Il taglio masochista
Il trasporto pubblico è - globalmente - più economico, ma il Comune di Trento decide di tagliare
L’insieme di soluzioni che la politica prende in considerazione per risolvere gli attuali crucci economici, più che evocare l’immagine di un variopinto ventaglio di alternative da scegliere con lungimiranza, ricorda il lavoro di un operaio che non ha altra mansione se non tirare sempre la stessa leva, qualunque cosa accada. E così si risparmia un po’ dappertutto, come d’altro canto ci impone la situazione, applicando la soluzione dei tagli lineari.
È noto che a nessuno piacciono, e che si lamentano un po’ tutti. Chi difende la cultura, chi la ricerca, chi persino la politica. Tutte lamentele legittime, eppure la cinghia va stretta. Bisogna sopportare. Poi in pratica si taglia soprattutto, com’è proprio dei meccanismi democratici, su ciò che è sottorappresentato: il che sarebbe anche corretto, se spesso non si traducesse in sacrifici per chi ha meno forza degli altri, ed allora le cose assumono un significato completamente diverso.
È questo il caso dei trasporti pubblici. E la cosa è ancora più grave, come vedremo, perché non solo si tartassa la parte già svantaggiata della popolazione, ma perché si introducono ulteriori irrazionalità e costi nell’insieme della società.
Vediamo appunto la nostra Trentino Trasporti. Opportunamente sollecitata dal Comune di Trento e dalla Provincia, ha recentemente intrapreso la facile via dei tagli, che nel 2014 le permetterà di risparmiare un milione e mezzo di euro, attraverso il blocco del turnover, la trasformazione di 21 autisti in altrettanti controllori e naturalmente una “razionalizzazione del servizio”, cioè l’abolizione di alcune corse poco affollate. Sarà un risparmio graduale, spalmato su tre anni, una di quelle cose di cui ti accorgi soltanto quando sei alla fermata del bus e per mezzora non passa nulla. Insomma, nel momento in cui ci convinciamo che dobbiamo risparmiare, eliminiamo come prima cosa ciò che percepiamo come un lusso, che per definizione è qualcosa di superfluo di cui si può fare tranquillamente a meno, un qualcosa di economicamente poco incisivo se non per i suoi passivi. Eccola qua, la perversa concezione di trasporto pubblico che sottende i cambiamenti in atto.
Come ci dice Antonella Valer, recente dimissionaria dal consiglio di amministrazione di Trentino Trasporti proprio su tale questione, non è questo il modo corretto di affrontare il problema. Innanzitutto perché il trasporto pubblico non solo non è un lusso ma, dal punto di vista prettamente economico, è una risorsa, non una voce di perdita. Il che non significa che le rispettive società che gestiscono il trasporto siano in attivo, anzi sarebbe assurdo pretenderlo; ed è proprio questo il motivo per cui una poco lungimirante politica, impaurita dalle vertigini che la colgono alla vista di un bilancio in rosso, tende ad applicare la ben nota soluzione dei tagli lineari.
Il punto vero invece è che, secondo uno studio dell’UITP (Associazione internazionale del trasporto pubblico), più ci sono mezzi pubblici, coadiuvati da una politica incentrata sulla cosiddetta mobilità alternativa, più si risparmia (vedi tabella). Com’è peraltro logico, se la gente va a piedi, in bici o in bus, l’incidenza del costo del trasporto sul prodotto interno lordo sarà minore, e si risparmia parecchio. Nel momento in cui tutto ciò viene a mancare (vale per la città di Houston, nella tabella), l’incidenza sul PIL sale, le risorse globali della società vengono sprecate (parliamo qui dal mero punto di vista economico, in più ci sarebbero da considerare gli aspetti ecologici, ambientali, il tempo perso negli ingorghi, i costi economici ed umani degli incidenti stradali). Dunque, volendo (controvoglia) prendere come buona l’abitudine di considerare il rapporto tra l’efficienza di un servizio e la positività del suo bilancio come un’equivalenza, tagliare i trasporti ha lo stesso significato simbolico di autoinfliggersi una coltellata.
Proprio per questo, e a maggior ragione in tempi di crisi, economica ed ecologica, tagliare sul trasporto pubblico è a tutti gli effetti un controsenso.
Il piano accantonato
Questi principi, in linea vagamente teorica, sono accettati nei programmi elettorali. Ma poi nella pratica?
Veniamo al Trentino, e in particolare a Trento, dove le dimissioni di Antonella Valer hanno con forza riproposto il tema. Nel 2002 Trentino Trasporti si era rivolta a uno dei più noti esperti europei, l’urbanista Willi Hüsler, per realizzare una struttura di trasporto funzionale, il che vuol dire evitare gli sperperi, ma orari cadenzati, tratte lineari, insomma, in buona sostanza, far sì che il viaggio in autobus non sia una tragedia se paragonato a quello in auto. Le linee vennero “raddrizzate”, cioè i percorsi resi meno tortuosi e più scorrevoli; inoltre spostate le ultime corse dalle otto e mezza di sera alle undici e mezza; infine inserito, per alcuni bus, il cadenzamento, con il tempo di attesa tra un bus e l’altro sempre uguale (circa dieci minuti, con l’attesa media ridotta al massimo a cinque). Dopo questi cambiamenti, com’era da attendersi, si registrò un significativo incremento nell’utilizzo dei bus.
Ma passano gli anni, e dalla presidenza di Ceola si passò a quella di Sebastiani. Il progetto di Hüsler avrebbe poi dovuto essere integrato con una successiva riorganizzazione, annunciata (anche dai giornali locali) per settembre 2011, che - afferma Antonella Valer - “avrebbe portato ad un’estensione del cadenzamento e ad una maggiore efficienza in generale, semplicemente allocando al meglio le risorse già disponibili, e dunque rigorosamente a costo zero”.
Nel frattempo a Trentino Trasporti alla presidenza di Vanni Ceola (dei Verdi, una nomina quindi caratterizzata politicamente, ma anche da un interesse vero per il trasporto ecologico e razionale) era succeduta quella di Franco Sebastiani, che non aveva la seconda di tali caratteristiche. Così l’attuazione del piano venne poi rimandata a gennaio 2012 per questioni tecniche, infine venne definitivamente accantonato.
Perché? La crisi - fu la risposta. Ma il piano era a costo zero. In realtà non si voleva razionalizzare senza spendere, bensì razionalizzare risparmiando.
Antonella Valer avanzò altre proposte, che però, dopo alcune incertezze e tentennamenti, vennero scartate. Di qui le sue dimissioni. (la lettera aperta con le motivazioni è riportata sul nostro blog.
Risultato finale? Un taglio che nel 2014 arriverà alla cifra di 1,5 milioni di euro, senza aver prima fatto il possibile per contenere le ripercussioni sull’utenza, l’ennesimo esempio dell’unilateralità del significato attribuita alla parola efficienza.
Questo bel risparmio, si tradurrà, com’è facile immaginare, in una riduzione dei bus a disposizione, nonché nel mantenimento di un servizio di trasporto insufficiente a favorire l’abbandono dell’automobile.
Questo, beninteso, non è un problema esclusivamente trentino, e non riguarda soltanto il trasporto locale. Si prendano ad esempio le scellerate avventure aziendali intraprese da Trenitalia negli ultimi anni, grazie alle quali i bilanci non sono più fetidi oggetti da nascondere in cantina, ma attestati di bravura da esporre in bacheca: grandi investimenti sull’alta velocità, una tipologia di trasporto che possiamo considerare di lusso, mentre gli espressi notturni, treni dalla storica vocazione popolare, sono completamente scomparsi dal panorama ferroviario. I regionali non se la passano meglio, e se è vero che la loro pulizia da sempre lascia a desiderare, ciò non si può dire per la loro frequenza, prima adeguata ed ora invece ridotta drasticamente.
È difficile immaginare come la situazione possa migliorare, sia a livello locale che nazionale, visto il debole interesse dei programmi politici (quelli veri, non quelli venduti agli elettori) verso lo sviluppo di una mobilità alternativa in grado di fornire una risposta soddisfacente, in termini economici, ecologici e pratici, alla mobilità tradizionale, in nulla più vantaggiosa.