LaVis: chi l’ha affossata e perché
Le responsabilità della casta degli impuniti, a cominciare da Diego Schelfi.
Schelfi rieletto presidente del movimento cooperativo? Ancora? Ma com’è possibile?
Dopo che aveva fatto modificare lo Statuto della Federazione per permettere un quarto mandato, ma giurando, lacrime agli occhi, che no, non era per lui? E ora che si è rimangiato la parola e i giuramenti, e si è rimesso in corsa per il quarto mandato, diventando la favola di tutti i bar della provincia, quale credibilità pensa di avere? Anche perché i suoi nove anni da presidente sono tutti da discutere: tra disastri annunciati (cooperative di Fiavè e LaVis), perniciose commistioni con i poteri forti (la finanziaria della Curia, Isa, sopra tutti), una ridislocazione del potere all’interno del movimento cooperativo, tutto concentrato nei superboss (i presidenti dei grandi consorzi) e la marginalizzazione delle cooperative di primo grado, per non parlare dell’irrilevanza degli oltre 100.000 soci - tutto questo fa della cooperazione di Schelfi un gigante malfermo. Come si può pensare, negli anni della globalizzazione e dei rapidi cambiamenti, di ibernare il movimento mantenendo in carica un tale discusso presidente?
Eppure è proprio la somma di tutte queste contraddizioni da un lato a rendere, per la prima volta da decenni, vera, appassionata e anche lacerante la corsa per la presidenza, dall’altra a spiegare come mai a Diego Schelfi non si sia dato il benservito. Anzi.
Per approfondire la questione intrecciamo due livelli del discorso: da una parte la corsa alla presidenza, dall’altra i risvolti nascosti della vicenda rivelatrice ed emblematica, la crisi della Cantina LaVis. Accendendo un faro sulle miserie della Cantina, si vede in controluce il gioco del potere nella Federazione.
I nostri lettori sanno come il tracollo di quella che fino a 5-6 anni fa era indicata come la Cantina modello della vitivinicoltura trentina, non sia dovuta solo - come sostiene la vulgata ufficiale - agli errori di politica industriale di un management audace ma sfortunato, che ha investito ed acquisito massicciamente alla vigilia della crisi. No; oltre a questi, oltre ad autentiche sconsideratezze (acquisto di Casa Girelli), oltre a balorde megalomanie (Maso Franch), ci sono stati veri e propri spostamenti di ricchezza dalla Cantina ad altri soggetti. In particolare 4 milioni di euro immotivatamente trasferiti a Isa, la Finanziaria della Curia; e 7 milioni persi in America, con i continui rifornimenti ad una società di commercializzazione locale, la Fine Wine International, che per almeno 5 anni (5 anni!) incamerava milioni di bottiglie ma mai pagava alcunché (vedi sul numero scorso “La vacca da mungere”).
Come è potuto accadere tutto questo? Come mai, nel civile Trentino, 1500 famiglie contadine sono risultate brutalmente impoverite, a vantaggio di robusti poteri finanziari locali e di sconosciuti approfittatori americani? Cosa non ha funzionato nei controlli societari? E nei controlli interni al mondo cooperativo, che proprio i soci devono anzitutto tutelare? Questo è il problema. E su questo iniziamo a misurare il significato della presidenza di Diego Schelfi e quello della sua ricandidatura.
Primo punto fermo: l’Istituto di Sviluppo Atesino, Isa. Di cui Diego Schelfi era presidente nel 2002-2003 ed è rimasto consigliere fino all’anno scorso. Nei numeri scorsi abbiamo spiegato come nel 2005, nell’acquisto di Casa Girelli, LaVis si sia fatta affiancare da Isa, con cui stringeva un patto leonino con cui, in cambio di una partecipazione di 8 milioni all’acquisto, si impegnava, nel 2010, a ricomprarne la quota a un valore prefissato di oltre 12 milioni. Un guadagno secco per Isa di oltre 4 milioni, di fatto un prestito a un interesse composto del 9%, quando il tasso usuraio era del 7,5%.
A chi materialmente sono andati questi 4 milioni? La tabella elenca i soci Isa che hanno incamerato i soldi della LaVis: sono i poteri forti del Trentino, quelli che risultano sempre vincenti. Al loro interno, con una piccola quota e un non irrilevante guadagno personale (5.000 euro), lo stesso Schelfi, in lampante conflitto d’interessi, contemporaneamente consigliere della finanziaria e presidente della cooperazione, che siede con gli speculatori quando dovrebbe difendere i tartassati.
La casta degli impuniti
Tralasciamo per ora Isa e passiamo all’oscuro inghippo della società americana FWI. Le scritture contabili esistono per rendere le transazioni trasparenti, per tutelare i soci; ma qui sembra che tali principi non esistano: tutta una serie di strutture di controllo, peraltro profumatamente pagate, non vedono e non parlano. Qualcuno ne risponderà? Nessuno, finora.
Dunque FWI, società americana di Casa Girelli, finché questa è di proprietà della famiglia Girelli fa il suo mestiere di vendere vino senza infamia e senza lode; ma quando Casa Girelli è acquistata da LaVis, accumula solo perdite, incamera le bottiglie e non restituisce soldi. Il collegio sindacale di Casa Girelli non dice niente, quello della Vinicola Lavis, poi Ethica, proprietaria di CG, nemmeno, i revisori di LaVis, proprietaria di Vinicola ed Ethica, neppure. Ci scusiamo coi lettori per questo sovrapporsi di sigle: ma dà l’idea della catena di scatole cinesi, ognuna delle quali però dovrebbe avere un organismo di controllo, eppure nessuno controlla. Così nel 2008 FWI viene ceduta al 76% non si sa a chi né per quanto, nel 2010 viene riacquistata al 95%, ancora non si dice da chi né a che prezzo. Sappiamo solo che FWI continua a non pagare: nel 2009 i suoi debiti (nei confronti di Casa Girelli, quindi di LaVis) sono di 5.414.000 euro, nel 2010 oltre 7 milioni.
I responsabili? Diamo i nomi: anzitutto i soliti amministratori di LaVis installatisi anche nelle controllate, Roberto Giacomoni, Fausto Peratoner, Cesare Andermarcher e Ivo Piffer, quelli ormai bollati come le “mele marce” della cooperazione (ma sempre sostenuti dai vertici); ed anche i sindaci Alessandro Tonina, presidente, e Gianpaolo Bortolotti. Eppure Tonina è uomo importante nel mondo economico trentino e di fiducia del movimento cooperativo: oltre che quello di Casa Girelli, presiede il collegio sindacale di Pensplan spa (pensioni complementari regionali), di Confidi (società di garanzia per gli artigiani), quello di Trentino Sviluppo spa, di Cooperativa Lago Rosso, di SCS, di Gourmet Italia Spa, di Fly spa, di Manifattura Domani Srl; è amministratore delegato di Trentino CAF Imprese, amministratore unico di Pergine Sviluppo srl, di Fin Bau srl; infine semplice sindaco di Cesarini Sforza Spumanti spa e di Ter System Srl. E Bortolotti, inserito in Casa Girelli per curare gli interessi di Isa, non è da meno: presidente del collegio sindacale di Funivie Cermis spa, di Incremento Turistico Pampeago spa, di Misconel srl, di Paion del Cermis srl, di Itea spa, di Bio Energia Fiemme spa, di Investimenti Immobiliari Atesini srl, di Apt Fiemme, di Lagorai Ski Land srl, di Lungomare (quale mare? Non sappiamo) srl; sindaco effettivo di Obereggen spa, di Incremento Turistico Lavazè spa, di Cristoforetti Energia srl, di Trentino School of Management, di Piedicastello spa (su questo nome torneremo), di Fincoop Trentina spa, di Hydro Alpe Adria srl di Udine, di Nuova Holding spa di Affi, di Idroelettrica Veneta spa; sindaco supplente di Cassa Rurale CentroFiemme, del Sait, di Latemar 220 spa, Asat Immobiliare spa; presidente del cda di Elabora srl, amministratore unico di Maso Mirabel srl.
Si aprono due quesiti. Primo: come fanno questi signori, con tutte queste cariche, a svolgere i loro compiti? Nessun problema: se operano come in Casa Girelli, dove sembrano firmare a occhi chiusi senza accorgersi di niente, senza rendersi conto che la società sotto i loro occhi, perde, acquista, svanisce, riacquista, non c’è problema, di incarichi potrebbero accumularne altrettanti. Secondo quesito: non è che il loro incarico non sia tecnico, ma politico, di gestione del potere? Terzo quesito: chi controlla i controllori? Questi signori possono fare (e non fare) quello che vogliono?
Questa è una casta. Pochi, potenti, impuniti. Ad essa appartiene, a pieno titolo, Diego Schelfi, non ai 1.500 contadini della LaVis, che si trovano a tirare la cinghia, non ai 100.000 cooperatori trentini.
Palazzo di via Segantini, 4° piano
È l’indirizzo della Divisione Vigilanza della Cooperazione, struttura formalmente autonoma dalla Federazione, come da Statuto oltre che da legge provinciale e nazionale, che con una struttura di 35 persone si occupa sia della revisione amministrativa delle coop, che di quella legale dei conti.
Ovviamente si sono occupati della LaVis. Per un po’ anche loro non si accorgono di nulla: FWI è una società americana di Casa Girelli, controllata da Ethica (o Vinicola Lavis), a sua volta controllata da LaVis; i revisori di Casa Girelli (i Tonina e i Bortolotti) trovano che tutto è a posto e anche la Vigilanza cooperativa sonnecchia, non indaga sui movimenti societari, né si allarma per il montare delle perdite di FWI. Poi nel 2009 si dà una mossa. L’11 dicembre, in una lettera indirizzata all’Assemblea dei soci della LaVis, il revisore Oreste Maines e il responsabile della vigilanza Enrico Cozzio squarciano il velo di omertà e omissioni: i conti dell’insieme di scatole cinesi LaVis-Ethica-CasaGirelli-FWI non tornano, in particolare nel bilancio al 30 giugno 2009 Casa Girelli viene valorizzata per un ammontare di 17 milioni che non è reale, quello giusto è meno di 10, e in più ci sono crediti di molto dubbia esigibilità presso FWI per 5.414.000 euro, e presso un importatore inglese per 2.441.000. Non basta: sia pur in un linguaggio burocratico, i revisori sottolineano l’affanno della LaVis di fronte agli obblighi derivanti dai pesanti investimenti, al punto da metterne in dubbio “la continuità aziendale”.
In assemblea, a gennaio, a rappresentare la Federazione, è presente il direttore Carlo Dalla Sega (teoricamente il braccio operativo di Schelfi), che minimizza la portata delle rivelazioni della Vigilanza ed esorta i contadini ad “avere fiducia nella corazzata”. A giugno interviene lo stesso Schelfi, sempre a minimizzare. Immobilista? Irresponsabile?
Ma ormai il velo è strappato e, prescindendo dalle stolte rassicurazioni della Federazione, nella cooperativa cominciano a capire che le cose non vanno. Si giunge quindi prima alla cooptazione in cda di Vittorio Brugnara, già direttore della Rurale di Giovo ed esterno al gruppo dominante Giacomoni-Peratoner-Andermarcher, poi alle dimissioni di Giacomoni e, il 24 giugno 2010, alla nomina di Brugnara a presidente.
I nodi cominciano a venire al pettine. Negli stessi giorni, Andermarcher bello bello tira fuori dai cassetti in cui era stato gelosamente riposto e lo presenta alla Vigilanza, il patto scellerato con Isa sull’acquisto di Casa Girelli e la fideiussione che lo blinda: ormai sono passati 5 anni ed ora, entro pochi mesi, bisogna dare alla vorace finanziaria oltre 12 milioni. Alla Vigilanza s’incazzano: aver nascosto un debito di 12 milioni vuol dire aver sabotato bilanci e revisione, ed è reato (qualche problema, minore ma non trascurabile, dovrebbero averlo anche in Isa, perché pure loro, pur essendo in attivo, non hanno mai menzionato patto e fideiussione, evidentemente ritenendoli indecenti). Il 9 luglio la Vigilanza scrive al cda una management letter (riservata) molto dura.
Ma ormai a capo della Cantina c’è Brugnara. Il quale si rende conto che per salvare LaVis, bisogna rivoltarla come un calzino. Cosa non facile, con Peratoner e Andermarcher ancora al loro posto, e con un cda eletto quando nella cantina erano loro a spadroneggiare.
Brugnara non si perde d’animo. Va a parlare con Dellai e con gli assessori Mellarini e Panizza. Va soprattutto a parlare con Schelfi. “Gli chiesi di supportarci per mettere insieme una squadra di 4-5 persone: per chiarire la situazione, appurare le responsabilità, andare avanti - ci dice Brugnara - Perché, oltre alle partite non chiare, alla LaVis mancava l’organizzazione: una struttura di 250 persone articolata in varie cooperative, spa, ecc, era tutta centralizzata nella figura di Peratoner, il controllo di gestione non sapevano neanche cosa fosse. Per me si poteva andare avanti. Se si salvaguardavano due principi: non si può salvare tutto e tutti; se si trovano responsabilità, bisogna dare un segnale forte, non possono essere i soci a pagare”. Schelfi risponde “Sì, sì”, e rifila le regolamentari due pacche sulle spalle. E non fa niente.
La soluzione “interna” alla Cantina viene così abbandonata. Perché? Il seguito chiarisce.
È agosto quando Isa invia una lettera in cui dichiara di voler vendere a LaVis la quota di Casa Girelli e incassare i 12.103.000 pattuiti. Come già sanno i lettori, il patto era ignobile nel contenuto, ma tutt’altro che solido nella forma: si basava su una fideiussione firmata dall’ormai ex-presidente Giacomoni, mai portata in cda e men che meno approvata. È quindi un impegno tutto da ridiscutere, soprattutto per una società che, ormai in cattive acque, si trova a dover ricontrattare gli impegni con banche e fornitori. Questo va a dire Brugnara al direttore di Isa Giorgio Franceschi. Ne parla anche con Schelfi, che come è noto non dice mai di no, allarga le braccia e dice: “Dovranno anche loro capire...”. Pochi giorni dopo, il 1° settembre 2010, Dellai commissaria LaVis, estromette Brugnara e nomina commissario Marco Zanoni.
Il Commissario
“Beh, non mi hanno estromesso solo per Isa” ammette Brugnara. D’accordo, non solo. La situazione della Cantina, infatti, nell’ultimo anno si era aggravata. La relazione della Vigilanza sul bilancio al 30 giugno 2010 (ancora in era Giacomoni-Peratoner) evidenzia che le irregolarità e i buchi di bilancio notati l’anno prima sono rimasti, anzi sono aumentati: sul valore di Casa Girelli non solo non si è rimediato alla differenza tra quanto scritto e la realtà dei conti, ma la si è ampliata, da 7 a 10 milioni; i crediti inesigibili della famigerata FWI sono ulteriormente aumentati; non sono state prese le conseguenze contabili prescritte dal codice civile. A tutto ciò si aggiunge la tegola del debito con Isa (“È emersa l’esistenza di una scrittura privata...”). La Vigilanza a questo punto, visto anche che gli autori di tanto sfracello, Peratoner e soci, sono sempre al loro posto, non dà credito al mero cambio di presidenza Giacomoni/Brugnara, non crede al tentativo di quest’ultimo e chiede il commissariamento.
Che dire? Se la richiesta della Vigilanza fosse influenzata da spinte dall’alto, configurerebbe un reato penale. Non vogliamo crederlo.
Sicuramente però il tentativo “interno” di Brugnara non è stato in alcun modo supportato. Brugnara è rimasto un uomo solo, quando cerca sinergie con gli altri colossi coop, Cavit e Mezzacorona, questi pensano agli affari loro. Anche perchè viene lasciato solo proprio dalla Federazione, con Schelfi che invece - ancora a giugno! - pubblicamente appoggia la precedente gestione, e nei due mesi seguenti non gli fornisce, se non a chiacchiere, l’appoggio richiesto. Questa freddezza di Schelfi, questa indifferenza al limite del sabotaggio, cosa ha a che spartire con lo spirito cooperativo? Non è che Schelfi abbia tenuto come stella polare non il bene della cooperativa, non quello dei 1500 contadini, ma quello del ceto di piccoli potenti che le velleità di pulizia di Brugnara mettevano a rischio?
E così alla LaVis si insedia un altro piccolo potente (o aspirante tale), Marco Zanoni. Fidatissimo di Dellai, direttore della Camera di Commercio e al vertice di Trentino spa (e qui scatta la regola d’oro che abbiamo visto, con gli inefficienti super-sindaci di Casa Girelli: quando uno occupa troppe cariche, non è un professionista competente, è un uomo di potere, oppure un segnaposto) Zanoni pratica la politica opposta a quella enunciata da Brugnara.
Nessuna ricerca di responsabilità: Andermarker e soprattutto Peratoner vengono difesi e preservati in posti apicali, alle omissioni e responsabilità dei vari revisori non si osa neanche pensare. Nessuna ricontrattazione con Isa: i 12 milioni vengono riconosciuti, si “contratta” solo un dilazionamento dei pagamenti, riconoscendo però nuovi interessi. Nessuna ristrutturazione organizzativa, si va avanti come prima.
E il conto chi lo paga? Chi colma i buchi? Pantalone ovviamente, cioè la Provincia, che infatti acquista l’improponibile Maso Franch e qualche capannone; ma soprattutto i contadini, che si vedono ridotti i prezzi delle uve a livelli insostenibili (25 euro a quintale, quando prima erano 90 e più). E così il cerchio si chiude.
“Ma allora, a chi rubate?”
Ma la storia non finisce qui. I soldi estorti ai viticoltori, il belletto sui bilanci, la condiscendenza della stampa non bastano a risanare un’azienda che aveva bisogno di profondi interventi strutturali. Se ne rendono conto i revisori della Vigilanza, che da tempo hanno smesso di fidarsi. E vedono che con Zanoni le allegrie di bilancio non cambiano. Anzi, si è aggiunto un altro elemento, l’arroganza di un uomo che si rifiuta di consegnare materiali e dati non solo ai soci (e Schelfi naturalmente non dice niente), ma nemmeno ai revisori. Che denunciano l’impossibilità di stendere la loro relazione, se non in un secondo tempo.
I contenuti certificano, oltre le slide profuse a centinaia in assemblea, oltre i comunicati beatamente bevuti dalla stampa, i fallimenti della gestione Zanoni. La relazione del dicembre 2011 evidenzia come (ancora!) il valore iscritto a bilancio di Casa Girelli sia superiore a quello che dovrebbe risultare dai conti (con una dinamica crescente: ora siamo a 21 milioni di differenza, contro i 10 del 2010 e i 7 del 2009); oltre alle disinvolture contabili, iniziano a pesare i 12 milioni dovuti a Isa e i crediti verso FWI, finalmente riconosciuti inesigibili. E i revisori introducono ulteriori dubbi (“Non ci sono stati forniti adeguati elementi probativi atti a giustificare...”) che noi possiamo confermare: nel bilancio di Casa Girelli, oltre ai 21 milioni fasulli individuati dalla Vigilanza, ci sono anche i valori ottimistici di prossime ipotetiche dismissioni: 13 milioni per la vendita del terreno di Casa Girelli in viale Verona, e soprattutto 8 milioni per la vendita di Basilica Cafaggio in Toscana, dove ormai da un paio d’anni nessuno vende più, al massimo svende.
E non è finita. In una lettera del 14 marzo 2012 la Vigilanza mette in guardia sulla reale situazione patrimoniale del gruppo, correggendo ancora i conti del Commissario (che, ripetiamolo, è anche direttore della Camera di Commercio, siamo messi bene!): il patrimonio netto contabile “vero” del gruppo, scrive la Vigilanza, è di 17.385.000 euro (e ci sarebbero ancora da eccepire le fantastiche ipotesi di vendita di cui abbiamo già scritto). Due anni prima, al 30 giugno 2009, prima del commissariamento, era sui 30 milioni.
Bravo Zanoni (che peraltro in un intervento al Consiglio Comunale di Lavis ha preannunciato una querela nei nostri confronti). Bravo Dellai (che invece in una recente assemblea alla Cantina, naturalmente a sostegno del Commissario, ci ha onorato della sua magnanimità: “Un giornale che neanche nomino e non querelo solo per bontà d’animo”). E soprattutto bravo Schelfi.
A lui dedichiamo una vecchia battuta di Beppe Grillo (che qualche volta la imbrocca). Erano i tempi di Craxi segretario del Psi rampante e presidente del Consiglio. Arrivato in visita ufficiale in Cina, così si presentava: “Sono Craxi, e sono segretario dei socialisti italiani”; “Io sono Teng- Xao-Ping e sono segretario dei socialisti cinesi: noi siamo un miliardo”; “Accidenti! - strabuzzava gli occhi Craxi - Ma allora: a chi rubate?”
Ecco: Diego Schelfi ha, per cultura congenita, cercato di allineare la cooperazione ai poteri forti (vedi anche il caso della Piedicastello spa nel box sotto), agli squali, alla casta degli impuniti, alle finanziarie come Isa che vivono di protezioni e speculazioni. Ma questi appunto sono squali, sono predatori, devono essere per forza pochi, se no a chi rubano? Mentre il movimento cooperativo rappresenta i tanti, centomila famiglie, e il suo compito è proprio sottrarli alle avidità dei pochi potenti. Schelfi ha fatto esattamente il contrario, e difatti i risultati sono stati - per le coop, non per gli squali - disastrosi.
E lo si vuole ancora presidente? Chi? Come mai? Nel prossimo numero vedremo di rispondere a questi interrogativi, non secondari nel Trentino di oggi.
Un altro milione per Isa
Il secondo esempio di rapporto incestuoso Isa/Federazione Coop si consuma sull’area ex Italcementi.
La vicenda è nota soprattutto per i risvolti politici: l’ente pubblico (Lorenzo Dellai) che inopinatamente rinuncia all’acquisto dell’area; Isa che acquista; e poi rivende, a prezzo ovviamente maggiorato, alla Federazione; che poi rivende, a prezzo ancora maggiorato, alla Provincia, cioè a Dellai, che ora ritiene l’area fondamentale. Isa guadagna, la Federazione pure, Pantalone paga.
Tutto giusto. O quasi. Che Isa ci guadagni è chiaro. Costituisce l’11 maggio 2004 la società Piedicastello spa con capitale di 1.150.000 euro, accende dei mutui e compera l’area (per 23.700.000 euro); il 20 dicembre 2005 vende la Piedicastello alla Federazione, con le proprietà (il terreno) e i debiti (i mutui). Per quanto? Per 2.185.000, guadagnandoci in un anno più di un milione netto. Non male.
Anche perché la Piedicastello sembra costituita per conto terzi, per avere vita breve. I mutui sono iscritti da Isa come “debiti esigibili entro l’esercizio” quindi a breve, si sa che c’è chi compra, mentre la Federazione, quando compra, li trasforma in debiti a tre anni. Insomma, tra i due sembra proprio ci sia un accordo preventivo: da cui Isa porta a casa il suo milione.
E la Federazione? Dal 2005 ad oggi la Piedicastello ha solo uscite, i debiti crescono, arrivano nel 2010 a 29 milioni, e la società viene svalutata tre volte, per un valore di 2,2 milioni. Poi quest’anno arriva San Lorenzo a salvare la situazione, comperando il compendio per 30 milioni. Cosa ci ha guadagnato la Federazione? Dipende dai calcoli e dai particolari dell’accordo con Dellai. Di sicuro ci ha guadagnato poco, forse nulla, o forse ha addirittura perso.
Di sicuro ha perso Pantalone. E di sicuro ha guadagnato Isa.
Ma con questi maneggi, il movimento cooperativo, cosa c’entra?