Zanoni, la querela boomerang
Il giudice sentenzia: QT ha scritto la verità sul LaVis. I molti aspetti di una sentenza esemplare, che mette al loro posto Zanoni, Peratoner, Isa e Schelfi. Le possibili conseguenze.
Brutto colpo per Marco Zanoni. La querela, a QT e a chi qui vi scrive, da parte del Commissario ed ora Amministratore Delegato della Cantina LaVis, si è rivelata un boomerang. Infatti con sentenza del 9 gennaio il giudice Carlo Ancona ha archiviato la querela, in quanto la diffamazione a mezzo stampa denunciata da Zanoni non esiste, poiché nei nostri articoli abbiamo esercitato “un legittimo diritto di critica”. Sono quindi state accolte le richieste dei nostri difensori Mauro Bondi e Andrea de Bertolini, nonché il parere del PM Pasquale Profiti.
Un boomerang, dicevamo. Anzitutto perché Zanoni più volte aveva tentato di esorcizzare le nostre inchieste bollandole come false, e così la sua corte e i supporter, fino a Lorenzo Dellai (“Un giornale che neanche voglio nominare, e che non querelo solo per bontà d’animo” ci aveva apostrofati il Presidente in un’assemblea della Cantina). E ora invece il giudice, perentorio sentenzia: “Non vi è questione di sorta sulla verità dei fatti narrati negli articoli incriminati”. E ora Zanoni, cosa va a raccontare ai contadini?
Ma più in generale è istruttivo l’insieme delle motivazioni del giudice, che ribadisce più volte di conoscere molto bene le vicissitudini della Cantina “per aver trattato due procedimenti concernenti reati societari, tributari e di usura” in cui imputato è il vertice della LaVis, cioè la triade Peratoner-Giacomoni-Andermarcher. E subito Ancona bacchetta Zanoni, che nella querela “pare voler ignorare” i reati societari e di usura, “dato che preferisce riferire solo di accertamenti tributari”. Cioè: tu sai, perché sei anche stato interrogato, che io ho trattato di questi reati dei tuoi predecessori; come mai tralasci i più gravi reati societari e l’usura e ti riferisci solo ai più lievi “accertamenti tributari”? Insomma Zanoni, anche nello stendere la querela, cerca di coprire la triade, che invece avrebbe dovuto denunciare; ma il giudice lo coglie in fallo.
Sui doveri del commissario, Ancona non demorde e specifica e allarga il discorso. La denuncia delle malefatte della triade, prima che a noi, spettava proprio a Zanoni: “La pubblica denuncia era a carico degli organi di rappresentanza della cooperativa, e poi anche del querelante-liquidatore della stessa (appunto Zanoni, n.d.r.), in quanto questi ha (fatto pacifico) mantenuto quegli stessi dirigenti nelle stesse funzioni e negli stessi elevatissimi emolumenti, senza mai provare neppure ad esercitare nei loro confronti una azione di responsabilità, e neppure ha fatto nulla (se non ridiscuterne i termini della scadenza) per porre in discussione un finanziamento a tassi affermati usurari da una annotazione della Guardia di Finanza che la stessa cooperativa aveva convenuto con un finanziatore (Isa, n.d.r.) in un patto rimasto segreto”.
I nostri lettori possono vedere come nei fatti il giudice, grazie alla sua conoscenza degli atti investigativi, rimproveri a Zanoni gli stessi comportamenti da noi rilevati attraverso le inchieste giornalistiche: non aver denunciato la triade, averla anzi mantenuta ai vertici, non aver ridiscusso il patto scellerato con Isa; del quale patto sottolinea (e ci torneremo) i “tassi usurari”, così definiti dalla Guardia di Finanza.
Non basta. Ancona ricorda come comunque, anche sul piano strettamente economico, Zanoni abbia fallito: “Vale la pena di aggiungere che gli organi di revisione hanno mantenuto le loro conclusioni sfavorevoli anche in relazione al bilancio 2011”. Cioè oltre a QT, è stato il capo della revisione cooperativa Enrico Cozzio a bocciare Zanoni.
A questo punto, delle accuse di Zanoni rimane in piedi solo la presunta “portata offensiva” delle nostre critiche, cioè il loro tono. Anche qui il giudice chiude la porta: la nostra critica è stata esercitata “in toni mai confusi o generici, ma semmai in tono palesemente paradossale, ironico e sarcastico”. Poi allarga il discorso. Quando QT, riferendosi alla marea di slide e numeri che il Commissario aveva riversato sull’assemblea dei contadini, parla di “ubriacatura di dati”, usa un termine sì paradossale ma comunque sempre “di vivace richiamo dell’attenzione della collettività nei confronti di un fenomeno esistente: l’abuso dei poteri dei dirigenti di grandi cooperative, che perseguono strategie ad elevato rischio aziendale ma anche di sicuro interesse per il loro potere (perché ottengono per tale via una sostanziale insostituibilità nelle loro funzioni e nelle loro elevate retribuzioni) invece che l’interesse concreto dei soci produttori”. Vale a dire: il sarcasmo di QT è un’arma corretta, utilizzata per finalità sociali. E qui le orecchie dovrebbero fischiare, oltre che a Zanoni, anche a Schelfi: “L’abuso dei poteri da parte dei dirigenti delle grandi cooperative” non è riferito solo alla LaVis, ma a parte cospicua del movimento, ed è un fenomeno gravissimo e noto, che Schelfi, a parte alcune petizioni di principio di alcuni anni fa, non ha mai fatto alcunché per contrastare, anzi.
In effetti la sentenza di Ancona non riguarda solo LaVis. Investe anzitutto Isa. Come ha rilevato L’Adige, il giudice fa riferimento a “tassi affermati usurari dalla Guardia di Finanza” praticati da “un finanziatore”, come pure a “reati di usura”. Il quotidiano più oltre non si azzarda a scrivere, lasciando il finanziatore nel limbo dell’indefinito. Da quel posto scomodo lo togliamo noi: il finanziatore che ha praticato, secondo la Finanza, tassi usurari, e su cui, secondo il giudice, sono in corso “procedimenti per reati di usura”, è ISA, l’onnipotente finanziaria del vescovo. Rispetto alla quale, rimprovera Ancona, Zanoni “non ha fatto nulla (se non discuterne i termini della scadenza) per porre in discussione il finanziamento”.
Le conseguenze
La sentenza viene ad investire altre sfere. In primis la Provincia. Se quanto abbiamo scritto è vero, se alla LaVis si stava uscendo dal seminato, come mai alla vigilanza dell’Ufficio Cooperazione non se ne sono mai accorti? Cosa fanno? Come ottemperano ai loro doveri? E sì che a svegliarli dai loro sonni ci abbiamo pensato noi, e poi un’interrogazione in consiglio del PD (Ferrari e Zeni) e una di Italia dei Valori (Firmani). E loro sempre tranquilli? E gli assessori – Panizza alla Cooperazione e Mellarini all’Agricoltura – che anzi intervenivano nelle assemblee a tranquillizzare?
Infine, e soprattutto, Dellai. Ma si rende conto di chi e di cosa sostiene, a spada tratta e a borsa aperta? I conti di una impresa, per lui contano qualcosa? E come si sceglie gli uomini? In base a quali criteri ha nominato Commissario, prorogato, sostenuto, fatto eleggere Ad, Marco Zanoni? Quale, se non la continuità con i rovinosi predecessori, peraltro suoi grandi elettori? O il comportamento compiacente con Isa e i suoi profitti usurai? In tutta questa politica dell’ex-Presidente, dov’è la legalità? Dove il merito? Dove l’economia?
Ci sono poi le conseguenze a Lavis. In queste ultime settimane Zanoni, incassato il pesante giudizio dei revisori della cooperazione, era tutto intento a “serrare le fila”. Ossia, in base ai noti principi di democraticità e spirito cooperativo che lo contraddistinguono, a tacitare e magari espellere i dissidenti: “Chi non è d’accordo se ne vada!”. La sentenza cambia le carte in tavola.
Se infatti prima si diceva che quelli di QT sono pazzi scatenati da ridurre al silenzio a suon di querele, che il revisore Enrico Cozzio era agli ordini della concorrente Cantina di Mezzacorona, ora come la mettono col giudice Ancona? Giustizia a orologeria, toga rossa, protagonismo giudiziario?
In realtà nella Cantina, tra i soci ma anche nel cda, si è sconcertati. In un consenso tenuto assieme da acrobatici illusionismi, iniziano a manifestarsi vistose crepe.
Anche in paese, montano le contrarietà. Lavis doveva essere investita, e pesantemente, dall’ultima megalomania zanoniana: il trasferimento di Casa Girelli da Trento sud a Lavis centro. Per liberare il terreno e venderlo al Consorzio Lavoro Ambiente. Operazione non semplice sul versante trentino (e qui non approfondiamo), perniciosa su quello lavisano.
Sì, perché il Comune di Lavis, secondo Zanoni, dovrebbe sobbarcarsi tutta una serie di opere d’urbanizzazione per trasformare una cantina che produce 6 milioni di bottiglie all’anno in una che ne produce 50. Quindi nuovi collegamenti idrici, nuove strade e tanto traffico in più, in un’area centrale. Un grosso punto interrogativo sullo smaltimento dei reflui: attualmente LaVis è - grazie a Dellai? - l’unica grossa cantina priva di depuratore ed è già uno scandalo (ci riserviamo di approfondire); come si può pensare di moltiplicarne gli scarichi? E tutto questo per un’attività (l’imbottigliamento di vino a basso costo da tutta Italia) che nulla ha a che fare con la vitienologia trentina, che svaluta l’immagine della produzione dei soci e che poi, soprattutto, nonostante le assicurazioni zanoniane, è in perdita. Un non senso: buttare via soldi, mettere a soqquadro il paese, per perderci ancora e di più.
A Zanoni incominciano a non credere più.