LaVis: GAME OVER
Estromesso Zanoni, commissariata la Cantina. Una vicenda in cui hanno perso tutti: i contadini, la politica, la cooperazione, la stampa. Un solo vincitore: l’ISA, che ha condotto questa partita a proprio piacimento.
E così alla fine, la Cantina LaVis è stata commissariata. Anzi ricommissariata, in quanto l’Amministratore Delegato ing. Marco Zanoni, cui la Provincia ora ha dato un brusco benservito, è lo stesso Zanoni che la stessa Pat (guidata da Dellai, ma non é questa la differenza) aveva insediato nel 2010 come commissario, lo aveva confermato, aveva poi cambiato la legge per ulteriormente prolungarne la carica, e infine aveva sostenuto nelle nuove vesti di Ad.
Una investitura ufficiale quindi, ribadita in mille dichiarazioni di appoggio ed evidentemente clamorosamente sbagliata. Zanoni non è e mai è stato l’uomo della provvidenza: dopo quasi cinque anni di peraltro ottimamente remunerata permanenza alla LaVis l’ha portata a un passo dal default. Le banche si sono rifiutate di immettere ulteriori soldi in un pozzo giudicato senza fondo, e la Cantina non si è più trovata nelle condizioni di poter operare. A questo punto anche gli assessori (Mellarini e Dallapiccola soprattutto) che si ostinavano ad andare alle assemblee della cooperativa ad assicurare che tutto andava per il meglio, hanno dovuto - implicitamente, per carità - riconoscere di essere degli sprovveduti che parlano in pubblico senza cognizione di causa. Anche il presidente Ugo Rossi, che confidava di fare di LaVis un feudo elettorale come a suo tempo Dellai, e che all’uopo aveva pronti altri 10 milioni poi lievitati a 12,5 per rilanciare la pericolante impresa, anche lui, che aveva a Lavis messo un suo uomo di fiducia, l’affiancatore dott. Andrea Girardi, ha dovuto, di fronte alle relazioni dello stesso Girardi, invertire la rotta di 180 gradi: la Cantina va a rotoli, del suo management va fatta piazza pulita.
Insomma, aveva ragione la Revisione cooperativa, che da anni, e sia pur in ritardo, rilasciava relazioni allarmate sullo stato di salute dell’azienda, duramente contestate dall’arrogante Zanoni, e tenute in non cale dalla politica, che stoltamente pensa di poter prescindere dalla logica dei numeri. Avevano ragione le banche (tranne alcune, come vedremo) che non volevano più dissipare soldi, ricevendo in cambio contumelie e sospetti. E avevamo ragione noi, che da cinque anni abbiamo operato tutta una serie di denunce: contro la malagestione della LaVis, la sparizione di importi milionari, i rapporti subalterni e devastanti con Isa, la finanziaria della Curia; contro la politica che, nonostante tutto questo, certificato anche in sede giudiziaria, si ostinava a supportare un’azienda decotta, senza futuro, dai comportamenti continuamente censurati, che infettava l’economia circostante; e contro la massima dirigenza cooperativa, che fin quasi all’ultimo ha finto di non accorgersi di quanto la situazione fosse degenerata. È lunga infatti la lista dei responsabili: gli amministratori Peratoner, Giacomoni, Andermarcher finiti sotto processo e condannati; l’ex-commissario Zanoni e il suo uomo di paglia il presidente Paolazzi; Lorenzo Dellai; i vari assessori e il presidente Rossi, solo all’ultimo momento ravvedutosi; Isa, l’unica realtà che da tutto questo ci ha guadagnato e che attraverso i suoi tentacoli ha sempre pilotato la vicenda; la cooperazione, che invece non ha pilotato un bel niente, e il presidente Schelfi, schiacciato peraltro nel suo conflitto di interessi per i legami con Isa.
Responsabili sono anche i perdenti, i contadini di Lavis e Cembra. Che si sono dapprima sorbiti Peratoner e poi Zanoni, disposti a credere alle arroganti giustificazioni di tali manager più che alle realtà descritte dai numeri dei bilanci e delle revisioni. E qui si apre un altro problema per la cooperazione: perché alla LaVis si è operata una selezione perversa: i soci più accorti, resisi conto della situazione e per questo trattati a pesci in faccia, se ne sono andati; e nella cooperativa sono rimasti quelli disposti a credere a tutte le bubbole somministrate dal palco delle assemblee. Se nel movimento cooperativo non c’è posto per chi vuole valutare il management, ma solo per chi si dimostra acriticamente fedele, sono le stesse basi costituenti a scricchiolare pericolosamente.
La cooperazione dipinta come un gruppo di gangster
E infatti, nella lunga lista di chi ha perso dalla vicenda della LaVis, al primo posto c’è proprio la cooperazione. Perché una grossa cooperativa (oltre 1500 soci alcuni anni fa) non ha saputo, ripetutamente, governarsi; né sono scattati i sistemi di autocontrollo cooperativo, la Revisione, quando (pur in ritardo) è intervenuta, è stata inascoltata, anzi vilipesa; la presidenza della Federazione, nella persona di Diego Schelfi, già presidente di Isa, già amicissimo di Dellai, è rimasta inerte, subalterna agli interessi della potente finanziaria e alle mene della politica. E così è successo che la Revisione rilasciasse certificazioni allarmate sui bilanci della coop, che Zanoni rispondesse con contumelie al revisore dott. Cozzio e che gli assessori provinciali pubblicamente dichiarassero che aveva ragione il cda e che la cooperativa era avviata su sentieri di prospero rilancio. Schelfi forse non se ne rendeva conto, ma ogni volta che un Mellarini o magari un Rossi lodavano l’operato del cda della Cantina, davano di fatto degli incompetenti (o peggio) alla squadra dei revisori cooperativi. La dinamica è così arrivata a livelli insostenibili; quando poi le Casse Rurali hanno deciso di non concedere altri soldi a un’azienda decotta, la lettura che è stata diffusa, ripresa e perfino fatta propria da due dei quotidiani, è che fosse in atto una congiura, per cui i revisori e le Rurali complottassero per strangolare la LaVis e farla assorbire da Cavit e Mezzacorona. Insomma, Schelfi, Cozzio, il presidente di Cassa Centrale e Rurale di Trento (e ora successore di Schelfi) Fracalossi sarebbero un gruppo di gangster, impegnati attraverso falsificazioni ed abusi di potere a rovinare un’azienda per favorirne i concorrenti. Un’accusa gravissima.
Ovviamente non era vero niente, e la verità la potevano raccontare i bilanci, come ha potuto appurare (ma avrebbe potuto e dovuto farlo prima) lo stesso Ugo Rossi non appena ha piazzato a Lavis un uomo di fiducia. Ma il discredito verso la cooperazione trentina, descritta come istituzione marcia ai più alti livelli, era già stato sparso, né questa ha saputo difendersi e reagire.
Il rovinoso padrinaggio politico
Il secondo grande perdente è stata la politica. Che ancora una volta, prima con Dellai, poi con Rossi, ha dimostrato che quando si assume compiti di padrinaggio verso un’azienda, la si condanna a rapida e rovinosa fine. La LaVis in questo è stata un esempio da scuola: confidando che la protezione di Dellai fosse più robusta di qualsiasi legge economica, la triade Peratoner-Andermarcher-Giacomoni si era lanciata in una serie di spericolate acquisizioni, da Maso Franch a Casa Girelli, aveva smarrito milioni e milioni in opache società estere, aveva messo la testa tra le fauci del leone (Isa) stringendo con la finanziaria del vescovo strampalati e onerosissimi patti tenuti rigorosamente nascosti, in cambio non si capisce di cosa, forse un accreditamento presso i locali poteri forti. E poi ancora dopo Peratoner, Zanoni ha fondato la propria egemonia all’interno della cooperativa non sulla managerialità, ma sulla vicinanza a Dellai e a Rossi, che la confermavano con le parole e i milioni pubblici. Con i risultati che tutti ora possono vedere.
I contadini furbi e quelli fedeli
Hanno poi perso, certo non ultimi, i contadini. Che per tutti gli anni dell’era Zanoni hanno ricevuto compensi per l’uva conferita nettamente inferiori a quelli delle cantine circostanti (nel 2010 25 euro a quintale, poi saliti a 70-80 euro negli anni successivi, contro i circa 100 delle altre cantine), un vero salasso per centinaia di famiglie. E ora, con la crisi conclamata, vedono a rischio i soldi (troppo) generosamente investiti nella cooperativa. E più in generale, hanno visto andare in rovina un’impresa in cui il paese (i paesi, se consideriamo anche la valle di Cembra) aveva da lustri creduto e investito, identificandovi se stesso e il proprio lavoro. Come dicevamo, i più intelligenti, vista la mala parata, pur a malincuore se ne erano andati: agli altri restano ora i cocci.
Infine ha perso la stampa. A parte il Corriere, quasi sempre accorto ed equilibrato, troppo spesso L’Adige e soprattutto il Trentino hanno utilizzato le proprie pagine economiche per tessere le lodi del management della Cantina, per riportarne pari pari, senza alcuna verifica, le deliranti veline autoelogiative, quando non per imbastire autentiche campagne stampa contro i “nemici” della LaVis: le Casse Rurali che non concedono più soldi e - in filigrana - i revisori che obiettano sui bilanci.
Come è stato possibile tutto questo? Per le abissali incompetenze ed arroganze della politica, certo. Per l’inconsistenza della leadership cooperativa di Schelfi e del suo gruppo dirigente, pure.
L’unico vincitore: ISA. E tante cose allora si spiegano
Ma al fondo c’è un altro motivo, che salta fuori se vediamo chi, in questo massacro, ha invece vinto. Tutti hanno perso, ha vinto invece, e alla grande, uno solo: l’Istituto per lo Sviluppo Atesino, ISA, la potente, superprotetta finanziaria della Curia.
Vediamoli i conti su Isa. Nel 2005, congiuntamente con LaVis, compera Casa Girelli, pagandone il 30% con un esborso di 8 milioni. Uno (scellerato) patto parasociale prevede che dopo 5 anni ISA possa rivendere il suo 30% (anzi il 31% cui è salita la partecipazione, senza metterci alcun altro capitale ma per via di un’altra gabola che qui non stiamo a illustrare) ad un prezzo stratosferico, 12,2 milioni. Un interesse immotivato, del 9% composto, definito poi dalla Guardia di Finanza come usuraio. Per garantire alla finanziaria i 12 milioni la triade sottoscrive una fideiussione in favore di Isa, e - come il patto parasociale - la tiene segreta, violando la legge.
Caduta nel 2010 la triade, i patti e la fideiussione vengono allo scoperto. Inguaiano così Peratoner e soci, ma sono però operanti: Isa il 12 agosto esercita l’opzione prevista nell’accordo del 2005, e vende a LaVis la sua quota di Casa Girelli per oltre 12 milioni. A guidare la Cantina in crisi c’è ora Vittorio Brugnara, che come ogni imprenditore in difficoltà cerca di rinegoziare i debiti, soprattutto quelli che hanno esili motivazioni, e lo comunica a Schelfi e agli uffici provinciali. Scatta la contromossa: neanche 20 giorni dopo, il 1° settembre, Dellai commissaria la LaVis, estromette Brugnara e insedia Zanoni. Che subito assicura: i patti con ISA vanno rispettati.
Però tra il dire e il pagare ci sono di mezzo i soldi. Che LaVis non ha. Zanoni, pur con tutta la buona volontà, non paga. Rinegozia quindi le scadenze (non l’entità) del debito, impegnandosi a pagare ulteriori interessi; e qui siamo all’interesse sugli interessi di debiti già scaduti, l’anatocismo, una fattispecie finanziaria disciplinata rigidamente dal codice civile, in quanto può portare alla crescita esponenziale del debito.
Che valore possono avere tutte queste obbligazioni sottoscritte da una società decotta? A ISA evidentemente conoscono il proprio mestiere; ed evidentemente non fidandosi, si sono ulteriormente blindati, prendendo a garanzia, come pegno, l’intera Casa Girelli. Pertanto, se LaVis non paga, ISA può chiedere di mettere in vendita Casa Girelli, o entrarne essa stessa in possesso: dell’azienda magari non sa che farsene, ma il terreno, come da recente stima della Provincia, vale almeno 8,5 milioni (ai valori attuali in quanto classificato come area industriale; e ISA, in occasione del prossimo PRG saprà senz’altro convincere il sindaco Andreatta a migliorarne la destinazione). Basta? Non ancora. Da Zanoni ISA si fa dare la tenuta toscana di Basilica Cafaggio. A prezzo di favore: acquistata a suo tempo per 7,3 milioni, iscritta a bilancio per 6,8 milioni, Cafaggio passa alla finanziaria per 4,8 milioni, che vengono scalati dai debiti.
Ecco quindi il risultato per ISA: investiti con LaVis 8 milioni nel 2005, oggi si ritrova in mano beni per almeno 13 milioni, facilmente incrementabili. Un rendimento di oltre il 60%, niente male.
A questo punto però capiamo tante altre cose. Anzitutto perché ISA in questi anni, e soprattutto in questi ultimi mesi, è stata una fan di LaVis e finanche di Zanoni. Gratitudine? Macché. Tutti questi bei conti che miracolosamente rendono la finanziaria vescovile l’unica beneficiaria di un disastro, possono andare a gambe all’aria: se la cantina dovesse fallire e/o nel caso di un concordato, gli altri creditori attraverso una revocatoria possono rendere inefficaci tutti questi atti con cui LaVis ha di fatto privilegiato il credito di ISA. Che quindi ha tutto l’interesse che la Cantina, magari a forza di soldi pubblici, sopravviva il più a lungo possibile, minimo due anni dai passaggi di proprietà di cui abbiamo parlato.
ISA, lo sappiamo tutti, è il vero potere forte in Trentino: a lei si piega la politica, con lei si intrecciano personaggi apicali nei gangli della società (vedi appunto Schelfi), del mondo bancario (la ex BTB innanzitutto), a lei fanno riferimento giornali e media.
E così si spiega come mai la crisi di una grande cooperativa decotta si sia immotivatamente trascinata per lunghi mesi, lasciando dietro tutta una serie di macerie, economiche e istituzionali.
Ora, con il commissariamento della Cantina, si è forse voltato pagina. Forse. Vedremo il commissario Andrea Girardi, il presidente Ugo Rossi, il nuovo vertice di Federcoop Giorgio Fracalossi alla prova.
Cosa ci aspettiamo dal nuovo commissario
Il nuovo commissario Andrea Girardi è descritto come una persona seria. Noi lo giudicheremo dai fatti. Ecco cosa ci aspettiamo.
- La rimozione di Zanoni dalle cariche nelle società controllate, a iniziare da Casa Girelli. Tali cariche scadono il 30 giugno; se l’ex Ad venisse riconfermato, come a suo tempo lo stesso Zanoni si tenne stretti Peratoner e soci, vorrebbe dire che il commissariamento di Girardi è una burletta e si va avanti come prima.
- L’allontanamento di tutti gli “esperti” della corte zanoniana: sono tanti, sono costosi, hanno fallito. La Cantina, se vuole sperare di salvarsi, deve affidarsi a gente nuova, meno d’immagine e più di sostanza.
- Una due diligence su conti e contratti. Aprire i cassetti, svuotare gli armadi dai probabili scheletri. A cominciare dagli strampalati rapporti con società estere, in cui fin dai tempi di Peratoner sono misteriosamente scomparse vagonate di milioni. Il commissario è anche pubblico ufficiale: se trovasse responsabilità penali, dovrà denunciarle; e dovrà cercare di recuperare, con azioni di responsabilità, gli eventuali importi mancanti.
- Arginare l’avanzata della veronese Azienda Tommasi, cui il veronese Zanoni ha lasciato amplissimi spazi con la svendita della tenuta di Poggio Morino e un insidioso ingresso (per quattro soldi) in Cesarini Sforza.
- Ricontrattare il debito con ISA. Non è possibile che da questa vicenda chi ne esce con le tasche rigonfie sia il vescovo.
- Abbandonare le velleità su LaVis assurdo “terzo polo” del vino trentino. Due poli sono già troppi.
Nonostante queste azioni non è detto che si arrivi ad un risanamento dei conti. Allora il commissario dovrebbe pilotare la Cantina, nelle modalità più indolori possibili, verso un concordato preventivo.