LaVis, lo scandalo è ufficiale
Il vertice nel registro degli indagati, è un sistema di connivenze che inizia ad essere smascherato: i controllori, il Commissario, gli assessori, Dellai..
Con la notizia dell’iscrizione di Fausto Peratoner (direttore, anzi boss della LaVis degli anni d’oro) e di Cesare Andermarcher (suo vice) nel registro degli indagati, a fare compagnia all’allora presidente Roberto Giacomoni, lo scandalo della Cantina LaVis è ora ufficiale.
Dei molteplici aspetti potenzialmente criminali da noi ripetutamente segnalati e denunciati, e poi portati all’attenzione della magistratura da un esposto di soci ed ex-soci, la Procura della Repubblica si è, per ora, concentrata su un’ipotesi di reato: ostacolo all’esercizio della vigilanza, per non aver trascritto nei bilanci, né trasmesso ai revisori della cooperazione, la fideiussione di 12,2 milioni a favore di Isa al tempo dell’acquisto di Casa Girelli.
I nostri lettori ricorderanno la disdicevole vicenda: nel 2005, per comperare Casa Girelli, la triade alla guida della LaVis, invece di chiedere soldi alle banche o ai soci (l’interesse allora era attorno al 3%), aveva stipulato un patto leonino con la finanziaria del vescovo, ricevendo 8 milioni, e impegnandosi a restituirne 12,2 dopo 5 anni, all’interesse del 9%. Il senso della cosa? Nessuno, se non trasferire soldi dai contadini al vescovo.
Un vero esproprio. E appunto la natura predatoria dell’accordo imponeva alcune cautele: da una parte Isa provvedeva a blindarlo attraverso una fideiussione, con cui Giacomoni in quanto presidente impegnava LaVis al pagamento. Dall’altra tutti gli attori tenevano segreto il patto della vergogna e la conseguente fideiussione: Isa non li menzionava al suo cda, né li iscriveva a bilancio; Giacomoni-Peratoner-Andermarcher facevano lo stesso, nulla dicevano ai soci, nulla al cda, niente scrivevano in bilancio, nulla trasmettevano ai revisori. Ma questo è reato.
Per il quale sono ora risibili le difese degli indagati: “Non era mio compito trasmettere atti”. “Io mi occupavo di fare e vendere vino”. “È stato solo un disguido”. Si è trattato di un patto scellerato, sottoscritto contro l’interesse dei soci, che doveva rimanere segreto, a costo di taroccare i bilanci e aggirare i controlli.
Proprio la rilevanza del fatto comporta altri possibili coinvolgimenti. Anzitutto Isa: non vale anche per la potente finanziaria l’obbligo di veridicità dei documenti sociali? Non è che anche per lei sia reato aver nascosto la fideiussione (per quanto a credito invece che a debito), non averla menzionata nei bilanci e ai propri organi di controllo?
Poi gli altri organismi che in questi anni hanno spulciato le carte della LaVis, col compito di verificarne l’autenticità (e magari proteggere gli interessi dei soci). Quando nel giugno 2010 Giacomoni, dovendo di lì a pochi mesi pagare i 12 milioni a Isa, tirava fuori dai cassetti la fideiussione, cosa facevano gli organi di controllo? Segnalavano l’evidente reato alla Procura? Lo faceva la vigilanza cooperativa? Lo faceva l’Ufficio cooperazione della Pat?
E il Commissario? Quando poi, il 1° settembre, Marco Zanoni veniva messo a capo della LaVis, perché non denunciava alla Procura l’occultamento della fideiussione? Essendo pubblico ufficiale, non era obbligato a farlo? E perché, al contrario, oltre ad affrettarsi a riconoscere il debito così malamente contratto con Isa, invece di accompagnare Peratoner e Andermarcher in tribunale, li confermava ai vertici di LaVis e Casa Girelli?
Per ora la Procura si è limitata a ipotizzare il reato di ostacolo alla vigilanza da parte di Giacomoni-Peratoner-Andermarcher; non è però detto che nel corso dell’iter giudiziario, non emergano altre responsabilità. Come quelle, clamorose, relative ai milioni svaniti all’estero.
Ricordiamo i fatti relativi alla società americana Fine Wine International: di proprietà al 100% di Casa Girelli prima, di LaVis poi, con Peratoner e Andermarcher nel cda. Con Peratoner che con il cappello della LaVis inviava milioni di bottiglie in America, e che poi, con il cappello FWI, non pagava. Questo per uno, due, tre, cinque anni; mai il Peratoner lavisano chiedeva indietro i soldi al Peratoner americano. Poi arrivava il Commissario, che si teneva al vertice commerciale il Peratoner lavisano senza chiedergli cosa combinasse in America, anzi munificamente lo amnistiava, rinunciando (li dichiarava “crediti inesigibili”) a ben 7 milioni di crediti mai onorati. Non basta: passato un anno, il Commissario riprende a spedire bottiglie in America, naturalmente a FWI (con a capo ancora Peratoner?).
E i controllori?
Insomma, un verminaio. Di cui la Procura ha scoperchiato una parte. Altro potrà forse individuare il prosieguo dell’iter giudiziario. Altro ancora eventuali richieste di responsabilità civile (cioè risarcimenti) avviate dai soci depredati.
Però già ora il sistema LaVis è smascherato. La pretesa di poter giocare coi soldi dei contadini, devolverli a Isa, nascondere gli atti contabili, creare allegramente buchi in bilancio convinti dell’onnipotenza della protezione politica, si è rivelata un drammatico azzardo. Il gioco è arrivato al punto di ignorare contemporaneamente i limiti posti dall’etica e dall’economia: Dellai ci finanzia e protegge, dei controllori ce ne possiamo fregare, tanto la stampa se ne sta buona a cuccia, Schelfi è dei nostri, e i soci stiano zitti. Ma la realtà ha poi imposto i suoi diritti: i buchi in bilancio prima, la denuncia di un piccolo giornale poi, l’azione legale di soci non acquiescenti e infine l’intervento della magistratura, hanno scoperchiato il pentolone.
Ponendo tutta una serie di interrogativi, basilari per il Trentino. Anzitutto sui controlli: forse tardi, comunque la vigilanza cooperativa il pessimo andazzo della Cantina lo ha rilevato, passando al presidente Diego Schelfi le relative, allarmate informazioni. Schelfi invece non ha fatto una piega: anzi, ha pubblicamente appoggiato una dirigenza che andava come minimo rimossa, se non accompagnata in Tribunale. E d’altronde era difficile aspettarsi altro da uno che, oltre al vertice della cooperazione, era anche al vertice di Isa, e che dalla spoliazione dei contadini ha anche guadagnato personalmente (5.143 euro abbiamo calcolato, poca cosa per un manager, ma indicativi del conflitto d’interessi, e in che direzione viene risolto).
Poi l’Ufficio controlli dell’assessorato provinciale alla cooperazione: se i colleghi di via Segantini si sono comunque dati da fare, in piazza Dante si è invece dormito, ci si è accontentati di documentazioni vistosamente e vergognosamente incomplete, e si è comunque avallato tutto. Il che pone seri dubbi sulla serietà di un’istituzione che, quando è pressata dal potere politico, semplicemente non adempie ai propri compiti. Anzi, funge da alibi: i vari assessori, Mellarini e Panizza, hanno a loro volta supportato la dirigenza della LaVis, e di fronte alle contestazioni (nostre e di qualche socio, sfociate anche in due interrogazioni in Consiglio Provinciali, da parte del Pd e di Idv) hanno ufficialmente risposto, nell’aula di piazza Dante: i nostri uffici ci dicono che va tutto bene, cosa volete?
A questo punto delle due l’una: o Mellarini e Panizza ammettono di aver influito politicamente sull’operato degli uffici, oppure dichiarano di essere stati da essi (conniventi oppure semplicemente pigri, appurino con un’indagine) fuorviati; nel qual caso dovrebbero prendere le decisioni conseguenti.
Vogliamo invece scommettere che i due faranno finta di niente? Che i controllori dormienti verranno lasciati ai loro sonni tranquilli? Ma scusi, assessore Panizza, che si riempie sempre la bocca di Autonomia, si rende conto verso quale baratro di credibilità delle nostre istituzioni portano queste connivenze?
Il fatto è che il pesce puzza per la testa. In questo caso la politica, ossia, oltre agli assessori, Lorenzo Dellai. Il Presidente infatti era notoriamente il padrino della LaVis e della sua dirigenza, cui mai ha fatto mancare il proprio appoggio, con promesse scandite in assemblea di fronte a centinaia di soci altrimenti perplessi. E questo è il punto più dolente: l’appoggio insistito a una realtà economica e ad una dirigenza discutibile, fa montare la testa a persone evidentemente non all’altezza, intimidisce i controllori, inquina le dinamiche economiche e sociali. Il fatto che ancora oggi, come testimonia il nostro blog, una parte consistente di contadini lavisani pensino che sia meglio non contraddire gli uomini di Dellai perché “lui se vuole può salvarci” indica il degrado economico, culturale e sociale indotto da queste contiguità tra il presidente e alcune realtà imprenditoriali (che poi finiscono con l’uscire dalle logiche dell’economia; accenniamo qui solo di sfuggita al caso della Zini costruzioni, dei reciproci favori tra l’azienda e Dellai - vedi QT dell’11 ottobre 2008 - e del successivo fallimento).
Il Commissario nell’angolo
Infine il Commissario. Che come primo atto avrebbe dovuto, da pubblico ufficiale, individuare ed eventualmente denunciare le omissioni e i possibili reati dei precedenti amministratori. Invece non fa niente di tutto questo, anzi conferma ai vertici Peratoner e Andermarcher. E contro chi gli contesta questo modo di agire (Questotrentino) avvia una causa civile, chiedendo 480.000 euro di danni.
Proprio l’atto di citazione di Zanoni è prezioso per capirne la pretestuosità dei ragionamenti e l’assoluta inadeguatezza al ruolo. Infatti Zanoni si indigna (al punto da chiedere munifici risarcimenti) perché gli contestiamo la nomina ai vertici di Peratoner e Andermarcher cui “alcuna responsabilità è stata mai accertata giudizialmente né ravvisate nemmeno dall’ente deputato al controllo delle cooperative (PAT)”. Insomma, dal momento che gli ex amministratori non sono sotto processo, io posso promuoverli, e denuncio chi osa criticarmi. Ma, di grazia, Zanoni lo sa che il primo che deve verificare la correttezza degli amministratori della società che commissaria, è proprio lui? E che non può trincerarsi dietro le dormite che si fanno gli uffici provinciali, e men che meno dietro un supposto non intervento della magistratura (che invece fatalmente ha i suoi tempi) che, se del caso, dovrebbe essere proprio lui a sollecitare? Insomma, il nostro non ha alcuna consapevolezza di quale è il suo ruolo.
E adesso? Ora che la Procura ha individuato, dietro altre sollecitazioni, responsabilità di Peratoner e Andermarcher, continuerà a tenerli a capo della società che hanno sfasciato?
In realtà Zanoni ha ben altri problemi. Nelle sue strategie, scaduto il primo settembre da Commissario (peraltro pluriprorogato da Dellai, che per permettergli di stare alla LaVis aveva anche fatto modificare, ad personam, i termini di legge), si era fatto nominare Amministratore Delegato con amplissimi poteri; e contemporaneamente doveva rimanere nel ruolo di Segretario generale alla Camera di Commercio.
Solo che alla Camera non ne potevano più: la sovrapposizione di ruoli (l’uomo è anche vicepresidente di Trentino Marketing, i politici quando individuano la pedina giusta la piazzano ovunque, che poi non ce la possa fare fisicamente a lavorare ovunque non importa, quel che conta è che faccia passare le direttive suggerite) era ormai insostenibile, a iniziare dal punto di vista giuridico, un conflitto di interessi non più mascherabile. La sovrapposizione era pesante anche dal punto di vista pratico, la Camera di fatto era senza Segretario e il caratteraccio dell’arrogante burocrate aveva guastato tutta una serie di rapporti, a iniziare da quelli con il Presidente Adriano Dalpez. A questo punto l’ennesima richiesta di Zanoni di continuare sia alla LaVis, sia alla Camera aveva trovato accoglienza gelida. Al punto da respingere sia le pressioni di Panizza, che quelle del Presidente della Cooperazione Diego Schelfi, e persino quelle di Dellai. Quando si arrivava a votare, dopo un animato confronto tra Dalpez e Schelfi, quest’ultimo (che sta trascinando la cooperazione sempre più in basso) rimaneva isolato, solo contro tutti a votare pro Zanoni. Il quale veniva posto di fronte a un aut aut: devi scegliere, o la Camera, o la Cantina.
A questo punto, da Marco Zanoni, che in questi mesi tanto ha brigato per presentare le magnifiche sorti e progressive della LaVis da lui diretta, che ha pilotato assemblee di contadini per modificare lo statuto e farsi eleggere Amministratore delegato, dall’orgogliosissimo Zanoni dal mento altezzoso, cosa ci si sarebbe aspettati? Che sbattesse la porta della Camera di Commercio: ingrati, dopo anni che ho lavorato per voi, mi trattate così? Ma andate a quel paese!
E invece no, Zanoni traccheggia. Prova ancora, col cappello in mano, a chiedere alla Camera un’ulteriore proroga del doppio incarico. Poi prende tempo, dieci giorni, che poi diventano trenta, per decidere.
L’indecisione è rivelatrice. Evidentemente alle sorti della LaVis non ci crede neppure lui: il rientro dai debiti attraverso le dismissioni è solo sulla carta; l’inchiesta giudiziaria ha scoperchiato il verminaio della gestione precedente con cui lui si è posto in continuità; la corte di consulenti che si è portato dietro costa ed ha prodotto nei fatti un azzardato spostamento di centralità produttiva, dai 5 milioni di bottiglie pregiate della LaVis ai 40 di vini a basso costo e incerto rendimento di Casa Girelli; tutto questo ha provocato un rovinoso crollo dell’immagine della LaVis presso l’enologia nazionale; il supporto di Dellai ormai alle ultime settimane alla guida della Pat, non è più così incisivo come si è visto nelle votazioni alla Camera, e in ogni caso è in scadenza; la stampa ha fiutato l’aria e non gli è più incondizionatamente a favore; i contadini per un po’ li puoi anche intortare, ma poi mettono mano ai forconi.
D’altronde, se abbandona LaVis dopo tante magniloquenti promesse, Zanoni fa la figura del venditore di padelle, e ritornare ora, in tale veste, alla Camera di Commercio, dove è ufficialmente detestato, sarebbe una disfatta. L’unica soluzione può essere ancora Dellai, che come un Lombardo o una Polverini gli procuri negli ultimi giorni un secondo incarico presso qualche società della Pat, dove riparare in caso di resa dei conti alla LaVis. Ma non è facile neanche per il Presidente, sarebbe l’ennesima schifezza in fatto di nomine, degna appunto del Lazio o della Sicilia; un tema su cui oggi in tanti sono giustamente sensibili.
Ormai i nodi stanno venendo al pettine.