Avvocate contro la Giunta
Impugnata al Tar la nomina del dirigente del servizio legale.
Cominciamo a spiegarvela con una similitudine. Immaginate di dover subire un’operazione al cervello. E immaginate che vi dicano che ad operarvi sarà un medico il quale, benché laureato, non ha mai visitato un paziente e non ha mai preso in mano un bisturi, neanche per asportare un callo.
Cambiate ospedale, vero?
Purtroppo, nella questione che andiamo a raccontarvi, noi trentini non possiamo andare in un altro “ospedale” e la nostra similitudine ci serviva solo per rendere plasticamente l’idea di quello che ha recentemente fatto la giunta Fugatti decidendo di mettere a capo dell’Avvocatura provinciale un dirigente completamente privo di esperienza forense.
L’esempio della neurochirurgia non è fuori scala. L’Avvocatura è un servizio cruciale della Provincia: difende l’amministrazione in tutte le cause di ogni ordine e tipo. Comprese, ad esempio, quelle davanti alla Corte Costituzionale, nella quale si giocano spesso dei pezzi della nostra autonomia. O in tante altre dove sono in gioco molti soldi. Nostri.
Ciononostante, il 9 febbraio scorso la giunta ha nominato a capo dell’Avvocatura Enrico Menapace, un dirigente provinciale laureato sì in giurisprudenza, ma che non ha mai calcato i corridoi di un tribunale. Tanto che si è iscritto all’Ordine degli avvocati solo lo scorso 1° marzo.
Una scelta che ha lasciato di stucco gli altri avvocati provinciali.
A quel punto alcuni di loro, in particolare quattro avvocate di grande esperienza, hanno deciso che non potevano stare ferme ed hanno presentato un ricorso al Tar contro la decisione della giunta. Non capita tutti i giorni che dei funzionari provinciali si mettano di traverso sulle scelte della politica. E a prima vista pare strano che lo facciano: devono o non devono essere fedeli servitori? Ma in realtà, in questo caso lo sono: al servizio del buon funzionamento delle istituzioni.
Ma anche per poter lavorare in tranquillità.
Va detto che è la legge stessa, con una norma specifica, ad imporre autonomia, indipendenza e libertà di giudizio per il servizio legale di un ente pubblico. E che l’avvocato pubblico non può fare sempre e comunque quello che dice il suo “cliente”, perché l’amministrazione dovrebbe comunque tenere sempre presenti anzitutto gli interessi della collettività.
Ma se il politico di turno invece volesse altro? Quale autorevolezza può avere un dirigente senza esperienza per dire di no ad un presidente della giunta?
Per non parlare del non piccolo problema dell’abilitazione del dirigente per le cosiddette giurisdizioni superiori (Corte Costituzionale, Cassazione, Consiglio di Stato, Tribunale Superiore delle acque e così via), dove si giocano ovviamente le partite più delicate per l’amministrazione. In queste situazioni Enrico Menapace non potrà nemmeno entrare in partita, perché per accedere a questi tribunali è indispensabile avere dodici anni di esperienza forense. Questo comporta una conseguenza da mettere bene in luce: tutta la responsabilità per le cause ricade sui suoi sottoposti. Che invece quelle abilitazioni ce le hanno. Abilitazioni che, tra il resto, continuano ad essere richieste per ogni posizione dirigenziale anche intermedia nell’avvocatura.
Ma perché mai dunque devono assumersi la responsabilità per atti così importanti senza avere il corrispondente ruolo e, va da sé, lo stipendio?
Qui facciamo un inserto. Dentro l’avvocatura trentina ci sono ben sei legali che avrebbero avuto tutte le competenze necessarie a dirigerla. Ma sono tutte donne. Vi dice niente questo?
Poi, leggendo la delibera con la quale sono stati riorganizzati i servizi provinciali, abbiamo trovato che la giunta ha messo le mani sull’organizzazione dell’avvocatura anche in altri modi.
Siccome il dirigente che è stato scelto non potrà in molti casi fare il proprio lavoro perché non ha l’abilitazione prescritta, ci si inventa un altro ufficio (una cosiddetta Unità di Missione Semplice, che in questo caso vorremmo chiamare Mission Impossible) al quale affidare il “coordinamento del contenzioso, in particolare davanti alle Magistrature Superiori”. Un ufficio ancora da creare e con un dirigente ancora da individuare, cosa che richiederà un bel po’ di tempo. E per il quale si dovrà trovare un altro dirigente che starà lì per risolvere i problemi creati dalla mancanza di abilitazione di Menapace. Peccato che in questo modo abbiamo fatto bingo: paghiamo due dirigenti per fare il lavoro di uno.
Lo zampino di De Col?
Un esempio perfetto di disorganizzazione programmata, che sembra ormai essere la cifra dell’amministrazione ai tempi di Fugatti.
E poi c’è un’altra cosetta della quale invece il ricorso al Tar si occupa diffusamente.
Tenete presente che, per norma di legge, il servizio legale di un ente pubblico dev’essere unitario. Il che significa che tutti gli avvocati sono riuniti in un solo dipartimento, che risponde unicamente al proprio dirigente. Non ci possono essere, insomma, avvocati dispersi nei vari servizi.
Ma nei corridoi della Provincia si dice che questa sarebbe invece l’idea del nuovo direttore generale della Provincia, Raffaele De Col. Perché?
Perché in questo modo si diluisce il profilo tecnico dell’avvocato e lo si infiltra con quello più fiduciario, politico. Ovvero si aumenta il controllo sugli affari legali da parte di quei dirigenti apicali che sono sul confine tra amministrazione e politica. Sarebbe proprio questo lo scopo dell’istituzione di un nuovo “Servizio per gli affari legali e il supporto alla Direzione generale”, che risponde direttamente al dirigente De Col e che fra i suoi compiti avrà quello di “supportare le strutture provinciali nella predisposizione di memorie difensive in occasione di ricorsi giurisdizionali in raccordo con l’avvocatura”. Questa è la seconda decisione della giunta che viene contestata nel ricorso al Tar dalle quattro avvocate. Perché in pratica questo nuovo servizio finirebbe per essere un filtro tra i vari settori della Provincia e l’avvocatura.
Ve la spieghiamo di nuovo con la similitudine iniziale. Dovete sempre farvi operare al cervello. Ma prima dell’operazione il neurochirurgo deve sapere molte cose di voi: i sintomi che accusate, da quando e come si sono manifestati, quali altre malattie avete avuto in passato, che medicinali prendete e giù giù fino a che cosa mangiate a colazione. Gli è indispensabile per avere il quadro completo, considerata la complessità dell’intervento. Invece, nel nostro “ospedale”, vi dicono che non parlerete col chirurgo prima di andare in sala operatoria. Ci sarà un infermiere al quale racconterete tutti i vostri guai. E sarà lui a riferire ogni cosa al chirurgo. Però l’infermiere potrebbe - anche involontariamente - non cogliere aspetti importanti, non saper fare le domande giuste. E anche il chirurgo, se è sano di mente, vuole vedervi in faccia prima di aprirvi la testa.
Ecco, le nostre quattro avvocate, nel ricorso, dicono (in termini decisamente meno coloriti, ovviamente) praticamente la stessa cosa: non va bene avere un filtro di questo genere tra loro e i “clienti”, che sono i vari dipartimenti della Provincia. Questo filtro mina la funzionalità e l’efficienza del servizio legale e le mette una volta di più in difficoltà nello svolgimento del proprio lavoro.
Vedremo cosa dirà il Tar su questo ricorso, che non chiede vantaggi diretti per chi lo propone e può diventare un precedente importante per l’organizzazione della burocrazia provinciale.