LaVis, l’irresponsabile azzardo
L’Ad Zanoni punta su quantità e mercato low cost. Un’ardua scommessa, in cui c’è un sicuro perdente: il vino lavisano.
Il Piano Pedron, commissionato dalla Federazione delle cooperative ad uno dei massimi esperti italiani in vitienologia, in estrema sintesi dava una linea guida: Cavit e Maezzacorona, due grandi realtà industriali che lavorano sulla quantità e sull’acquisto di vino non trentino, dovevano separarsi dal movimento cooperativo e andare avanti per la loro strada, mentre le cantine sociali dovevano concentrarsi sul vino trentino di qualità, e dar vita a un nuovo consorzio che lo commercializzasse. Questo per evitare la commistione tra realtà che sono diversissime, quando non confliggenti.
Cosa si è fatto? Ricordiamo Diego Schelfi, superpresidente della Federazione, alla domanda di un parere sul Piano Pedron, scuotere la testa e farfugliare: “Io di vino non capisco molto...”.
Può essere. Di sicuro capisce molto di rapporti di forza all’interno del movimento cooperativo. Così il buon Schelfi pagò a Pedron la consulenza, che diligentemente richiuse in un cassetto: Cavit e Mezzacorona hanno continuato nelle loro politiche aziendali, ora imitate dalla LaVis del nuovo amministratore delegato Marco Zanoni. Che infatti ha deciso di traslocare Casa Girelli da Trento sud a Lavis (confidando di vendere a prezzo interessante il terreno reso, spera, edificabile) e di incentrare la Cantina lavisana sulla produzione low cost di 40-50 milioni di bottiglie di vino raccattato in tutta Italia.
Sono prospettive che hanno un senso? Lo chiediamo al prof. Geremia Gios, ordinario di Economia e Managment, da poco eletto Preside della Facoltà di Economia di Trento.
“È il problema della vitienologia trentina, che si è dotata di grandi canali commerciali, molto estesi all’estero, che abbisognano di grandi quantità. Il problema è che il Trentino grandi quantità non ne può fornire, soprattutto se il canale non è uno solo, ma sono due”.
Solo che ora, al contrario, non si unificano i canali, si aumentano.
“È un modello che finora ha funzionato. Ricavare da questa attività utili, con cui poi si remunerano i soci”.
Di qui l’idea di propagarlo il modello, in barba a Pedron. Quali sono infatti le controindicazioni?
“Se il grosso del tuo vino viene da altrove, non puoi più fare promozione del territorio. E allora lo spazio delle cantine sociali si riduce, in quanto il territorio viene ad assumere un’altra immagine.
E sul lungo periodo?
“Altri problemi. In altre aree possono sempre iniziare a fare loro il business, invece che vendere a noi il vino. E la qualità del nostro vino diventa un optional, una cosa secondaria; il che non favorisce l’adeguamento delle dimensioni delle aziende agricole. Infine si diventa molto dipendenti dai mercati esteri, in particolare si entra in concorrenza con i nuovi paesi produttori (Nuova Zelanda, Australia, Cile, Sudafrica...) che competono, a prezzi assolutamente concorrenziali, proprio su quella fascia di mercato”.
L’alternativa?
“L’Alto Adige. Chiariamoci, il suo puntare sul piccolo produttore, sul prodotto di qualità ha finora remunerato di meno; ma oggi si trova in una situazione di mercato con prospettive migliori e molto più solide”.
C’è manager e manager...
È disarmante vedere come le scelte strategiche per il Trentino vengano prese nella totale irresponsabilità. Come si può capire dalle parole del prof. Gios, l’ultima trovata dell’ing. Zanoni non è una cosetta da niente. Cambia totalmente il profilo della Cantina LaVis, finora nota per i suoi prodotti di pregio, e ne fa un imbottigliatore per gli hard discount.
Seguendo l’illusione da una parte di presentare come un successo i conseguenti aumenti di fatturato (ma aumentare il venduto non basta, bisogna anche fare utili, o perlomeno non accumulare nuove perdite); dall’altra accodarsi a un modello che i vicini di Ravina e Mezzocorona hanno perseguito finora con successo.
Obiettivi tutt’altro che facili. Anzitutto perché le due cantine sono state dirette da manager magari bruschi, che con i valori cooperativi c’entrano poco o nulla (vedi Fabio Rizzoli), ma dalle grandissime capacità. E che quando hanno fatto un passo indietro, hanno passato la mano a supermanager di riconosciuta capacità internazionale (vedi Fabio Maccari sempre a Mezzacorona) con un curriculum straordinario; mentre a LaVis Zanoni è un dirigente della Fiera di Verona, passato a fare con scarso successo il burocrate alla Camera di Commercio di Trento, e si avvale di esperti come Vincenzo Ercolino che ha solo collezionato fallimenti. Per competere sul mercato internazionale nel difficilissimo settore low cost, non bastano i modi arroganti, occorrono grandi capacità.
A questa (troppo) ardimentosa impresa sono legati i destini della Cantina e dei suoi soci. La cui produzione, in questo contesto di preponderante vino comperato altrove (40-50 milioni di bottiglie contro 5) diventa, nei fatti, secondaria se non irrilevante. Mentre non secondaria, anzi duratura è la perdita di prestigio nell’enologia nazionale.
Insomma, impresa ad alto rischio, malamente affrontata, dagli esiti negativi devastanti. E che per di più finisce con l’aggravare uno dei motivi di criticità del sistema trentino.
Ma gli evanescenti assessori Panizza e Mellarini (lasciamo stare Dellai, ormai in altre faccende affaccendato, e preoccupato alla Lavis solo della tenuta degli armadi e relativi scheletri) non hanno niente da dire? Questa è politica vitienologica, agricola: se ne rendono conto? Passare a tre grandi canali distributivi non è una follia? (È peraltro già successo - vedi l’importatore americano Gallo - che Cavit, LaVis e Mezzacorona si rubino lo stesso cliente, sempre più contento dei prezzi che riesce a spuntare).
Infine i soci. Nella messianica attesa dei soldi di Dellai (a questo punto: di Montezemolo?) si rendono conto di dove stanno andando?
“Schivo e riservato”
“Marco Zanoni ha mantenuto un atteggiamento riservato e schivo” ci comunica L’Adige in un articoletto non firmato. Quale il motivo di tale pudibonda riservatezza, da fanciulla del lontano Ottocento? “La spinosa questione del compenso stabilito e previsto per la nuova carica”. Il nuovo amministratore delegato infatti è “consapevole che in tempi come quelli che viviamo, focalizzare la propria scelta sul quantum (quale delicatezza in queste vaghe e auliche parole! n.d.r.) richiesto alla cantina Lavis, avrebbe infiammato il dibattito”. Insomma Zanoni si intesta uno stipendio assolutamente spropositato rispetto agli attuali ricavi da fame dei contadini lavisani (con i benefit attorno ai 400.000 euro, a noi risulta), ma l’articolista de L’Adige (l’ineffabile Lucia Facchinelli? Ma il redattore delle pagine dell’Economia Francesco Terreri e il direttore Giovanetti, si pongono il problema se la stessa, oltre che loro collaboratrice, è anche addetta-stampa della Cantina LaVis?) trova comunque la maniera di elogiare Zanoni, perché si rifiuta di rendere pubblico l’emolumento. Perché altrimenti - prosegue l’articolo - si sarebbe scatenata “una scia di polemiche di cui la cooperativa lavisana non ha certo bisogno in questo delicato momento”. Beh, forse non avrebbe bisogno di essere depauperata anche dall’esosità del nuovo Ad.
Ma questa volta vogliamo essere dalla parte di Zanoni. Lui chiede questa barca di soldi: se il consiglio di amministrazione glieli concede, è colpa sua? Se i soci vendono quasi sottocosto l’uva, ma strapagano il dirigente, è colpa sua? Ha trovato la miniera, ha trovato i polli. Ha trovato anche chi gli canta le lodi. Buona abbuffata, finché dura.