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QT n. 8, 21 aprile 2007 Servizi

Ds, il coraggio della disperazione

Congresso DS: un partito con le spalle al muro,conscio di essere ormai irrilevante. E perchè, proprio per questo, può - forse - costruire qualcosa di nuovo.

Questi ultimi due anni, non sono stati momenti di gloria per il nostro partito" Un eufemismo, tanto per non abbandonare del tutto la diplomazia. E poi: "Abbiamo assistito a un’involuzione del dibattito... ad una riduzione degli spazi di dialogo con il gruppo dirigente... alla sostituzione in Consiglio provinciale dei nostri voti con quelli di Forza Italia, e non abbiamo battuto ciglio...".

Congresso Ds: il tavolo della presidenza.

Insomma, una filippica, un severo atto di accusa. A parlare, al congresso dei DS trentini, era il diciottenne Lorenzo Rella. I giovani, si sa, in politica hanno questa funzione, di essere birichini. Di dire cose scomode, realtà altrimenti solo sussurrate: e loro possono farlo, "sono giovani...", è in pratica il ruolo che nelle corti medioevali aveva il buffone.

E invece no. Al congresso diessino la sortita del giovane non risultava il piccolo strappo solo apparentemente fuori dalle regole; era la parte di un coro. Anche i dirigenti del partito pronunciavano critiche severissime. Roberto Pinter, già vicepresidente della Giunta Provinciale (e in quel ruolo, a dire il vero, molto nei ranghi): "In questi otto anni di centro sinistra trentino (otto anni, quindi anche quelli della sua vicepresidenza, n.d.r.) la sinistra si è trovata troppe volte nell’angolo, poco incisiva e debole nella proposta, debole nella capacità di rappresentanza sociale...".

Il presidente della Giunta Provinciale Lorenzo Dellai (Margherita) e il segretario diessino nonchè suo assessore, Remo Andreolli.

E ancora, allargando la critica a tutto il governo: "Invece di innovare, conservando il meglio delle tradizioni, si conservano i privilegi, le rendite, e si distrugge ciò che andrebbe invece conservato: il paesaggio, l’impegno civico, le responsabilità, il senso del limite". Un giudizio tombale.

E poi ancora altri, dal palco della sala della Cooperazione, a lanciare autocritiche pesantissime: Marina Taffara, della segreteria provinciale, il senatore Giorgio Tonini, il segretario della CGIL Ruggero Purin ed altri ancora. E i discorsi fuori dall’aula, al bar, a pranzo, erano ancora più crudi: "Di sicuro così non si può andare avanti".

D’altronde sulle colonne del Trentino riecheggiava il monito del consigliere (ed ex-segretario) Mauro Bondi: attenzione, alle prossime elezioni, oltre al nuovo Partito Democratico, ci sarà la lista territoriale-centrista di Dellai, che al PD sottrarrà voti; ma all’interno dello stesso PD gli eletti diessini saranno minoranza, per cui noi ci troveremo "molto ridotti nei numeri e del tutto emarginati sul piano politico".

Ma tutto questo non è frutto del caso, ha una motivazione: voi non avete svolto, e non state svolgendo, alcun ruolo politico – diciamo a Bondi.

"Certo, questo è il punto" risponde.

I nostri lettori conoscono bene la durezza di tante critiche che in questi anni Questotrentino ha rivolto alla Giunta Dellai e al suo interno alla sinistra; critiche per nulla apprezzate in via Suffragio. Bene, al congresso, dal palco e tra i delegati, venivano riprese molte di quelle argomentazioni. Con sofferenza, ma quasi sgravandosi di un peso: forse perché si poteva intravedere una qualche via d’uscita. Il Partito Democratico, appunto.

Notabili della Margherita al congresso Ds: il senatore Gubert, il senatore Betta, il vicepresidente della Regione Magnani.

In effetti in parallelo andava in scena la concomitante crisi della Margherita. Che percepisce da mille segnali di perdere verso destra suffragi nelle valli. E d’altra parte si rende conto di non poter tirare più di tanto la corda verso l’elettorato urbano e di sinistra. In mancanza di una politica che riesca davvero a coniugare città e valli, innovazione e tradizione, il partito del presidente annaspa in mezzo ai due termini; ed hai voglia a spiegare che si tratta di una contraddizione artificiosa, quando ti sei giocata tanta parte della credibilità con arroganze varie tipo magnadora (o conflitto con il Difensore Civico, o costi della politica).

Ne era un esempio proprio l’intervento di Dellai al congresso DS. Il presidente della Giunta si spendeva in sentiti ringraziamenti al partito alleato "per il percorso comune che non da poco tempo abbiamo intrapreso"; rivendicava, e a ragione, gli obiettivi conseguiti assieme, ossia il nuovo assetto istituzionale che garantisce la governabilità. Ma glissava da una parte sui risultati che la governabilità doveva consentire, cioè sull’azione di governo conseguente; e soprattutto non accennava, dopo i ringraziamenti per il cammino passato, a quello futuro, cioè al Partito Democratico.

La sinistra insomma come alleato indispensabile; ma ingombrante.

E sulla stessa lunghezza d’onda era il segretario della Margherita Giorgio Lunelli: "Nella sua relazione Remo Andreolli (il segretario diessino, n.d.r.) ha parlato, per il Trentino, di ‘percorso peculiare verso il Partito Democratico’; io invece voglio un Partito Democratico che sia peculiare, autonomo". E’ una distinzione forse non bizantina. Di sicuro riflette l’imbarazzo a rapportarsi con la sinistra di una Margherita angustiata dalle perdite al centro.

E allora, il Partito Democratico? "Non come ultima spiaggia" dicevano in tanti. Quindi lo è proprio. "Non si può andare avanti così".

Ma paradossalmente, proprio la criticità della situazione, obbliga alle scelte coraggiose, altrimenti innaturali. Una fusione ("fredda") di DS e Margherita, una somma di apparati dirigenti, in Trentino come a Roma, non risolverebbe alcunché. Andreolli e Cogo nello stesso partito con Dellai e Grisenti, darebbero lo stesso apporto di adesso, cioè tendente a zero.

I diessini Giorgio Tonini (senatore) e Margherita Cogo (vicepresidente della Giunta Provinciale).

"La domanda non è se noi abbiamo bisogno del nuovo partito, ma se la società lo chiede" diceva Giorgio Tonini. E alla società, delle riunioni congiunte tra Rutelli e Fassino, non gliene importa un accidente.

Diverso invece sarebbe un partito che le decisioni le rimettesse proprio alla società, attraverso primarie per scegliere gli uomini e consultazioni aperte per i programmi. Ad ottobre ci saranno le primarie per eleggere l’assemblea costituente del nuovo partito: "Ognuno di noi, dirigenti ed eletti – proseguiva Tonini - dovrà rimettere il suo posto, la sua visibilità, e ricominciare da zero. E in altra maniera".

Insomma, con le spalle al muro, l’unico modo per uscire dall’angolo è innovare, ma per davvero, la politica. A Roma sarebbe una rivoluzione. Ma anche, e forse ancor di più a Trento, dove un anno fa abbiamo addirittura assistito a delle primarie-farsa, con il risultato gettato alle ortiche perché le assemblee non avevano nominato la candidata voluta dal segretario.

Sarà innovazione vera?

Da Roma giungono notizie contradditorie. C’è chi si dà da fare per limitare a un terzo i membri della Costituente eletti dalle primarie, e riservare gli altri due terzi alle oligarchie; con il che nulla cambierebbe. C’è chi invece propone un rapporto inverso, due terzi agli eletti, un terzo agli oligarchi; un compromesso per galleggiare. Infine c’è l’ipotesi di rinnovamento radicale, le primarie come unica fonte di legittimazione.

Quest’ultima sarebbe un caso di decisa, clamorosa autoriforma, che porrebbe su basi nuove anche l’altra motivazione del PD: il processo di commistione tra la cultura cattolica e quella di sinistra, possibile solo se sottratto alle logiche dei bilanciamenti tra apparati.

Ma un’autoriforma, è possibile? In linea di massima no; ma quando non c’è altra soluzione...

Questa era l’ultima dea, che sorrideva e confortava i congressisti diessini.