LaVis, il disastro sociale
Il deflagrare dello scandalo evidenzia un Trentino omertoso, di plenipotenziari e di ducetti, sempre e comunque coperti dalla politica. O così credono.
“LaVis, lo scandalo è ufficiale” scrivevamo dell’iscrizione nel registro degli indagati del Presidente della Cantina Giacomoni, del direttore Peratoner e del vice Andermarcher; ora, con la richiesta di rinvio a giudizio dei tre, lo scandalo è deflagrato. Ne è prova L’Adige, che prima ospitava encomi sperticati al Commissario Zanoni (succeduto ai tre, ma con questi in perfetta continuità), ora, virando di 180 gradi, riporta con occhio acuto ampi e significativi stralci degli interrogatori, dai quali lo stesso Zanoni esce pesantemente ammaccato.
In contemporanea, le arroganti pretese di Zanoni di tacitare per via legale QT, reo di aver sollevato lo scandalo, attraverso due denunce, una penale (di cui peraltro la Procura ha già chiesto l’archiviazione) e una civile (con pesante richiesta di risarcimento), stanno evidenziando la curiosa interpretazione che Zanoni assegna al proprio ruolo di Commissario: non quello di smascherare i precedenti amministratori e le loro malefatte, ma di proteggerli. Anche a costo di contraddizioni che dovrebbero essere insostenibili.
Infatti l’ing. Zanoni, nella citazione contro di noi, ci accusa di diffamazione per aver scritto: “gli amministratori sono stati denunciati all’autorità giudiziaria come chiesto dall’assemblea dei soci? Non risulta. Anzi sono stati riconfermati tra i vertici della società”. Frase per Zanoni diffamatoria in quanto “dà per presupposte responsabilità degli ex amministratori mai accertate giudizialmente”. Insomma, Zanoni non denuncia la sciagurata triade, anzi la mantiene ai vertici (salvo Giacomoni che si è dimesso), con la motivazione che “non ci sono responsabilità accertate”, quando era suo dovere avviare questi accertamenti; e a chi lo critica per questo (noi) lo querela. Questo il 28 maggio del 2012. Ma il bello è che pochi giorni prima, l’11 maggio, di fronte agli inquirenti della Procura spiegava: “In un primo momento non ho cercato di individuare le colpe di chi aveva portato la cantina in una fase di crisi economica e finanziaria in quanto ero convinto che se colpe c’erano potevano essere individuate anche in un secondo momento, mentre la priorità doveva essere concentrata sul risanamento”. Il Commissario non ha le idee chiare: negli stessi giorni con la Procura ammette che suo compito era accertare le responsabilità degli ex amministratori e farfuglia delle scuse per non averlo fatto; con il giudice civile invece vorrebbe punire chi lo rimprovera per non aver neanche iniziato a farlo.
La protezione politica
Ma un Commissario così, chi lo ha scelto? E con quale mission, in realtà? Questa è la domanda di fondo.
La risposta è ovvia: il Presidente Dellai. Ma le implicazioni sono meno ovvie, e soprattutto, molto gravi, e vanno nel profondo, ahimè, del sistema trentino. Per capirlo riportiamo uno dei commenti ai nostri articoli sul nostro sito: evidentemente scritto da un socio della LaVis, fornisce un vivido quadro del degrado di alcuni settori della nostra società.
“Mi spiace ma la situazione della Lavis è troppo grande per essere veramente scoperchiata. Andrebbe a toccare molti esponenti del mondo politico ed economico trentino. I soci cercano di sopravvivere senza guardare in faccia nessuno. È stata promessa la salvezza della cantina attraverso il commissariamento del sig. Zanoni e quindi nessuno si sente di dover andare contro questo fatto. I soldi come sempre salteranno fuori come sono saltati fuori per la Lattetrento ed altre realtà.
Quindi è inutile combattere per rischiare di essere messi in difficoltà da forze decisamente superiori e che hanno ramificazioni dentro il mondo coop (leggi accesso al credito). La scelta di noi soci è quella di appoggiare Zanoni e la PAT. Anche i soci che nelle “caneve” si lamentano, sperano che Zanoni e la PAT mettano una grossa pezza sul buco lasciato dalla precedente dirigenza e che la cantina e i loro guadagni siano salvi.”
È un tristissimo esempio di cultura clientelare, e delle sue conseguenti aberrazioni. La Cantina ha servito alla politica, dalla politica, dalla Pat (leggi Dellai) verrà salvata. Non importano le leggi dell’economia, la capacità dei manager, ci è stato promesso che con Zanoni i soldi salteranno comunque fuori. E noi Zanoni dobbiamo appoggiarlo.
È una logica devastante per l’economia trentina: dove non contano capacità, produttività, leggi del mercato, contano le protezioni politiche. È devastante per la cooperazione: i soci rinunciano a controllare la loro impresa, sperano solo nei soldi che l’arrogante plenipotenziario farà arrivare. Arrivando fino al punto dal garantirgli, mentre loro tirano la cinghia, compensi spropositati, 340.000 euro più macchina più benefit più segretaria, si delibera mentre stiamo andando in stampa.
Purtroppo per il nostro socio, questi sacrifici, queste autentiche umiliazioni non bastano, è il ragionamento di fondo che è sbagliato, e di molto. Troppo grandi (oltre 80 milioni) i debiti della LaVis, e probabilmente troppo raffazzonata l’imprenditorialità dell’improvvisato e costoso manager e della sua corte paracadutato a controllare la Cantina; in tempi di vacche non più grasse i margini di manovra, anche per il pur potente Dellai, sono ristretti. E per di più lo stesso Dellai è ormai in scadenza, mentre i debiti rimangono. Meglio avrebbero fatto i contadini, più che a sperare in grossi regali dagli “esponenti del mondo politico”, ad affidarsi a un manager vero, che recuperasse i soldi da dove sono incredibilmente finiti (Isa, le controllate estere, gli amministratori) e impostasse una politica vinicola seria, basata sull’ottimo vino del territorio, non sull’imbottigliamento di vino extraprovinciale a bassissimo costo (tanto per aumentare il fatturato e poter sventolare bilanci in apparente miglioramento).
Ma questi sono i problemi della LaVis. Per il Trentino il punto è che la filiera Dellai-LaVis-Zanoni è emblematica di altre. È un metodo di governo, in cui si antepone all’efficienza la fedeltà, alla correttezza l’appartenenza a un firmamento politico-sociale. Lorenzo Dellai si riempie sempre la bocca di parole come “merito”: ma quale merito c’è in una vicenda come questa? In cui viene favorito, vezzeggiato, premiato, il demerito? In cui si instilla nella popolazione la cultura dell’oneroso vassallaggio verso i plenipotenziari? Del servilismo verso i potenti? Dell’economia come optional?
Dove può andare un Trentino in cui le realtà economiche siano intrise di questa cultura?
“Espelliamo Salvati”
Ritorniamo alla Cantina. Dove possiamo vedere come questa cultura della soggezione ai potenti continui a provocare nuovi guasti.
È apparso su L’Adige del 19 ottobre (quindi nei giorni precedenti all’ufficializzazione dell’inchiesta e alla successiva presa di distanza del quotidiano dal Commissario) un illuminante trafiletto, dal titolo: “LaVis: espelliamo Salvati”. In cui viene spiegato come un gruppo di soci “chiede ormai apertamente l’espulsione di Nicola Salvati, uno degli otto soci ed ex soci della cantina lavisana che a marzo hanno presentato l’esposto alla Procura di Trento sulla mancata iscrizione nei conti d’ordine del bilancio della fidejussione a Isa per l’acquisto di Casa Girelli. Al di là delle possibili conseguenze penali che dovranno essere accertate nei confronti dei passati amministratori, gli anti-Salvati affermano che l’esposto rischia di determinare un danno economico certo agli stessi soci, perché l’eventuale sanzione amministrativa che dovesse esser comminata per il reato ipotizzato dovrà esser pagata dai soci stessi. ‘Ci chiediamo a che pro Salvati insista nel gettare fango sull’operato degli attuali vertici della cantina - afferma il gruppo di soci - proprio ora che la base sociale ha ritrovato la compattezza e ha sposato il percorso del rilancio. Siamo critici circa la sua permanenza nella compagine sociale, e auspichiamo che al più presto si definisca la situazione che compromette seriamente l’immagine della cantina’.” Come si vede, un’enormità: nella Cantina si organizza (o viene organizzato dall’alto?) un gruppo di soci che vorrebbe espellere chi fa domande scomode, anzi chi ha avviato un’azione legale per smascherare le illegalità dei precedenti amministratori. Insomma, solidarietà agli amministratori che hanno depauperato la Cantina, ed espulsione di chi vuole farne emergere le responsabilità. Bravi.
Anche dal punto di vista dei conti della serva poi, questi contadini - e chi li ha ispirati - sono molto deboli. Oltre ad essere evidentemente indifferenti ai maxicompensi del Commisssario oggi Amministratore Delegato e della sua corte, ai milioni che gli ex-amministratori hanno fatto involare verso l’Isa e l’America, codesti soci - e chi li ha ispirati - sembrano non capire né volersi informare sulle cose di cui scrivono. Perché, è vero, la LaVis rischia di dover rifondere i danni causati dalla precedente amministrazione. Ma chi dovrebbe rifondere, a chi dare questi risarcimenti? Ai soci stessi, diamine. Che poi dovrebbero ripianare il buco, d’accordo, e fin qui sarebbe una partita di giro (e non una perdita per i soci); ma poi la cooperativa potrebbe rivalersi presso gli autori dei reati, cioè gli amministratori. Insomma, alla fine della partita, si avrebbe un risarcimento dagli amministratori felloni ai soci depredati. Insomma, Salvati e gli altri otterrebbero quello che avrebbe dovuto ottenere Zanoni, se non se ne fosse ben guardato, per quanto ben pagato.
Insomma, questi soci espulsori scrivono autentiche fesserie. Non scrivono fesserie, invece, quando auspicano l’allontanamento di Salvati in quanto reo di insistere “nel gettare fango sull’operato degli attuali vertici della cantina, proprio ora che la base sociale ha ritrovato la compattezza e ha sposato il percorso del rilancio”. Questa non è una sciocchezza, è una violenta intimidazione: chi non è d’accordo con il Commissario va cacciato.
Saremmo alla fine della democrazia. Che andrebbe oltre la stessa arroganza finora sempre dimostrata da Zanoni. La Cooperazione ha niente da dire? (Ci permettiamo invece noi di dire qualcosa allo stesso Adige che, a firma Lucia Facchinelli sempre molto devota al Commissario, riporta tale posizione in maniera acritica, anzi benevola: siamo sicuri che sia un servizio alla comunità mostrare quest’indulgenza verso atteggiamenti proni al più forte e rozzamente antidemocratici?).
Da “bravo ragazzo” a ducetto
A completare il quadro interviene il 26 ottobre, sempre sull’Adige il nuovo presidente della LaVis Matteo Paolazzi. “Un bravo ragazzo” lo avevamo presentato. Mah... Il neopresidente - insediato su preciso input di Zanoni - invece di mostrare soddisfazione per la possibilità di individuare le responsabilità del tracollo della Cantina, cerca di liquidare l’inchiesta della Procura con poche frasi minimizzanti “troppo clamore mediatico... sono gli stessi argomenti che sui giornali (leggi QT ndr) tornano da un bel po’ di tempo” ecc. Ma quello che colpisce è l’atteggiamento verso i soci: “non vogliamo che queste rivelazioni alterino la fiducia della base sana della cantina”. La base sana. E chi sarebbe la “base sana” e quella invece “malsana”? Forse allude agli amministratori felloni? Non sembra proprio; incalzato dall’ottimo intervistatore, un sornione Paolo Ghezzi, sull’azione di responsabilità nicchia: “avremo tutto il tempo dopo l’eventuale rinvio a giudizio, valuteremo”. E anche sull’Isa “non vedo dove sia il danno”: ha pagato interessi fuori di testa e fuori mercato, probabilmente oltre il tasso usuraio, e danni non ne vede. E allora, dove è la “base malsana”? “Il cda, nell’ottica di tutelare al meglio la base sociale, valuta con costante attenzione ogni misura che possa essere idonea a stigmatizzare, nelle sedi competenti e con le forme opportune, l’operato di chi reca danno alla compagine sociale”. Ohibò. Ce l’ha con gli ex soci querelanti o con il giornale? (immaginiamo sia QT ndr) - lo incalza Ghezzi. “Diciamo solo che dobbiamo difendere l’immagine della Cantina” risponde Paolazzi. Con il che è chiaro: per il neopresidente i soci si dividono in “base sana”, quelli che se ne stanno zitti e buoni, e “malsana”, quelli che vogliono appurare le responsabilità di buchi plurimilionari.
Ed ecco quindi il “bravo ragazzo”, elevato da Zanoni da dipendente a Presidente con conseguente lauto aumento di stipendio, trasformarsi in ducetto, strenuo difensore della casta degli amministratori in cui si ritiene testè cooptato, insofferente e minaccioso verso i soci “malsani” che non la pensano come lui e il suo Capo.
Questo è il Trentino dei plenipotenziari e dei ducetti. Democrazia zero, economia pure, quella che conta è l’investitura politica, che comunque provvederà a foraggiare chi sul territorio e nelle imprese ne è emanazione.
Questi arroganti personaggi saranno travolti, dalla giustizia (l’unico controllo che funziona) e dall’economia. Ma c’è tutto un sistema bacato, insostenibile ieri e ancor più oggi, da rivoltare come un calzino.
Commissario, chi paga?
Il Commissario Zanoni dichiara alla stampa che se in seguito alla causa civile intentata contro di noi, riceverà il risarcimento richiesto (480.000 euro), lo devolverà - bontà sua - alla Cantina LaVis.
Noi gli chiediamo: e se invece di vincerla la causa la perde, e viene condannato a risarcire noi, chi pagherà? Lui o la LaVis?