinto che sia Dio ad averti dato certe regole, devi rispettarle comunque. D'altra parte, non mi sembra che le motivazioni che inducono ad astenersi, ad esempio, dall'alcool e dalla carne di maiale, siano venute meno. Nessun medico ti consiglierà mai né l'uno né l'altra..."

Nel dibattito seguito alla sua conferenza, il prof. Zannini si è rifiutato di rispondere a una domanda riguardante la condizione della donna nell'Islam, dicendo che un tema così delicato non poteva essere trattato in poche parole, pena il fraintendimento. Lei, conoscendo le perplessità e le critiche della cultura occidentale a questo proposito, cosa può dirci?

"Cominciamo col dire che la mercificazione del corpo femminile così come si pratica in Occidente (nella pubblicità, nello spettacolo, ecc.), non mi sembra aver nulla a che vedere con la libertà e l'uguaglianza rispetto all'uomo. Quanto alla presunta condizione di sudditanza della donna islamica, ricordo che già centinaia d'anni fa la donna musulmana aveva il diritto di voto (nell'elezione del Califfo), e l'Islam le riconosce esplicitamente il diritto di scegliersi il proprio compagno, di trovare soddisfazione sessuale nel matrimonio, in certi casi di chiedere il divorzio, e di praticare il controllo delle nascite, e anche l'aborto, sia quando è in pericolo la sua vita, sia quando il neonato rischia di nascere con delle malformazioni. E ancora, l'Islam prescrive che la donna, al pari dell'uomo, abbia un'istruzione: 'Studiare e richiedere la conoscenza è obbligatorio per ogni musulmano e musulmana' - sta scritto nei Detti del Profeta.

Quanto alla poligamia, va precisato che Muhàmmad la permette, ma aggiunge: 'Se però temete di comportarvi in maniera non equa, allora la moglie sia una sola... ciò è più atto ad evitare di essere ingiusti'. Si potrebbe anche intendere che, essendo molto difficile poter rispettare quella condizione, in realtà il consiglio sia quello di evitare la poligamia..."

L'aspetto che in definitiva preoccupa maggiormente nell'Islam è l'integralismo religioso, ossia la tendenza a tradurre le prescrizioni religiose in normativa statale valida per tutti: è un'esperienza che l'Occidente ha vissuto in tempi lontani e che certo non rimpiange. Anche se forse è un pericolo che viene enfatizzato: ho letto che degli oltre cinquanta stati che fanno parte della Conferenza Islamica mondiale, soltanto cinque (Arabia Saudita, Afghanistan, Iran, Pakistan, Mauritania) dichiarano di basare la propria costituzione sulla Sharia, il corpus giuridico islamico...

"L'Islam è contrario ad ogni costrizione in materia religiosa: le prescrizioni devono riguardare solo i credenti. Uno straniero non potrà, evidentemente, vendere alcolici o carne di maiale, ma se vuole può cibarsene. Il fatto, ad esempio, di non farsi vedere in pubblico mentre mangia in periodo di Ramadàn, è una questione di educazione, di buon gusto, come il togliersi le scarpe prima di entrare in una moschea, ma non è cosa che debba comportare sanzioni ".

Eppure in Afghanistan...

"Quei divieti non hanno niente a che vedere col Corano e con l'Islam: sono frutto di interpretazioni assurde ".